descrizione mostra

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Gaspare Landi

(Piacenza 1756-1830)

Bianca Milesi

1811-1814 circa

Olio su tela, cm 48,5 × 61

Sul retro della tela originale, monogramma apocrifo di Appiani: “AA”

Provenienza: collezione dell’artista, Roma; Pietr’Antonio Landi, Roma, dal 1830; Milano collezione privata.

Bibliografia: Mellini 2000, pp. 74, 116, fig. 22; Mellini 2004, p. 45, 58.

Noto da una foto d’archivio (Bologna, Fototeca Zeri), il dipinto è stato pubblicato da Gian Lorenzo Mellini con la corretta attribuzione a Gaspare Landi e la proposta di identificare il personaggio effigiato con la figlia miniatrice di Marianna Waldestein, marchesa de Haro di Santa Cruz, alla quale doveva essere dedicato il monumento funerario commissionato a Canova.

Ora l’occasione di poter studiare direttamente l’opera, proveniente da una collezione lombarda, coincide con fortunato tempismo con gli studi di Federico Piscopo dedicati alla figura di Bianca Milesi di imminente pubblicazione (Piscopo 2020). Lo studioso, che ringrazio per aver condiviso le proprie ricerche, propone infatti di identificare la giovane artista effigiata da Landi proprio con la pittrice, scrittrice e patriota milanese, di cui si sapeva che Landi avesse eseguito il ritratto in pittura. Nell’inventario di ventidue suoi dipinti pervenuti in eredità nel 1830 al figlio Pietr’Antonio compariva infatti anche il “Ritratto della Milesi” (Scarabelli 1845, p.116), insieme ad altre effigi di colleghi artisti o di mecenati, come i ritratti di Tommaso Minardi (un esemplare all’Accademia Nazionale di San Luca, Roma), Giuseppe Bossi, o l’Autoritratto insieme al committente Giambattista Landi (Novara, collezione privata), tenuti presso di sé dall’artista probabilmente come testimonianze di valore amicale, insieme a impegnativi dipinti di storia che aveva eseguito a scopo dimostrativo, senza commissione cioè, come la non ancora rintracciata Maria Stuarda e il famoso dipinto monumentale di Edipo a Colono recentemente ritrovato (Grandesso 2018).

Piscopo sottolinea la somiglianza della pittrice landiana con i ritratti conosciuti di Bianca Milesi, quello in disegno eseguito nel 1808 da Andrea Appiani e da lei donato al poeta romeno Gheorghe Asachi (Muzeul de Artă, Drobeta-Turnu Severin, già collezione C. Istrati, pubblicato in Bacaloglu 1912), quando avevano condiviso l’apprendistato artistico a Roma sotto la guida di Michael Köch, , il disegno eseguito dallo stesso Asachi, il dipinto a olio di Sophie Reinhard (Karlsruhe, Staatliche Kunstalle) e l’incisione di Camilla Guiscardi Gandolfi del 1829, che per la stretta somiglianza dei tratti appare decisiva per confermare questa convincente identificazione.

Proveniente da un’agiata famiglia imprenditoriale di origine bergamasca, la Milesi aveva ricevuto un’istruzione tradizionale per le fanciulle di classe elevata, affidata ai conventi. Insofferente di questi limiti convenzionali e desiderosa di apprendere, aveva approfondito gli illuministi e i poeti italiani sotto la guida istruita di un precettore privato, coltivando nella passione per l’Alfieri i sentimenti patriottici e l’avversione per la dominazione straniera. Aveva poi abbracciato la pittura a Milano, giovandosi della guida di Appiani e riunendo intorno a sé letterati e artisti come l’incisore Giuseppe Longhi, il pittore Giuseppe Diotti, gli architetti Luigi Bossi e Luigi Canonica. (Souvestre 1854, pp. 25-26).

Allo scopo di migliorare la sua preparazione e potersi dedicare con assidua serietà all’esercizio artistico come professione, Bianca Milesi si trasferì poi a Roma alla fine del 1810 insieme alla madre e all’abate Tordeo, affidandosi per gli studi di pittura a Michael Köch, artista della cerchia di Felice Giani allora impegnato nelle decorazioni napoleoniche del Campidoglio e del Quirinale (cfr. A. Imbellone, in L’officina neoclassica 2009, pp. 183-185). Vi stabilì un atelier, prolungando il soggiorno, anche oltre il rientro a Milano della madre, sotto la protezione di Giovanni Gherardo de Rossi, celebre drammaturgo e scrittore di belle arti, frequentando Antonio Canova e la pittrice tedesca Sophie Reinhard, e quindi, grazie a loro, Giuseppe Tambroni, che istituiva allora l’Accademia d’Italia di Palazzo Venezia, il paesaggista Giambattista Bassi, ed esponenti della comunità nordica come Joseph Rebell, Peter Cornelius, Christian Daniel Rauch (Souvestre 1854, pp. 28-34).

