Lo scultore Vincenzo Gemito nasce a Napoli il 16 luglio 1852 come “Genito”, perché viene abbandonato dalla madre alla ruota dello Stabilimento dell’Annunziata ed è affidato due settimane dopo a Giuseppina Baratta, che nel 1863 sposerà il muratore Francesco Jadicicco, il “Mastro Ciccio” tante volte ritratto dal Nostro. Lo scultore trascorre in povertà un’adolescenza turbolenta e problematica, ma si lega di amicizia con Antonio Mancini con cui intraprende la carriera artistica entrando prima nello studio di Emanuele Caggiano e poi in quello di Stanislao Lista, che andava professando una svolta verista nella scultura. Nel 1864 Gemito viene ammesso a seguire i corsi del Regio Istituto di Belle Arti, e nel 1868 partecipa per la prima volta alla mostra della Società Promotrice di Belle Arti con l’opera Il giocatore di carte (gesso bronzato, Napoli, Museo di Capodimonte), che viene acquistato da Vittorio Emanuele II. In questo torno d’anni il nostro prende in affitto, insieme a Mancini, Amendola, D’Orsi, Buonocore, Fabron e Ximenes, lo studio nell’ex convento di Sant’Andrea delle Dame, dove realizza le famose testine in terracotta di vibrante naturalezza.

Nel 1871 il Nostro partecipa al concorso indetto dall’Accademia di Belle Arti partenopea, vincendo il pensionato romano con una terracotta a tutto tondo sul tema richiesto del Marco Giunio Bruto, che si conserva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, con la quale si confronta per la prima volta con la statuaria antica. Due anni dopo Gemito conosce Matilde Duffaud, che diviene la sua modella e amante, nutrendo nei suoi confronti un amore quasi ossessivo, come testimoniano le numerose immagini che di lei ci ha tramandato

Nel 1878 lo scultore è presente all’Esposizione Universale di Parigi, dove si era trasferito l’anno precedente, con i busti di Giuseppe Verdi (bronzo, 1873) e di Domenico Morelli (bronzo, 1873) e con l’opera Il pescatorello (bronzo, 1877, Firenze, Museo del Bargello). Nella capitale francese lo scultore conosce Ernesto Meissonier, pittore di storia che ospita Gemito nella sua villa di Poissy e che si rivelerà un affettuoso mecenate, commissionandogli tra le altre opere un proprio ritratto, con cui il Nostro vince la medaglia di seconda classe al Salon del 1880. Fatto ritorno a Napoli in quello stesso anno, Gemito si dedica con sempre più convinta assiduità alla sfida di declinare nella modernità l’eredità della statuaria classica, e nascono così opere come l’Acquaiolo (bronzo, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), ispirato al Fauno danzante di Pompei, e Il filosofo, una rilettura della Testa dello Pseudo-Seneca del Museo Archeologico di Napoli che presenta le sembianze del patrigno “Mastro Ciccio”. A seguito della commissione da parte di Umberto I di una colossale statua marmorea di Carlo V da collocare in una delle nicchie sulla facciata di Palazzo Reale, di cui tuttavia Gemito appronterà solamente il modello in gesso e un bozzetto in bronzo, lo scultore attraversa una fase di profonda crisi, sentendo l’incapacità di confrontarsi con una tematica così impegnativa. Ricoverato nel 1886 per un esaurimento nervoso, l’anno successivo il Nostro fugge dalla casa di cura Fleuret per alienarsi in una sorta di autoesilio nella propria abitazione, dove trascorrerà vent’anni tra deliri e rari momenti di lucidità creativa; e tutto questo mentre la sua fama internazionale andava consolidandosi grazie alla vittoria di premi e onoreficenze. Nell’ultima fase della propria attività Gemito si dedica con costanza all’autorappresentazione e a soggetti storici e allegorici, allontanandosi quindi dall’iniziale predilezione per le tematiche sociali a lui così congeniali, come quello, sul quale torna con un’assiduità quasi ossessiva, di Alessandro Magno, protagonista di tante sue visioni – e abbandona per altro l’immediatezza delle origini per sviluppare un linguaggio formale più meditato e attento alla riproposizione dei dettagli.

Muore a Napoli il 1° marzo 1929.

Scultore atipico e originale, dal lessico personalissimo, Gemito operò in aperta polemica con le istanze accademizzanti pur interessandosi con fervida passione alla statuaria romana, per quel suo accento verista fortemente prosaico legato alla quotidianità dell’esistenza umana. Da tali premesse nacque un’opera assai fortunata e famosa, a cui ancora oggi si associa il nome del Nostro, Il pescatorello. Ideata nel 1876 (il gesso preliminare è conservato presso il Museo di Capodimonte a Napoli) la scultura rappresenta uno dei tanti “scugnizzi” appartenenti alla plebe napoletana che popolavano i vicoli della città, presentato in un precario equilibrio su uno scoglio, ed è plasmato per far si che la luce, vibrante sulla superficie materica, crei forti contrasti chiaroscurali dalle valenze simboliche, espressione del travaglio e della vitalità di un popolo.

Molto apprezzato anche nel genere del ritratto per il vivo naturalismo, la propensione introspettiva e l’intensa espressività con cui Gemito caratterizzava gli effigiati, come apprezzabile nel Busto di Cesare Correnti (bronzo, 1878, Milano, Museo del Risorgimento), in cui l’illustre uomo politico ed ex ministro della Pubblica Istruzione è vivacemente caratterizzato, con gli occhi spiritati. Se ne conserva una seconda versione in bronzo ed oro (1880) presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, ed in effetti Gemito era solito realizzare numerose repliche delle sue opere, spesso variandone la tecnica d’esecuzione.

Vincenzo Gemito – Maschera di fanciullo (Scugnizzo)

Vincenzo Gemito (Napoli 1852 – 1929) Maschera di fanciullo (Scugnizzo) 1870-72 ca. terracotta con ingobbiatura cm 18,8 x 14,4 x 10,3     La maschera è probabilmente il ritratto di un fanciullo, da attribuirsi alla produzione giovanile dello scultore Vincenzo Gemito (1852-1929) e riconducibile agli anni compresi tra il 1870 e il 1872. L’opera è…

Vincenzo Gemito - Vecchio prete

Vincenzo Gemito – Vecchio prete

Opera non disponibile   Vincenzo Gemito (Napoli 1852-1929) Vecchio prete bronzo, cm 15,5 x 8 x 9 Sul verso incisa la dedica: D Morelli Nell’estate del 1881, dopo la morte della compagna Mathilde Duffaud, Gemito si ritirò per qualche tempo a Capri, in compagnia dell’amico Paolo Vetri, allievo prediletto e poi genero di Domenico Morelli. Dopo…

Vincenzo Gemito – Scugnizzo

Opera non disponibile   Vincenzo Gemito (Napoli 1852 – 1929) Scugnizzo Matita nera e gessetto bianco su carta marrone, mm. 495 x 346 Firmato a matita nera, in basso a destra: V. Gemito Dal volto assorto, incorniciato dai lunghi capelli scomposti, questo scugnizzo sembra posare controvoglia come per una istantanea, distolto da altre occupazioni. La rotazione di…