Carlo de Paris

(Barcellona 1800 – Roma 1861)

Veduta della Valle del Messico

1836 circa

Olio su tela, cm 148,5 x 221,5

Provenienza: Roma, collezione privata

Dopo un lungo oblio, dovuto alla dispersione di molte delle opere testimoniate dalle fonti dell’epoca, la figura di Carlo de Paris è stata via via riscoperta fino all’approfondimento che gli viene ora dedicato nell’ambito della mostra Roma en México México en Roma, dedicata ai proficui rapporti tra la romana Accademia di San Luca e quella messicana di San Carlos nel corso dell’Ottocento (Camboni 2018). Gli scambi artistici tra i due istituti giunsero negli anni ’40 del secolo all’acquisto di opere d’arte eseguite a Roma come modelli figurativi esemplari per la didattica accademica messicana e al reclutamento qui dei docenti chiamati in Messico per innestare su solide basi classiciste e puriste il rinnovamento della cultura figurativa locale. Gli allievi più promettenti dell’accademia furono poi mandati a Roma per il perfezionamento del pensionato artistico, in modo da poterli poi impiegare nei progetti di abbellimento pubblici (Sartor 1997; Roma en México 2018). Un precursore di questi rapporti era stato proprio de Paris, che raggiungendo nel 1828 il Messico era tra i primi allievi dell’Accademia di San Luca a tentare la via delle Americhe: dopo la fondamentale vicenda di Giuseppe Ceracchi, ritrattista dei padri fondatori degli Stati Uniti, e in anticipo sulla celebre decorazione a fresco realizzata da Costantino Brumidi per il Campidoglio di Washington.

Inedita per un pittore poteva allora essere considerata la destinazione messicana. La raggiunse in compagnia del fratello Gaetano, impresario teatrale e lirico, che formò una compagnia di cantanti chiamati dall’Italia sotto la direzione dello stimato interprete rossiniano Filippo Galli (Galí Boadella 2002, pp. 301-302), promuovendone le esibizioni nel Coliseo de México che lo stesso pittore doveva contribuire a decorare.

Carlo de Paris era nato a Barcellona di padre aragonese e madre romana, e dopo la scomparsa dei genitori era stato indirizzato dal precettore Giovan Francesco Masdeu all’educazione artistica, prima con il pittore spagnolo Josè Aparicio, quindi con Luigi Agricola. All’Accademia di San Luca aveva seguito le lezioni di Gaspare Landi, giungendo secondo al concorso Canova con la Continenza di Scipione (Roma, Accademia Nazionale di San Luca) e specializzandosi nel genere storico, sia di soggetto classico che letterario romantico, anche durante un soggiorno milanese.

Al suo arrivo a Città del Messico de Paris fu sottoposto a una prova di pittura estemporanea dal modello vivente dai membri dell’Accademia di San Carlos, per comprovare di essere l’autore dei dipinti dimostrativi che aveva portato con sé dall’Europa. Si affermò quindi con un dipinto di soggetto romano, La cappella Pontificia nel Palazzo del Quirinale con funzione papale, cui seguì l’incarico per i padri Filippini di una grande tempera absidale rappresentante il Calvario. Nel curioso e vivace abbozzo di autobiografia, pubblicato postumo da Francesco Gasparoni nel 1863, de Paris descriveva le commissioni successive, di ritratti e dipinti storici, nei quali tentò consapevolmente di adattarsi al gusto del paese. Il grande dipinto di storia moderna rappresentante la Resa della divisione spagnola comandata dal generale Barradas nella provincia di Tampico (Città del Messico, Museo Nacional de Historia “Castillo de Chapultepec”), fu eseguito sotto il controllo iconografico degli aiutanti del generale Antonio López de Santa Anna, che ritrasse (Città del Messico, Museo de Historia de la Ciudad), e destinato alla sala del Congresso Generale. Fu incaricato poi di eseguire i ritratti di tutti i presidenti della repubblica, Victoria, Guerrero, Pedrasa, del vicepresidente Gomez Farias e di Agostino Iturbide, ai quali fu riservato l’onore della collocazione nella Sala municipale (Mazio 1845, p. 163). Proprio ricordando lo stile adottato nei ritratti de Paris affidava alle proprie memorie un dato in grado di illuminare le ragioni formali di tanta arte ispano-americana del periodo, quando ammetteva di dipingerli “quasi senza ombre, perché alcuni committenti si lagnavano, dicendo che essi non avevano il viso tinto” (de Paris 1863, p. 336).