Con il rientro in patria nel 1815, la Milesi doveva progressivamente abbandonare la pittura, in favore delle lettere, pubblicando le biografie di Saffo e di Gaetana Agnesi, e della passione politica, coltivata nel suo salotto letterario tra le “giardiniere della carboneria”, tentando con Federico Confalonieri di introdurre in Lombardia le scuole di mutuo soccorso e visitando in carcere nel 1820 Melchiorre Gioia, lei stessa subendo un breve arresto l’anno seguente. Espatriata in Svizzera, Francia e Inghilterrà riparò poi a Genova, dove frequentò i circoli liberali e mazziniani e sposò il medico Charles Mojon. Abbandonò quindi l’Italia per Parigi, dove coltivò l’interesse per gli scritti di carattere educativo per l’infanzia e i rapporti epistolari con eminenti intellettuali come Silvio Pellico, Alessandro Manzoni, Nicolò Tommaseo, Jean Charles Léonard Sismonde de Sismondi (cfr. Souvestre 1854; Arisi Rota 2010).

Landi, legatissimo a Canova e a de Rossi, che ne aveva seguito gli esordi artistici fin dai fondamentali articoli pubblicati sulle “Memorie per le Belle Arti”, aveva dunque potuto frequentare la giovane artista durante il soggiorno romano.

Il bellissimo ritratto rimane tra i suoi capolavori, alla pari di ritratti come quello di Caterina Anguissola da Travo (Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese), del Conte Giacomo Rota o di Antonio Canova (nelle due versioni di Roma, Galleria Borghese e Bergamo, Accademia Carrara). Come in questi esempi, la figura in primo piano ravvicinato, contro uno sfondo astratto, sembra colta sul vero con grande naturalezza. Qui la posa disinvolta e familiare costituisce un attributo alla pari del toccalapis e insieme alla fisionomia espressiva è in grado davvero di restituire le doti che avevano reso famosa la Milesi, la bellezza e l’amabilità socievole del carattere e la vitalità di tante doti intellettuali in grado di farne un simbolo dell’autodeterminazione e dell’emancipazione femminile. La stesura per velature e per tanti tocchi progressivi, ravviva i passaggi cromatici dell’incarnato come si trattasse di superficie vivente e disegna la sprezzatura dei dettagli dell’acconciatura di colei che aveva sacrificato ogni lusso personale in favore dell’acquisto di libri.

Stefano Grandesso

Piscopo 2020, in corso di stampa

Arisi Rota 2010

A. Arisi Rota, Milesi, Bianca, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 74, 2010, ad vocem.

Bacaloglu 1912

E. Bacaloglu, Bianca Milesi e Giorgio Asaky, in “Nuova Antologia”, Sept. 1912, pp. 81-101.

L’officina neoclassica. Dall’Accademia de’ Pensieri all’Accademia d’Italia, exh. cat. (Faenza, Palazzo Milzetti), ed by F. Leone, F. Mazzocca, Cinisello Balsamo 2009

Mellini 2000

G.L. Mellini, “Per Gaspare Landi, ricapitolazione”, in Labyrinthos, XIX, 37-38, 2000, pp. 65-120.

Mellini 2004

G.L. Mellini, “Per Gaspare Landi, ricapitolazione”, in Gaspare Landi, exh. cat. (Piacenza, Palazzo Galli), ed by V. Sgarbi, Milano 2004, pp. 39-65.

Grandesso 2019

S. Grandesso, “L’Edipo a Colono. Giusepe Bossi e Gaspare Landi in gara di emulazione nel ritrovato dipinto landiano”; in Dall’ideale classico al Novencento. Scritti per Fernando Mazzocca, ed. by S. Grandesso e F: Leone, Cinisello Balsamo 2018, pp. 58-63.

Scarabelli 1845

L. Scarabelli, Opuscoli artistici, morali, scientifici e letterarii, Piacenza 1845.

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