Giacomo Massa

Roma 1596-post 1635

Adorazione del Bambino

Olio su tela, 99,2 x 136 cm

L’Adorazione del Bambino, raffigurata di notte, con la Madonna, Giuseppe, Gesù nella mangiatoia e una coppia di angeli in secondo piano, di cui si scorgono le ali nella penombra, è opera del romano Giacomo Massa, pittore di cui solo in anni recenti mi è stato possibile delineare la fisionomia, riconsegnandogli un nucleo coeso di tele, in passato riferite al pittore di Arles Trophime Bigot, forse identificabile con il Teofilo Truffamondo citato in alcuni documenti romani (1). Prima di addentrarci in questioni critico attributive è bene sottolineare i tratti distintivi dell’artista desunti dalla triade di pale d’altare raffiguranti l’Incoronazione di Spine, la Deposizione e la Flagellazione, situate nella Cappella Pizzichetti della chiesa di S. Maria in Aquiro a Roma, la cui documentazione, riesaminata, ha consentito di riferire con certezza alla sua mano, e sulle quali si tornerà a breve. Il pittore, come ben appare dal confronto dell’Adorazione del Bambino qui presa in esame con la citata Incoronazione di Spine, costruisce la fisionomia dei volti semplificandone i profili che, torniti dalla luce, appaiono stagliarsi netti contro il fondo scuro dell’ambientazione. Le ombre taglienti, frutto dell’osservazione diretta delle atmosfere notturne, sono utili a segnare le volumetrie che appaiono definite con repentini passaggi tonali, non senza ricorrere all’uso del pigmento rosso per simulare il rossore delle gote, delle nocche delle mani, in un continuo confronto con il dato naturale. Altro stilema caratteristico di Massa è disegnare i personaggi con gli occhi socchiusi – quasi fossero troppo sensibili alla luce artificiale – e allungati, ottenuti segnando con una pennellata scura la rima cigliare, che si fonde con l’iride in un tutt’uno. Anche la gestualità appare semplice per renderla intellegibile nelle tenebre che avvolgono i personaggi, una soluzione compositiva – che è al contempo cifra stilistica consapevole – apprezzata dai collezionisti del tempo. L’autore, infine, nell’ideare le sue scene le fa ruotare su un asse centrale luminoso, costituito dalla fonte artificiale o come nel nostro caso dalla figura di Gesù Bambino, chiaramente derivata da prototipi dell’olandese Gerrit van Honthorst che l’artista doveva sicuramente aver conosciuto, come l’Adorazione del Bambino della Galleria degli Uffizi di Firenze (Inv. 1890 n. 739). Nell’Adorazione del Bambino è evidente come Massa abbia meditato comunque anche su esiti pittorici rinascimentali antecedenti, come la cosiddetta Notte di Correggio (Dresda, Statens Museum), in cui il buio è rischiarato non da astri o fonti luminose artificiali, come candele o lampade, ma dal Bambino stesso, che emana la luce divina. Una soluzione iconografica, quest’ultima, derivante da una più antica che vede Gesù raffigurato raggiato e in cielo a simboleggiare la cometa – come nella Visione dei Re Magi di Roger van der Weyden del Trittico Bladelyn (Berlino, Gemäldegalerie) – conosciuta in Italia attraverso le xilografie provenienti dal Nord Europa. A questi colti rimandi figurativi è accostato un ductus pittorico che non manca di tingersi di chiare reminiscenze romane, oscillando tra fisionomie idealizzate come quella della Vergine e quelle più rustiche, come in Giuseppe, con le mani gonfie tipiche dell’uomo anziano che ha svolto nella sua vita lavori umili, di chiara derivazione caravaggesca. Per il Gesù addormentato nella mangiatoia invece l’artista ha con tutta evidenza osservato i prototipi scultorei di François Du Quesnoy, all’epoca diffusi capillarmente nelle collezioni dell’Urbe, incentrati sulla raffigurazione di putti grassottelli e sonnacchiosi (o a compiere azioni, come baruffe o mangiare uva), che ebbero grande influenza su pittori classicisti del calibro di Karel Philips Spierink e Nicolas Poussin. Come accennato Giacomo Massa sembra prendere a modello per la sua Adorazione del Bambino il dipinto di uguale soggetto di Gerrit van Honthorst, al quale si possono anche affiancare le tele di Matthias Stom, come l’Adorazione dei Pastori del Museo Civico di Torino e, ancor più concettualmente simili, gli esemplari conservati a Leeds, Temple Newsam House, e di Hull, collezione Catherine O’Neill (quest’ultima catalogata da Benedict Nicolson) dove le figure della Madonna compiono il gesto di sollevare delicatamente il panno bianco con le mani tenendolo con il pollice in opposizione all’indice, per coprire il corpicino nudo di Gesù (2). Pur semplificando le composizioni, così come la resa materica delle vesti quasi sempre dipinte di rosso, terra gialla e blu, Massa predilige stesure sottili di pigmento, poi sapientemente rialzato da tocchi di pennello con colori fluidi e corposi; nell’ Adorazione del Bambino lo si può ben notare nella paglia del sacro giaciglio, sulle punte delle dita della Madonna, sul suo volto e su quello di Giuseppe. È chiara la capacità di