In quegli anni de Paris fece molti viaggi per il vasto paese “disegnando i diversi vestimenti di quegl’indigeni, e dipingendo molte vedute di quelle regioni interessantissime per quadri di paesaggio, variando sempre la natura de’ luoghi, e della vegetazione a seconda della elevazione del terreno dal livello del mare” (de Paris 1863, p. 336). Il frutto di queste peregrinazioni, oltre a un museo di storia naturale e di archeologia, fu un album di 100 disegni di figure e paesaggio e altri con gli usi e costumi del Messico che riportò a Roma nel 1836, proponendosi di darli alle stampe in litografia. Questo materiale grafico fu alla base dei dipinti di soggetto messicano eseguiti anche negli anni seguenti, come i “paesaggi storici”, un genere in cui eccelleva l’amico Massimo D’Azeglio, quali le grandiose vedute descritte sul giornale Il Saggiatore dove ambientava i fatti della conquista spagnola (Mazio 1844). A queste opere de Paris alternò le vedute romane, i soggetti storici romantici e quelli di storia contemporanea, dalla serie dedicata alle vicende rivoluzionarie romane del 1848-49, fino ai dipinti celebrativi del pontificato di Pio IX, come il Ritorno di Pio IX a Roma il 12 aprile 1850 (Città del Vaticano, Museo Storico, Palazzo Lateranense) e la Proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione (Roma, Fondazione Roma).

Tra le rare vedute messicane di de Paris finora riscoperte, si possono annoverare la Veduta della Plaza Major di Città del Messico (1853, Città del Messico, Museo Franz Mayer, Mexico 1994, pp. 40, 116-17), quella del Pico de Orizaba, o Citlaltépetl (1853, Città del Messico, collezione privata in deposito presso Fomento Cultural del Banco Nacional de México; cfr. S. Grandesso, in A Picture Gallery 2012, pp. 84-87; S. Grandesso, in Roma en México 2018, pp. 255-257) e la Veduta della Valle del Messico conservata al Pantheon (Roma, Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, cfr. M. Gianfranceschi, in Tiberia 2016, pp. 184-187).

Sappiamo che quell’opera, datata 1835, fu presa dal vero dall’artista che dimorò a questo scopo alcuni mesi in un edificio che dominava la valle (cfr. i verbali dei Virtuosi al Pantheon per il 1862, cit. in M. Gianfranceschi, in Tiberia 2016, p. 185). Il dipinto era così descritto nelle memorie: “Eseguii un quadro lungo circa palmi 10 per 7 ove feci la veduta della valle di Messico presa dall’elevazioni o colline che sono all’ovest di detta valle. Terminato che l’ebbi non mancommi offerta di somma di qualche considerazione se volevo disfarmene, ma siccome ero io prossimo a partire per l’Europa, non volli disfarmi di un tale lavoro, tanto più che l’avevo dipinto con animo di portarlo in Roma, e conservarlo per memoria di un paese ove ero stato sì bene accolto dagli ottimi suoi abitanti” (de Paris 1863, pp. 401-402). Rispetto a quel prototipo, destinato poi per volontà testamentaria all’Accademia dei Virtuosi al Pantheon, di cui l’artista aveva fatto parte, la versione inedita che qui si presenta deve essere stata dipinta da de Paris poco dopo il ritorno in Roma, probabilmente per soddisfare la richiesta di acquisto da parte di un committente.

