Giuseppe Mazzullo

Graniti (Messina) 1913 – Taormina 1988

Il cavallo • 1966

Pietra, cm 52 x 43 x 18 (su piedistallo originale h. cm 114 (h. totale cm 157))

Bibliografia:

  • Catalogo della XXXIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Stamperia di Venezia, Venezia, 1966, pp. 68-69. Per la lista delle opere esposte si veda https://asac.labiennale.org/persone/377472
  • Fortunato Bellonzi (a cura di), Giuseppe Mazzullo, catalogo della mostra (Musée Rodin, Paris, 1970), Musée Rodin, Paris, 1970, s.p., n. 26 ill.
  • Fortunato Bellonzi e Franco Costabile, Autoritratto in «Carte Segrete. Rivista trimestrale di Lettere e Arti», n. 8, 1970, p. 89 ill.
  • Mazzullo, catalogo della mostra (Galleria comunale d’arte contemporanea, Arezzo, dal 7 aprile 1973), Galleria comunale d’arte contemporanea, Arezzo, 1973, tav. 10 .
  • Mazzullo, con testimonianze di Fortunato Bellonzi e Franco Costabile, Carte segrete, Roma, 1974, pp. 88, 89 ill.
  • Paul-Marie Grand (a cura di), Le pietre di Mazzullo, Editori Riuniti, Roma, 1976, cat. 49, ill.
  • Catalogo della Mostra antologica dell’opera di Giuseppe Mazzullo (Palazzo dei Normanni, Palermo, maggio – luglio 1977), Assemblea regionale siciliana e Assessorato Regionale Turismo, Comunicazioni e Trasporti, Palermo, 1977, p. 43 ill.
  • Giuseppe Mazzullo. Sculture e disegni dal 1930 al 1987, catalogo della mostra (Complesso Monumentale di S. Michele a Ripa, Roma, 5 febbraio – 5 marzo 1988), Edizioni Aton, Roma, 1988, p. 33 ill.

Provenienza: Roma, Collezione senatore Nicola Signorello; Roma, collezione privata

Il cavallo, realizzato nel 1966, appartiene alla fase di maggiore intensità creativa del lavoro di Giuseppe Mazzullo, quella che Paul-Marie Grand ha definito la sua «maniera nera» per la forza espressiva dei suoi soggetti che trova eco nella porosità, nell’opacità e nelle asperità della pietra (1976).

La storica dell’arte Paola della Pergola, che lo aveva conosciuto, spiegava la scelta di Mazzullo di lavorare pietre dure, normalmente povere di effetti e faticose da scolpire come una naturale disposizione a scartare le scelte espressive facili, piacevoli e immediate (1967, 7). La grana grossa di opere come questa è però anche una dichiarazione di poetica, oltreché il tributo a un rapporto con la natura lentamente maturato: «mi piace scolpire come fanno il vento, la pioggia, le intemperie» aveva spiegato Mazzullo.

Come avviene per altri lavori di questo periodo, la forma stessa del blocco di pietra ha suggerito l’andamento della scultura, lasciata volutamente più grezza da un lato, tanto che alcuni critici hanno scritto di una poetica del non-finito o del frammento (1988, XV). Chi ha studiato l’intero percorso di Mazzullo e lo interpreta come una ricerca costante verso l’essenzialità, ritrova piuttosto in questa scelta una raggiunta sintesi tra natura e idea e, insieme, un punto d’arrivo di uno stile scabro e spezzato, sempre incline all’arcaismo (1974, 9-22).

Già il Ritratto della moglie del 1960 è un esempio di superfici accidentate, mosse dai giochi della luce, come pure Polena (1964), opera di giunzione tra le precedenti, più accademiche, e le successive come Il cavallo, Cranio – anch’essa montata su un piedistallo simile – o Testa II, tutte del 1966, frutto ormai di una maggiore ricerca di sintesi.

Proprio nel 1966 arrivò non a caso anche il riconoscimento di una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia nella quale espose, tra le altre sculture, anche Il cavallo.

Gli anni dal 1958 al 1965 furono fondamentali nella produzione di Mazzullo: a partire dal 1958, infatti, egli aveva trovato nella pietra il proprio terreno d’elezione, dimostrando particolare interesse per la scelta del blocco da usare, la corrosione delle superfici e l’attenzione a esaltare le specifiche qualità della materia come peso, durezza e venature. Sono anni in cui le esperienze precedenti sembrano distillarsi in un’elaborazione personale e definita, di inedita intensità: i brevi interessi post-cubisti si sublimano nel controllo dello sviluppo formale delle opere, mentre il neorealismo si traduce, nei disegni come nelle sculture, in toni simpatetici verso la sofferenza e l’espressività dei soggetti scelti. È in questo senso che i suoi animali, il Gatto con la schiena ricurva (1962), La capra (1964), il Torello (1964) e naturalmente Il cavallo, sono descritti come «monumenti alla vita, realtà ed apparizione, immediatezza vivente» (1966, 69).

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