Massa di fondere i linguaggi di più maestri e sunteggiare molteplici spunti figurativi, costruendo anche nella ripetizione dei prototipi come delle fattezze dei personaggi una produzione artistica ampia e continuativa, sufficientemente caratterizzata e di grande suggestione atmosferica per i decisi chiaroscuri. Sul tema del notturno e del lume di candela negli ultimi decenni gli studiosi si sono molto interrogati dando adito a una intensa attività critica soprattutto riguardo a una produzione di tele di stile caravaggesco di cui era difficile determinare l’autore. Esse furono riunite dapprima sotto il nome di comodo di Candlelight Master, poi sotto quello di un artista dalla fisionomia ancora sfuggente come il già citato Trophime Bigot al quale, è utile ricordare, si riferisce un’Adorazione dei Magi per la chiesa di San Marco a Roma firmata Theofilo Trufamon, ancora permeata di soluzioni manieriste e ben lontana dalla soffusa atmosfera prodotta dalle rifrazioni della luce artificiale che caratterizza tale gruppo di dipinti (3). A complicare la questione fu la pubblicazione nel 1978 da parte di Jacques Thuillier di un documento relativo alla caparra di trenta scudi pagata nel 1634 a un tale mastro Jacomo pittore per un quadro della cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro poi identificato con quello raffigurante la Deposizione di Cristo (4).
Un punto fermo rispetto all’identità dell’autore di questo nucleo di dipinti caratterizzati dal lume artificiale è stato messo solo di recente grazie all’incrocio di diversi documenti. Nel 2012, grazie a capillari ricerche archivistiche condotte da chi scrive, si è finalmente addivenuti a un nome certo indentificando mastro Jacomo con Giacomo Massa (5), la cui personalità nel tempo si è andata sempre più delineando. Di recente, nel 2020, uno studio di Rossella Vodret e del compianto Giorgio Leone ha potuto stabilire l’origine romana del pittore e la data del battesimo avvenuto nella parrocchia di S. Marco il 26 settembre 1596. Figlio del marchigiano Pietro, originario di Fermo, e della romana Felice Berta, Giacomo Massa compare citato con l’appellativo di “pittore romano” nel 1627, quando doveva essersi affrancato oramai dalla bottega di un collega presso cui dovette svolgere l’apprendistato6. A influenzare il giovane artista, forse più di altri, fu Gerrit van Honthorst attivo nell’Urbe fino al 1620 dove divenne noto con l’appellativo di Gherardo delle Notti per la sua capacità di utilizzare la fonte luminosa artificiale nelle tele di ambientazione notturna. L’incontro dovette avvenire, se vi fu, proprio nella fase in cui Massa si stava formando. Al magistero di Honthorst si deve aggiungere quello di un altro olandese, Matthias Stom che della pittura rischiarata da fonti artificiali, anche celate all’occhio dello spettatore, fece una cifra stilistica particolarmente apprezzata dai collezionisti contemporanei. Va esclusa al momento la possibilità che Trophime Bigot possa aver avuto un ruolo nella formazione di Giacomo Massa, in quanto la notizia offerta di Joachim von
Sandrart nella sua Teutsche Akademie secondo cui il francese dipingeva a lume di candela7, trova pochi addentellati, tra i quali, oltre a quello dell’inventario Giustiniani, uno nell’inventario inedito di Marcantonio Vittori del 1627, che ricorda nella Galleria a Monte Cavallo «un quadro di due che giocano a morra di notte del Truffamondi con cornici nere», suggerendo la scelta dell’artista di ambientare nell’oscurità le scene di genere, e non quelle sacre, che invece compongono pressoché interamente i numeri del suo catalogo stilato da Benedict Nicolson8. Tali dipinti vanno oggi più opportunamente ricondotti alla mano di Giacomo Massa, escludendo alcune tele chiaramente riconducibili ad altro autore.
Di fatto, per ricostruire il catalogo dell’artista, imprescindibile punto di partenza restano le tre pale dipinte per S. Maria in Aquiro. Il committente, l’oleario Francesco Pizzichetti, nel suo testamento rogato il 25 ottobre 1629 nominò tutori della figlia Cecilia, Francesco Giordano e Luca Tartaglia, incaricati di sovrintendere ai lavori di decorazione di una cappella situata in Santa Maria in Traspontina, chiesa mutata in un codicillo del giorno seguente in favore di Santa Maria in Aquiro (9). Qui trovano posto, in un insieme di stucchi e decori ad affresco realizzati dallo stuccatore comasco Giovanni Angelo Bartolo e dal pittore Giovan Battista Speranza, tre grandi tele, giunte a noi in condizioni conservative assai diverse tra loro, raffiguranti l’Incoronazione di Spine a sinistra, la Deposizione sull’altare e la Flagellazione a destra. Dipinte «a lume di notte», secondo una definizione secentesca riservata in genere alla pittura del capostipite di questo genere, ovvero il già ricordato Gerrit van Honthorst, le tre tele hanno costituito per anni uno dei più affascinanti enigmi caravaggeschi che, come abbiamo visto, ha attirato l’interesse di molti studiosi (10).