La veduta costituisce una testimonianza rarissima e forse unica dell’aspetto della capitale messicana, ancora circondata dalle acque, negli anni Trenta del secolo. Ma anche all’interno della tradizione vedutistica della pittura di soggetto messicano possiede l’importanza di un incunabolo, in grande anticipo rispetto alle celebri vedute del piemontese Eugenio Landesio, giunto nel 1855 da Roma per l’insegnamento accademico, e del suo allievo José Maria Velasco.

“La Valle del Messico è da lui ritratta in quell’ora che avendo, secondo è solito colà in tempo di estate piovuto a dirotta, nelle ore pomeridiane il cielo si rasserena, tingendosi a rosso così, come appena colorirlo veggiamo noi un Aurora Boreale”, come spiegava un commentatore contemporaneo (Checchetelli 1839, p. 174). La grandiosa visione accesa di forti cromatismi, ampia fino ad abbracciare la capitale vista da lontano e le imponenti cordigliere vulcaniche che la circondano, arricchita dalle testimonianze della flora endemica e dell’aspetto e dei costumi delle popolazioni locali, dimostra gli interessi dell’artista per il sublime del paesaggio americano e per la documentazione etnografica dei suoi abitanti. Come ricordava il critico contemporaneo Paolo Mazio “una prepotente passione signoreggiava il De Paris, quella di studiare il vero nella natura e nelle usanze del Messico. Giganteggia quivi la natura come in tutte altre parti del suolo americano: immense lande, savanne come dicono gli Spagnuoli o praterie senza confine, laghi, quando aperti quando intorniati da selve, che paiono oceani […]; aggiungete immensi fiumi […], foreste in cui la vegetazione tocca il massimo di sua forza, e poi vulcani, dirupi, montagne onde si scopre ampio e magnifico tratto di terra e di mare.” E concludeva ricordando questa veduta: “L’ultima opera che condusse in America, fu la veduta generale della Valle di Messico con varie figure che rappresentano alcuni costumi villerecci di detta provincia” (Mazio 1845, pp. 164-165).

La descrizione letteraria della Valle del Messico affidata dal pittore stesso alla sua autobiografia sembra commentare anche il dipinto: “La Valle di Messico, o, come dicevan gli antichi, di Anahuac, è la più bella e la più pittoresca di quante altre meritino attenzione in tutto il regno. Circondata da montagne la maggior parte di porfido, si apre per circa 34 miglia nel diametro maggiore, 18 nel minore, e poco più di cento in periferia, formando un bacino ellittico sul grande altipiano di Anahuac, elevato di 8227 piedi sul livello del mare. La irrigano varie sorgenti di acque minerali che scaturiscono dalle viscere di non pochi vulcani adiacenti, i quali, benché da lungo tempo estinti o almeno tranquilli, mostrano pure all’interno copiose ed evidenti tracce di antiche ripetute eruzioni.” (de Paris 1863, p. 263). Descriveva poi i diversi laghi, di Tzopango, Xaltouan, Tetzeoco e la laguna di Chalco, e la tradizione di coltivarvi degli orti galleggianti, che rifornivano di verdure fresche quotidianamente la capitale. Il colle sormontato da un edificio al centro del dipinto era poi così citato: “Nella parte occidentale della detta valle, ed interamente isolato dagli altri monti si eleva il piccolo Chapultepec a circa un paio di miglia dalla città. Un magnifico bosco di eccelsi alberi (detti dagli spagnoli sabinos, e dai naturalisti Cupressus sempser virens) ne riveste la pianura all’interno del monticello. Ivi gl’imperadori messicani si ricreavano, e vi tenevano specialmente la lor caccia riservata. Evvi sulla spianata in vetta al monte un palazzo fabbricatovi dal Conte di Galves vicerè di Spagna in oggi assai guasto.” A sinistra si erge la nobile Città del Messico, circondata dai laghi oggi prosciugati, mentre la presenza sulla destra del quadro della cima innevata e frastagliata dell’Iztaccíhuatl e del cono maestoso del Popocatepetl, nelle memorie consentiva all’artista di rievocare l’avventurosa ascesa notturna e solitaria al cratere del secondo vulcano, precluso agli uomini secondo le antiche credenze dei nativi (de Paris 1863, pp. 319-321).

