Caterina de Julianis
(Napoli circa 1670 – circa 1743)
Maddalena penitente
1717
Cera policroma, carta dipinta, vetro, tempera su carta e altri materiali, cm 21,5 x 27, entro la cornice originale dorata ed ebanizzata, cm 53,7 x 59, al retro sigillata con foglia di piombo
Firmata e datata in basso a sinistra: “Caterina de Julianis F. 1717”
Provenienza: Roma, collezione privata

 

La Maddalena è genuflessa in un anfratto della roccia, rivolge lo sguardo al cielo e porta la destra al petto. Nell’arte cristiana rappresenta il prototipo della penitente, della pentita che si ritira a meditare e purificare lo spirito. Infatti di solito contempla un crocifisso, in questo caso legato ad un arbusto alle sue spalle, e viene accompagnata da un balsamario, a ricordo del vaso da cui trasse l’unguento per lavare i piedi di Cristo, qui posto sulla destra, un libro ed il teschio, tipici oggetti di meditazione, visibili a sinistra, poggiati in terra. La De Julianis non rappresenta altri due elementi simbolici che talora accompagnano la Santa, cioè la corona di spine ed il flagello che in questo caso è però sostituito dalla catena, strumento penitenziale col quale essa viene raramente raffigurata.

In quanto all’iconografia, va osservato che questa Maddalena non segue i canoni più convenzionali in uso nell’età barocca, quando viene raffigurata seminuda, coperta dai lunghi capelli o in parte da un manto (Hall 1974, pp. 256-258). Al contrario ella mostra allo scoperto il minimo indispensabile, soltanto il braccio destro con parte della spalla ed una punta del ginocchio sinistro, visibili a causa della consunzione della tunica e del manto. Dunque un’immagine molto più castigata del solito, per una precisa volontà dell’autrice che anche in un’altra Maddalena (coll. Sgarbi), si limitò ad esporre le sole braccia. In entrambi i casi il modello di riferimento non fu una Maddalena bensì una santa la cui vita era stata ben più morigerata, cioè santa Rosalia. In effetti le figure in cera riprendono in controparte e quasi letteralmente, salvo le scarse nudità, nella posa come nell’abbigliamento, la Santa Rosalia coronata dagli angeli, dipinta nel 1624-25 a Palermo da Anton van Dyck, ora nella Menil Collection di Houston, U.S.A. (Mendola 1999, p. 101, fig. 15; Salomon 2012, pp. 98-101, scheda 14), conosciuta da Caterina attraverso qualche stampa.

La composizione della Maddalena Sgarbi è molto più semplice e presenta un repertorio vegetale molto più ridotto. Nella ceroplastica di cui si tratta, invece, si afferma una ricca presenza di piante ed animali motivata non soltanto da un piacevole intento narrativo ma, molto probabilmente, da un’intenzione allegorica da parte dell’artista. Una lettura in tal senso non ci compete in questa sede ma la si può tentare con brevi cenni e parzialmente, anche senza procedere all’individuazione delle singole piante e dei loro accostamenti. Ad esempio potremmo vedere nei fiori la rappresentazione della caducità della bellezza e dell’apparenza, in tono con il soggetto della Maddalena la cui redenzione fu raggiunta attraverso la penitenza e il tenace amore di Cristo, simboleggiati dall’edera, radicata alla roccia dell’antro, sfociando in una purezza spirituale, rappresentata al centro nel cespo di rose bianche. Sempre collegati alla figura della protagonista i significati che potrebbero darsi agli animali, con le lepri alludenti alla solitudine e alla mitezza, la chiocciola alla crescita spirituale, forse alla purezza il cacatua bianco, appollaiato fra le rocce sul capo della penitente. In quanto al cervo ferito che si abbevera alla fonte simboleggia l’anima assetata di Dio, secondo un motivo tipico della cultura mistica, accolto anche da S. Giovanni della Croce e ancora da S. Alfonso de’ Liguori.

Dunque la De Julianis si propone come una delicata e precisa narratrice di quadretti naturali, popolati da una flora mediterranea con cui si mescolano piante esotiche, come le tante bulbacee o i tulipani che vediamo intorno alla Maddalena, in tono con la moda del suo tempo. Qui, come in molti altri casi, ad esempio l’Adorazione dei pastori e dei Magi dell’Immacolata di Catanzaro, gli elementi della flora sono di solito rappresentati con grande abilità descrittiva, realizzati in carta o seta dipinti. Non per niente ai suoi tempi l’artista era molto apprezzata per i suoi “bellissimi, e naturalissimi fiori fatti di seta, e che hanno gli odori secondo la specie loro”(De Dominici [1743], 2008, III, t. 2, p. 1182). Ed un qualche consenso ella riscosse anche come pittrice di “paesi con figurine”(Ibidem), il che ci consente di attribuirle molti degli sfondi paesistici presenti nelle sue ceroplastiche, spesso ben integrati con gli elementi modellati; dipinti di qualità non eccelsa ma scenograficamente efficaci, come vediamo in questa Maddalena dove non solo lo sfondo, ma anche tutto lo spuntone di roccia con alcune piante, posto a fare da quinta sul lato sinistro, risultano dipinti a tempera su carta. Questa tecnica si riscontra non solo in scene con singoli personaggi, si veda il San Cristoforo, passato ad un’asta di Cambi (Milano, 18 novembre 2015, lotto 4), ma anche in quelle più affollate, come nei presepi o in altre rappresentazioni di storie sacre, mentre è più rara nelle celebrate rappresentazioni di cimiteri, cadaveri ed ossa spolpate su cui si fonda, credo non a ragione, la fama della De Julianis e che erano in perfetta consonanza col gusto macabro del tardo barocco, di cui si era fatto interprete il grande Gaetano Zummo che si dice sia stato suo maestro. In tutte queste opere, diverse per gusto e per soggetto, la De Julianis mostra sempre una notevole qualità di modellato, spesso una delicata carica di poesia, e la volontà di dare valore tattile a certi elementi come panneggi o rami, eseguiti talora usando rametti e stoffe vere, e intensità naturalistica a fiori e fogliami, dipinti con estrema precisione. In questa ceroplastica l’artista ricerca non solo l’effetto realistico delle vesti, in stoffa vera incerata, o dell’acqua, il cui zampillo è costituito da un cannello di vetro ritorto, ma da anche la sensazione dell’umido, passando una pennellata leggera di vernice sull’edera che si sviluppa nell’antro.

Renato Ruotolo

 

Bibliografia

J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Longanesi & C., Milano 1983.

G. Mendola, Nuovi documenti per Van Dyck e Gerardi a Palermo, in 1570. Porto di mare. 1670. Pittori e Pittura a Palermo tra memoria e recupero, catalogo della mostra (Palermo, 30 maggio-31 ottobre 1999), a cura di V. Abbate, Electa Napoli, Napoli 1999, pp. 88-105.

X. Salomon, Van Dyck in Sicily: 1624-1625 painting and the Plague, catalogo della mostra (Dulwich Picture Gallery-London, 15 febbraio-27 maggio 2012), Silvana editorial, Cinisello Balsamo, Milano 2012.

B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, III [1742], ed. cons. a cura di F. Sricchia Santoro e A. Zezza, Paparo Edizioni, Napoli 2008, III, pp. 1182-1183.

Katharina Dohm, Claire Garnier, Laurent Le Bon, Florence Ostende (a cura di), Dioramas, catalogo della mostra, Palais de Tokyo, Parigi, 14 giugno – 15 settembre 2017, ill. p. 22.

 

 

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