Come accennato, le nuove indagini hanno permesso di individuare l’artista delle tre tele in Giacomo Massa pagato dal Banco del Monte di Pietà tra il dicembre 1633 e il 25 maggio 1635 ben centottanta scudi. Le tre tele presentano un differente stato di conservazione, condizionato forse dall’esposizione al calore di un incendio che devastò l’altare maggiore della chiesa nel 1845, nel quale perì la Visitazione di Santa Elisabetta di Carlo Maratta11, oltre che dall’umidità ambientale. I restauri condotti da Carlo Giantomassi e Donatella Zari hanno evidenziato che i tre dipinti sono accomunati dal supporto, una tela a trama ortogonale, e dalla preparazione dell’imprimitura, la stessa che ritroviamo nell’Adorazione del Bambino, che suggerisce dunque una datazione prossima alla committenza Pizzichetti, collocabile a mio avviso tra 1630 e 1635 (12). I rinvenimenti documentari hanno consentito di fare chiarezza sull’artista, facendo cadere l’ipotesi che Massa avesse potuto svolgere in Santa Maria in Aquiro il solo ruolo di imprenditore, come proposto dapprima da Giorgio Leone (13), seguito da Gianni Papi il quale ha continuato a sostenere
anche dopo la pubblicazione dei pagamenti che Massa non potesse aver eseguito le tre tele contestualmente, senza addurre altra prova che l’osservazione diretta che a suo parere provava l’intervento di più mani sui dipinti14.
Il confronto con i dipinti di Santa Maria in Aquiro, assegnati per via documentaria indiscutibilmente alla sua mano, ha consentito di ricostruire un primo catalogo di Giacomo Massa nel quale si può agevolmente inserire il dipinto raffigurante l’Adorazione del Bambino qui preso in esame per le caratteristiche peculiari ascrivibili al suo stile, già sopra delineate. Massa, oltre a lavorare in Santa Maria in Aquiro, dipinse notturni illuminati da luci artificiali ripetendo le medesime fisionomie come appare nel Cristo in Emmaus di Musée Condé di Chantilly, nella Cattura di Cristo dei Musei Civici di Pesaro, nel Cristo Deriso del Museo Comunale di Prato e nel San Francesco in meditazione del Museo francescano di Roma (15). L’anziano modello che interpreta Giuseppe nella nostra tela è lo stesso che si presta a posare per il dipinto di Chantilly nelle vesti del pellegrino di Emmaus che, una volta riconosciuto Cristo, alza entrambe le mani al cielo in segno di stupore. Lo ritroviamo ancora simile nella Negazione di San Pietro di collezione privata a Montville e ancora nel Giuseppe falegname delle Royal Collection di Hampton Court16. In quest’ultima tela la fisionomia di Gesù, intento a versare con l’orciolo in maiolica l’olio nella lampada che serve a illuminare il piano di lavoro del padre putativo, è accostabile all’angelo alle spalle della Madonna che osserva il figlio che irraggia la luce celeste nell’Adorazione del Bambino, nonché alla giovane con i capelli corti che compie lo stesso gesto usando il medesimo orciolo nella tela della Galleria Doria Pamphilj di Roma17. Il ricorrere delle medesime composizioni suggerisce l’uso di cartoni da parte dell’artista, importante patrimonio iconografico di bottega, cui si aggiungono anche stoviglie come l’orciolo con beccuccio e la scritta OLIO diffusi in centro Italia. A riprova di tali dinamiche compositive si conosce una seconda versione del nostro dipinto, di qualità più corsiva, nella collezione del Monastero degli Agostiniani all’Hôtel-Dieu in Quebec (18), ove la scena si tinge di colori più carichi e di una luce dai toni caldi quasi arancioni, tanto che il panno tenuto dalla Vergine, anziché essere di un bianco candido è divenuto color giallo paglia.

