Giuseppe Mazzullo nacque a Graniti, in provincia di Messina, nel 1913.

Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Perugia nel 1932, insegnò poi all’Accademia di Roma, dove si stabilì a partire dal 1939.

Nonostante fosse giĂ  noto negli anni precedenti – nel 1935 la Quadriennale di Roma espose due suoi lavori e quattro anni piĂą tardi fu tra i vincitori di un concorso per i bassorilievi di un palazzo dell’INPS all’Eur – la sua prima personale documentata si tenne presso la galleria La Margherita nel 1945 e fu presentata da Libero Biagiaretti. Mazzullo vi espose sculture in cera e in bronzo di dimensioni ridotte (poco piĂą di una ventina di centimetri), lontane dai canoni classici, come a prendere le distanze dalla fase precedente, abbracciando una nuova e piĂą personale consapevolezza, mantenendo però sempre il tratto distintivo di un linguaggio arcaizzante e quasi primitivista.

Dai primi anni quaranta, la sua abitazione romana di via Sabazio divenne un punto di riferimento e sarebbe rimasta anche in seguito un salotto di artisti e letterati, annoverando tra i suoi frequentatori Ungaretti, Montale, Zavattini – solo per citarne alcuni.

Tra i grandi figurativi siciliani, è stato in varie occasioni accostato a Renato Guttuso, ma i suoi riferimenti principali sono stati individuati soprattutto in Medardo Rosso, in Arturo Martini e in alcuni tra gli episodi più alti di Giacomo Manzù.

Il critico Fortunato Bellonzi ha interpretato l’arcaismo delle sue sculture come una ricerca delle origini del linguaggio e, a un tempo, un legame con la terra d’origine, con il mondo contadino e pastorale. Tuttavia Mazzullo non fu impermeabile alle suggestioni dell’attualità ed ebbe, insieme a molti della sua generazione, una breve adesione al post-cubismo prima dell’incontro con il neorealismo socialista, che interpretò come attenzione alla condizione umana, al di là degli intralci programmatici dell’ideologia. Nella scelta dei soggetti quanto nell’immediatezza dello stile, infatti, il neorealismo socialista diventa nelle sue opere «semplicemente e voracemente realismo sociale» (F. Bellonzi). Temi prediletti furono i contadini, gli operai, spesso le donne, ma anche i fucilati, i torturati, i partigiani, o ancora i molti animali che testimoniano un intenso rapporto con la natura.

La connaturata libertà stilistica, che pure non abbandonò mai la figurazione, lo portò a sottoscrivere il testo di Guttuso Per una nostra segnalazione, con il quale un gruppo di artisti vicini al PCI rispondeva al Segretario del partito Palmiro Togliatti che aveva condannato la pittura astratta (1948).

Dagli anni cinquanta, le sue sculture assunsero dimensioni maggiori e la pietra diventò il luogo privilegiato dell’espressione di Mazzullo, che pure realizzò anche versioni bronzee, come nel caso de La capra del 1964.

Parallelamente e con un vocabolario affine a quello dell’attività scultorea, Mazzullo portò avanti una ricca produzione di disegni e chine, spiegando «ho sempre considerato il disegno come l’artiglieria e la scultura come la fanteria. Il disegno prepara alla concretezza dell’idea» (G. Mazzullo).

Tra gli anni cinquanta e i sessanta, le esperienze precedenti sembrano distillarsi in un’elaborazione personale e definita, di inedita intensità: i brevi interessi post-cubisti si sublimano nel controllo dello sviluppo formale delle opere, mentre il neorealismo si traduce, nei disegni come nelle sculture, in toni simpatetici verso la sofferenza e l’espressività dei soggetti scelti.

Al volgere degli anni settanta e poi nel corso del decennio successivo il suo stile sembra evolversi nuovamente e, ormai lontano dal modellato degli esordi, si fa talvolta geometrico e polito, assumendo anche toni decorativi (si veda per esempio Ianira, 1981). E tuttavia Mazzullo non abbandonò mai i modi arcaizzanti e primitivisti, né il gusto per la pietra ruvida e grezza (Fanciulla, 1985) che lo accompagnarono fino al termine della sua attività, nel 1988.

Giuseppe Mazzullo – Il cavallo

Giuseppe Mazzullo Graniti (Messina) 1913 – Taormina 1988 Il cavallo • 1966 Pietra, cm 52 x 43 x 18 (su piedistallo originale h. cm 114 (h. totale cm 157)) Bibliografia: Catalogo della XXXIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Stamperia di Venezia, Venezia, 1966, pp. 68-69. Per la lista delle opere esposte si veda https://asac.labiennale.org/persone/377472…