Gemito Vincenzo

Napoli 1852-1929

Pescatorello Marvasi • 1876

Bronzo, h 27 × 25 cm

Bibliografia: Salvatore Di Giacomo, Vincenzo Gemito. La vita, l’opera, Napoli 1905; Alessandro Della Seta, I monumenti dell’Antichità classica”, S.A.E. D. Alighieri, Milano 1933; Ottavio Morisani, Vita di Gemito, Napoli 1936; Alfredo Schettini, Gemito, Milano 1944; Carlo Siviero, Gemito, Napoli 1953; Maria Simonetta De Marinis, Gemito, L’Aquila-Roma 1993; Denise Maria Pagano, Gemito, Electa Napoli 2009; Cinzia Virno, Vincenzo Gemito. La collezione, De Luca, Roma 2014

L’opera è il primo esemplare in bronzo del Pescatorello di Vincenzo Gemito, commissionato nel 1876 dal prefetto di Napoli Diomede Marvasi e presenta quella elevata qualitĂ  delle superfici che si addice ad una scultura originale – forse pensata per essere unica – dalla quale emerge chiaramente la fragranza della cera che l’ha generata. L’artista ha evitato il piĂą possibile di intervenire con finiture a cesello e, volutamente, non ha abraso una parte delle terre di fusione per conservare alla lega metallica quell’aspetto primigenio che si ritrova nella piĂą alta produzione bronzistica dell’antichitĂ .

Alla metĂ  degli anni Settanta lo scultore realizza diverse opere per il prestigioso mecenate Marvasi, come  i ritratti dei tre figli, tra i quali spicca la terracotta del piccolo Guido del 1874 ed un disegno a penna con il volto di Silvio del 1878.  Il rapporto tra il committente e l’artista è testimoniato da Salvatore Di Giacomo, secondo il quale Marvasi “accolse Gemito quasi ogni sera nella casa ospitale […] e parvero all’austero magistrato, dopo la diurna tensione dell’animo suo e della sua mente, una vera ricreazione e un vero benevolo riposo del suo spirito la compagnia e la pittoresca conversazione d’un artista così novo ed interessante”[1]. Negli stessi anni in cui Gemito frequenta la casa del prefetto giunge a maturazione il suo interesse per la scultura antica, che lo porta a conferire al proprio originario realismo tratti maggiormente solidi e solenni, segnando il passaggio ad una prima maturitĂ  artistica.

Il soggetto del Pescatore napoletano non risultava del tutto nuovo nel panorama della scultura e già nella prima metà del secolo era stato proposto da scultori francesi come F. Duret e J.B. Carpeaux[2], i quali tuttavia ne avevano dato una lettura in chiave romantica e a tratti folkloristica. Gemito non solo reinterpreta il tema con realismo, ma si spinge oltre, conferendo alla piccola figura delle forme raccolte e composte di ascendenza classica. Prima della realizzazione del suo Pescatorello lo scultore dedica molto tempo a studi e disegni preparatori[3], ritraendo dal vero quei ragazzi che popolavano le scogliere della città partenopea, alla ricerca del movimento e dell’espressione più efficace in grado di incarnare la sua idea.  Secondo Morisani lo scultore si concentra nell’elaborazione del Pescatorello “con inverosimile sottigliezza”[4], giungendo alla stesura finale dell’opera dove il protagonista è “un bambino di pochi anni, nell’età in cui tutto è ancor bello morbido luminoso. Inginocchiato su di uno scoglio in un equilibrio instabile, nel muschio umido e sdrucciolevole, è giunto al momento culminante della sua pesca, al risultato di essa: stringe ora il pesciolino, ma senza forza, quasi che la tema di fargli male vinca quella di perderlo, e, forse, più tardi, sarebbe pronto a piangere, se, nello staccarlo dall’amo, gli lacerasse la bocca”[5].