Adriano Amendola

 

1 A. Amendola, La cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: il vero nome di mastro Jacomo, «Bollettino d’arte», 97, 2012, 16, pp. 77-86.

2 Benedict Nicolson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, III, Torino 1990, nn. 1510, 1511, 1538.

3 Vitaliano Tiberia, Un’aggiunta per Teofilo Trufamond, «Bollettino d’arte», 76, 1990, pp. 71-72.

4 Jacques Thuiller, La Peinture en Provence au XVIIe siècle, Marseille 1978, p. 3, rendeva noto il pagamento segnalatogli da Olivier Michel senza specificare la fonte archivistica. Elena Fumagalli, Pittori Senesi del Seicento e committenza
medicea. Nuove date per Francesco Rustici, in «Paragone», 479-481, 1990, pp. 69-82, in particolare p. 75, 81-82 nota 37, ha precisato la segnatura archivistica del documento e ne ha fornito la trascrizione tratta da Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Pia Casa degli Orfani Santa Maria in Aquiro e SS. Quattro Coronati, tomo 288, ff. 170r-172r, segnalando l’originale in Archivio di Stato di Roma, Trenta Notai Capitolini, ufficio 2, notaio Leonardus Bonannus, vol. 126, ff. 690r-698v. Sui documenti è tornata Cecilia Mazzetti di Pietralata, Prima e dopo Caravaggio… cit., p. 207.

5 A. Amendola, La cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: il vero nome di mastro Jacomo, «Bollettino d’arte», 97, 2012, 16, pp. 77-86.

6 Rossella Vodret, Giorgio Leone, La cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: per Giacomo Massa pittore romano, in Georges de la Tour. L’Europa della luce, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 7 febbraio – 7 giugno
2020) a cura di Francesca Cappelletti, Thomas Clement Salomon, Milano 2020, pp. 136-137.

7 Arnauld Brejon de Lavergnée, Jean Pierre Cuzin, Trophime Bigot, in I caravaggeschi francesi, catalogo della mostra (Roma, Accademia di Francia, Villa Medici, 15 novembre 1973-20 gennaio 1974), Roma 1974, pp. 9-23, in particolare
p. 9.

8 Benedict Nicolson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, II, Torino 1990, nn. 831-874.

9 Cecilia Mazzetti di Pietralata, Prima e dopo Caravaggio. Appunti di ricerca per il contributo nordico, in Caravaggio e l’Europa. L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, Atti del convegno internazionale di studi a cura di Luigi Spezzaferro, Milano 3-4 febbraio 2006, Cinisello Balsamo (Milano) 2009, pp. 197-213, in particolare pp. 206-207.

