Pietro Dodero

Genova 1881 – 1967

L’alba • 1930 ca.

Tempera su tavola, cm 47 Ă— 162,5

Intitolato e firmato al retro: “L’alba/ Pietro Dodero”

Bibliografia di riferimento: Chiara Masi, “Gelo di un corpo, donde balza la fiamma di un’anima”. Pietro Dodero e il Sacrario dei Caduti del Cimitero Monumentale di Staglieno in Giorgio Rossini (a c. di), Da Baroni a Piacentini. Immagine e memoria della Grande Guerra a Genova e in Liguria, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Reale – Teatro del Falcone, 14 marzo – 14 giugno 2009), Skira, Milano, 2009, pp. 167-178.

Le tempere su tavola L’alba e Meriggio del pittore genovese Pietro Dodero presentano una serie di caratteristiche particolari e di grande interesse che permettono di ipotizzarne funzione e datazione.

Si notano subito, infatti, il fondo neutro e i contorni leggermente insistiti, che in alcuni punti sembrano quasi richiamare l’effetto di un ritaglio incollato: esemplificativi in questo senso sono i piedi della figura femminile allegoria dell’alba, il cui contorno delle dita è disegnato come un’unica curvatura, o i petali di rosa della stessa opera.

Le due tavole presentano evidenti affinità stilistiche con le decorazioni musive del Sacrario dei caduti del Cimitero di Staglieno (in particolare con le Vittorie alate che affiancano i soldati nell’Apoteosi degli eroi) e, ancor di più, con le figure femminili del ciclo La traiettoria della vita nella chiesa di San Gerolamo, parte del complesso ospedaliero Giannina Gaslini di Genova. Entrambe furono realizzate dalla Cooperativa Artisti Mosaicisti di Venezia che tradusse in mosaico i bozzetti di Dodero.

Il Sacrario ai caduti in guerra fu inaugurato il 24 maggio 1936, mentre i mosaici che decoravano la chiesa erano certamente finiti prima della visita di Mussolini due anni più tardi, nel maggio 1938, in occasione dell’inaugurazione dell’ospedale.

Queste considerazioni, insieme all’osservazione di uno stile riconducibile al cosiddetto ritorno all’ordine – il recupero di un disegno chiaro e pulito di derivazione rinascimentale e di una plasticità classica – permettono di datare le tavole intorno alla metà degli anni trenta del XX secolo.

Un certo senso di sospensione e di rarefazione, dato anche dalla particolarità dei contorni, richiama poi le atmosfere del Realismo magico; e il rigore dei toni che pure concede lo sviluppo morbido delle linee lo avvicina al Simbolismo europeo delle Secessioni – Dodero aveva studiato, oltre che a Genova, anche a Torino e a Monaco di Baviera – al punto che si riscontrano assonanze, per esempio, con l’opera di un artista certamente a lui noto come Ferdinand Hodler.

Pietro Dodero aveva già eseguito opere di rappresentanza per il Comune di Genova (che aveva acquistato diversi suoi dipinti per le collezioni municipali) e aveva soddisfatto commissioni pubbliche (un pannello decorativo per la Prima Mostra Italiana di Attività Municipale nel 1924 o l’allestimento della Sala Ligure all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali Moderne di Parigi l’anno seguente, tra le altre) e, ancora prima, aveva lavorato a grandi cicli decorativi affrescati, affiancando Adolfo de Carolis nel Salone dei Quattromila presso il Palazzo del Podestà di Bologna.

NĂ© deve stupire la scelta del mosaico che, insieme alla grande pittura murale, godeva di particolare favore presso il regime per la resa rigorosa e monumentale: si pensi per esempio a opere di Mario Sironi come L’Italia tra le Arti e le Scienze dipinta nell’Aula magna dell’UniversitĂ  Sapienza di Roma nel 1935, o il mosaico L’Italia corporativa per la Triennale di Milano del 1936.

La Cooperativa Artisti Mosaicisti di Venezia che realizzò le opere su disegno di Dodero era nota per la precisa rispondenza tra i bozzetti e i mosaici, riscontrabile per esempio nelle decorazioni di Staglieno di cui si conserva in collezione privata un bozzetto dell’artista raffigurante un fante inginocchiato. La fedeltà è tale da far pensare all’impiego della tecnica del mosaico rovesciato: il procedimento consiste nell’incollare il recto delle tessere vitree sul cartone preparatorio per fissarle in un secondo momento sulla parete dalla parte del verso, quindi rimuovere il cartone, che inevitabilmente viene distrutto, per scoprire la decorazione finita.

Il confronto particolarmente convincente tra le tempere su tavola L’alba e Meriggio e la decorazione musiva di San Gerolamo – perfino i lineamenti delle figure femminili e le pose delle mani sono estremamente somiglianti – induce a mettere in stretta relazione queste opere. Per ragioni tecniche, è da escludere che le due tavole lignee siano servite direttamente per incollare a rovescio le tessere vitree e, se fosse accaduto, la superficie pittorica si sarebbe irrimediabilmente rovinata; tuttavia è facile ipotizzare che le maestranze della Cooperativa veneziana ricalcassero su carta i dipinti di Dodero. Quest’ipotesi è suffragata dal bozzetto raffigurante il soldato inginocchiato per la decorazione di Staglieno – che si è conservato – e spiegherebbe sia la particolarità dei contorni insistiti, sia il fondo neutro che sarebbe poi stato sostituito da tessere dorate, sia infine i tagli lungo i bordi delle tavole, che interrompono lo sviluppo dei panneggi delle vesti, la capigliatura dell’allegoria dell’alba e il braccio sinistra di quella del meriggio. Si tratta infatti di tagli che non inficiano la comprensione della forma e che avrebbero potuto essere facilmente completati da chi avesse operato il ricalco, mentre doveva essere più importante rispettare le dimensioni stabilite in vista della decorazione musiva, anche qualora la tavola di partenza non fosse stata sufficientemente alta.

Infine, così si spiegherebbe il carattere ibrido – e perciò tanto interessante – di queste tavole: opere finite, tanto da essere intitolate e in un caso firmate, nonostante sembrino al contempo connotarsi come studi o prove. La mano accanto alle rose della figura femminile di L’alba sembra infatti voler toccare un vaso o un mazzo di fiori non raffigurato e questo potrebbe far pensare a una prima prova, non definitiva, oppure a una collaborazione ormai rodata con la Cooperativa, che poteva consentire eventuali completamenti da parte dei mosaicisti.

Le particolarità di cui si è detto fanno delle due tavole L’alba e Meriggio una testimonianza preziosa.

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