A misurare la vastità dell’ampia veduta de Paris aveva collocato in primo piano del dipinto un saggio della flora messicana, il monumentale cipresso di Montezuma, o taxodium mucronatum, l’albero di yucca e l’agave salmiana. Un nativo messicano è intento a raccoglierne la linfa, con il corno bovino perforato, in modo da produrre attraverso la fermentazione nell’otre posto accanto alle tortillas il famoso pulque, che la moglie sta offrendo a una coppia di creoli. Alle loro spalle vari abitanti locali, descritti con la curiosità dell’interesse etnografico e il gusto per il pittoresco esotico nelle fisionomie e nell’abbigliamento caratteristico, sono intenti a seguire e incitare un combattimento di galli a documentare un’usanza del luogo.

 

Stefano Grandesso

 

Camboni 2018

E. Camboni, Carlo de Paris: Roma-Messico a/r, in Roma en México México en Roma. Las academias de arte entre Europa y el Nuevo Mundo 1843-1867, editado por G. Capitelli y S. Cracolici, Roma 2018,  pp. 95-110.

 

Roma en MĂ©xico 2018

Roma en MĂ©xico MĂ©xico en Roma. Las academias de arte entre Europa y el Nuevo Mundo 1843-1867, editado por G. Capitelli y S. Cracolici, Roma 2018

 

A Picture Gallery 2012

A Picture Gallery in the Italian Tradition of Quadreria (1750-1850), catalogo della mostra, New York, Sperone Westwater Gallery (2013), in collaborazione con la Galleria Carlo Virgilio & Co., a cura di S. Grandesso, Roma 2012.

 

Tiberia 2016

V. Tiberia, La collezione della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Dipinti e sculture, catalogo a cura di A. Capriotti, P. Castellani, Roma 2016.

 

Checchetelli 1839

G. Checchetelli, “Rivista di alcuni studi di belle arti in Roma. Giornata III”, in Il Tiberino, n. 44, 1839, pp. 173-174.

 

de Paris 1863

de Paris, Carlo, “Vita del pittore Carlo De Paris scritta da lui stesso, Arti e Lettere. Scritti raccolti da Francesco Gasparoni, I, 1863, XVI, pgs. 253-255; XVII, 259-264; XX, 318-321; XXI, 335-336; XXII, 350-352; XXIII, 364-365; XXV, 397-401.

 

GalĂ­ Boadella 2002

GalĂ­ Boadella, Montserrat, Historias del Bello Sexo. La introducciĂłn del Romanticismo en MĂ©xico, Messico 2002.

 

Mazio 1844

Mazio, Paolo, “Alcuni paesi del Messico dipinti da Carlo De Paris”, Il Saggiatore, A. I, vol. II, Roma 1844, pp. 210- 213.

 

Mazio 1845

Mazio, Paolo, “Il passaggio del Mar Rosso dipinto di Carlo De Paris, e il suo studio”, Il Saggiatore, A. II, vol. III, Rome 1845, pp. 162-167.

 

Mexico 1994

Mexico: a landscape rivisited, catalogo della mostra, Smithsonian Institute, 1994.

 

Sartor 1997

Sartor, Mario, “Le relazioni fruttose. Arte ed artisti italiani nell’Accademia di San Carlos di Messico”, Ricerche di Storia dell’Arte. Artisti italiani in America latina. Presenze, contatti, commerci, 63, 1997, pp. 7-33.

 

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