10 In particolare, per l’Incoronazione di Spine, tela che presenta le migliori condizioni conservative, oltre al nome di Gerrit van Honthorst, è stato proposto quello convenzionale del Candlelight Master escludendo quello di mastro Jacomo, considerato per le affinità stilistiche un suo semplice seguace. L’individuazione del nome dello sconosciuto pittore ha favorito inoltre una revisione del corpus di Trophime Bigot, artista ricordato da Joachim von Sandrart quale autore di tele
a lume di candela, e conseguentemente del Candlelight Master, che appaiono riuniti insieme in Benedict Nicholson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, I, Torino 1990, pp. 59-64. Secondo Jean
Pierre Cuzin la personalità del Candlelight Master è da far coincidere con il mastro Jacomo di Santa Maria in Aquiro (J.P. Cuzin, Trophime Bigot: A Suggestion, in «The Burlington Magazine», CXXI, 914, 1979, pp. 301-305); per Wolfgang
Prohaska Trophime Bigot coinciderebbe con il Candlelight Master, autore dell’Incoronazione di Spine e della Deposizione, mentre mastro Jacomo sarebbe autore della Flagellazione (W. Prohaska, “Il problema”… cit., pp. 99-101; L’enigma Trophime Bigot in I Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, a cura di Alessandro Zuccari, II, Milano 2010, pp. 317-323). Leonard Slatkes, Master Jacomo, Trophime Bigot, and the Candlelight Master, in Continuity, Innovation, and Connoisseurship. Old Master Paintings at the Palmer Museum of Art, catalogo della mostra a cura di Mary Jane Harris, Philadelphia 2003, pp. 62-83, ha riconosciuto la mano di mastro Jacomo nella Deposizione e nell’Incoronazione di Spine, escludendo quella di Trophime Bigot. Secondo Gianni Papi Trophime Bigot, il Cadlelight Master e mastro Jacomo sono tre identità ben distinte (G. Papi, Trophime Bigot… cit., pp. 12-13). Queste attribuzioni sono state sostanzialmente ribadite da Rossella Vodret, Belinda Granata, Non solo Caravaggio, in Roma al Tempo di Caravaggio 1600-1630. Saggi, catalogo della mostra a cura di Rossella Vodret, Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 16 novembre 2011-5 febbraio 2012, Milano 2012, pp. 85-88.

11 Erich Schleier, The Mystic Marriage of St. Catherine: An Unknown Work of Giovanni Battista Boncori, c. 1673-1675, in the Palmer Museum of Art, in Continuity, Innovation, and Connoisseurship. Old Master Paintings at the Palmer Museum of Art, catalogo della mostra a cura di Mary Jane Harris, Philadelphia 2003, pp. 135-146 in particolare p. 142.

12 Si veda il resoconto del restauro in Rossella Vodret, Giorgio Leone, La cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: per Giacomo Massa pittore romano, in Georges de la Tour. L’Europa della luce, catalogo della mostra (Milano,
Palazzo Reale, 7 febbraio – 7 giugno 2020) a cura di Francesca Cappelletti, Thomas Clement Salomon, Milano 2020, pp. 135-136.

13 Giorgio Leone, Mattia Preti a Roma negli anni trenta del Seicento: tracce e riflessioni, in Il Cavalier calabrese. Mattia Preti tra Caravaggio e Luca Giordano, catalogo della mostra (Torino, Venaria Reale, 16 maggio-15 settembre 2013), a
cura di Vittorio Sgarbi, Keit Sciberras, Cinisello Balsamo 2013, p. 34, n. 55.

14 Gianni Papi, Maestro del lume di candela (Giacomo Massa?), in Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre, catalogo della mostra (Firenze, Gallerie degli Uffizi, 10 febbraio-24 maggio 2015), Firenze 2015, p. 246, n. 56.

15 Benedict Nicolson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, II, Torino 1990, nn. 833-836, assegnate a Bigot. A. Amendola, La cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: il vero nome di
mastro Jacomo, «Bollettino d’arte», 97, 2012, 16, p. 84, attribuisce per primo le tele a Giacomo Massa, parere ripreso poi da Rossella Vodret, Giorgio Leone, La cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro: per Giacomo Massa pittore
romano, in Georges de la Tour. L’Europa della luce, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 7 febbraio – 7 giugno 2020) a cura di Francesca Cappelletti, Thomas Clement Salomon, Milano 2020, pp. 131-143.

16 Benedict Nicolson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, II, Torino 1990, nn. 846, 862.

17 Benedict Nicolson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, II, Torino 1990, n, 864.

18 Benedict Nicolson, Caravaggism in Europe. Second Edition, revised and enlarged by Luisa Vertova, II, Torino 1990, n. 859.

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