L’opera riscosse immediatamente una considerevole fortuna, al punto da spingere l’artista ad eseguirne diverse copie in bronzo, non tutte curate completamente da lui e con superfici maggiormente levigate. Alcuni degli esemplari di maggior pregio sono oggi conservati presso le gallerie comunali di Milano e Torino e nella Collezione Intesa Sanpaolo di Napoli. Presso la galleria milanese è presente anche la cera originale di color rosso[6], donata dalla figlia dell’artista nel 1939[7], da cui è stato probabilmente tratto il primo esemplare per la Collezione Marvasi e quelli immediatamente seguenti. Un’ulteriore cera bicroma è conservata presso la Galleria Comunale di Roma, anche questa dono di Giuseppina Gemito[8]. Il 1876, anno di realizzazione dell’opera, è significativo nella vita dello scultore, il quale trasferisce il proprio studio accanto al Museo Archeologico, in un’area caratterizzata dalla presenza di rovine classiche. Le motivazioni che abbiano spinto Gemito al trasloco sono state variamente interpretate dalla critica, a partire dalle precarie condizioni di salute della compagna Mathilde, fino alla volontĂ  dell’artista di immergersi nello studio della scultura antica attraverso la frequentazione assidua del museo[9]. Quest’ultima è da tenere in considerazione nell’esame delle scelte stilistiche legate al Pescatorello, dal momento che l’opera – ancor piĂą delle altre realizzate nel giro degli stessi anni- presenta un modellato alquanto solido e sintetico che si allontana dalle prime prove gemitiane caratterizzate perlopiĂą da infinite vibrazioni della materia e dalla freschezza assoluta del modellato. Risulta evidente che Gemito abbia come punto di riferimento la scultura antica, con una particolare predilezione per quella dei secoli  IV e III a.C.. Interesse, quello di Gemito per l’antichitĂ , che necessita di indagini piĂą approfondite, dal momento che è stato spesso considerato come una generica affinitĂ  tra lo scultore napoletano e la scultura classica tout court. Sin dal Pescatorello del 1876 si evince che Gemito avesse in animo di ispirarsi particolarmente a Lisippo; infatti, mentre i riferimenti lisippei appaiono piĂą evidenti nelle opere della maturitĂ  con la serie dei ritratti di Alessandro Magno, quelli giovanili sono meno palesi ma ugualmente significativi. L’artista napoletano avverte alcune affinitĂ  con lo scultore di Sicione non solo dal punto di vista stilistico, ma anche biografico, dal momento che la tradizione antica, ancora viva negli studi ottocenteschi, faceva di Lisippo un autodidatta di umili origini che all’inizio della propria carriera preferì imitare direttamente alla natura anzichè l’esempio di altri maestri[10]. Nella seconda metĂ  dell’Ottocento si credeva che il bronzo di Ermes a riposo, conservato presso il Museo Archeologico di Napoli, fosse opera di Lisippo o della sua scuola[11] e da tempo era oggetto di studio da parte degli artisti gravitanti intorno all’Accademia, come dimostra un precoce disegno di Raffaele Postiglione[12]. Anche alcuni disegni di Gemito successivi al Pescatorello del 1876, come Luciano[13] del 1911 e lo Studio per il pescatore della regina[14] del 1909 riprendono la posa dell’Hermes, umanizzando il dio in un ragazzo del popolo. Se ancora nel Pescatorello Marvasi la postura appare differente rispetto a quella dell’Hermes, le versioni seguenti dello stesso soggetto tenderanno sempre piĂą ad assomigliargli. Tuttavia, la vicinanza tra le due opere appare stringente nella resa delle superfici del bronzo e nel rapporto che intercorre tra il corpo giovanile e la roccia sottostante. Nella scultura di Gemito il ragazzo e lo scoglio sono tutt’uno e presentano gli stessi piani fortemente inclinati. La luce sembra precipitare sull’opera quasi per forza di gravitĂ  e, mentre scorre dolcemente sul corpicino senza mai interrompersi, se non inghiottita nelle profonde ombre generate dal volto e dal busto reclinati in avanti, riaffiora frastagliandosi sulla ruvida superficie dello scoglio, le cui parti non appaiono mai spigolose, ma assumono l’aspetto delle rocce consunte dal mare. Alle innumerevoli vibrazioni di luce generate dalla materia rocciosa fa da contrappunto in alto la scompigliata capigliatura del ragazzo, che ricorda ancora quella dell’Hermes o delle Statuette di corridori di Ercolano del Museo Archeologico di Napoli.

Giancarlo Brocca

[1] Di Giacomo 1905, ed. cons. Bonuomo 1988, pp. 44-45

[2] D. M. Pagano 2009, p. 98

[3] Confluiti nella Collezione Minozzi

[4] O. Morisani, p. 60

[5] ibidem

[6] M. S. De Marinis 1993, tav. 19

[7] D. M. Pagano 2009, p. 99

[8] C. Virno 2014, tav. 3, p.87

[9]A. Schiettini 1944, p. 200, tav. 24

[10] Plin. XXXIV, 61 “Lysippum Sicyonium Duris negat ullius fuisse discipulum, sed primo aerarium fabrum audiendi rationem cepisse pictoris Eupompi responso eum enim interrogatum, quem sequeretur antecedentium, dixisse monstrata hominum multitudine, naturam ipsam imitandam esse, non artificem”

[11]A. Della Seta, I monumenti dell’Antichità classica”, S.A.E. D. Alighieri, Milano 1933

[12] Raffaele Postiglione, Copia della statua bronzea di Hermes in riposo, pastello nero su carta, mm 415 x 253, Napoli, Accademia di Belle Arti

[13] Vincenzo Gemito, Luciano, pastello nero sucarta, 1911, Napoli, collezione privata

[14] Vincenzo Gemito, Studio per il pescatore della regina, penna su carta, collezione privata

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