| OPERA DISPONIBILE
Andrea Sacchi
Nettuno 1599- Roma 1661
Apollo nella fucina di Vulcano • 1640 ca.
Olio su tavola, 60 Ă— 44 cm
Al retro, sigillo in ceralacca della famiglia Colonna; altro sigillo in ceralacca della famiglia Muccioli; iscritto a pennello: “Andrea Sacchi”
Bibliografia: inedito
Bibliografia di riferimento: A. Sutherland Harris, Andrea Sacchi: complete edition of the paintings with a critical catalogue, Oxford 1977; Andrea Sacchi 1599 – 1661, catalogo della mostra (Nettuno, Forte Sangallo, 20 dicembre 1999 – 16 gennaio 2000), a cura di C. Strinati, R. Barbellini Amidei, Roma 1999; E. A. Safarik, Collezione dei dipinti Colonna: inventari 1611 – 1795, Berlino 1996; N. Gozzano, La quadreria di Lorenzo Onofrio Colonna: prestigio nobiliare e collezionismo nella Roma barocca, Roma 2004; M. C. Paoluzzi, La collezione Colonna nell’allestimento settecentesco: la Galleria negli acquerelli di Salvatore Colonnelli Sciarra, Roma 2014; idem, Le vicende della collezione Colonna tra fine Settecento e primi Ottocento all’epoca di Filippo III (1760-1818): provenienze, dispersioni, ritrovamenti e divisioni alla luce di nuovi documenti e inventari inediti, in Studi sul Settecento romano. Aspetti dell’arte del disegno: autori e collezionisti, II, a cura di E. Debenedetti, Roma 2022, pp. 76-163.
L’ importante tavola (fig. 1) qui per la prima volta illustrata, che sarĂ oggetto di una mia pubblicazione scientifica, di finissima qualitĂ esecutiva ed eccellente stato di conservazione, è davvero un ragguardevole ritrovamento per la pittura della prima metĂ del Seicento in Italia: essa costituisce un importante tassello per ricostruire sia una delle piĂą rinomate collezioni romane sia i rapporti che legarono il suo artefice, Andrea Sacchi, con la famiglia Colonna. Infatti l’opera è citata in un inventario del 1714 – 1716, relativo alla raccolta di Filippo II Colonna (Roma 1663 – 1714), conservata nel Palazzo a tutt’oggi di proprietĂ dei discendenti, in Piazza dei SS. Apostoli a Roma: “Un quadro di misura da testa per alto rapp. te un Apollo in tavola, cioè un Apollo che entra in una fucina con tre vecchi, cioè un ciclopo, e due Vecchioni con due donzelle di schiena, originale d’Andrea Sacchi, con sua cornice nera, con attaccaglia, e battente intagliato dorato”; dimensioni, supporto e soggetto coincidono con il dipinto qui per la prima volta illustrato. Esso è quindi identificabile in una ulteriore citazione di un inventario Colonna, questa volta relativa ai beni di Lorenzo Onofrio Colonna (Palermo 1637 – Roma 1689), sempre del palazzo romano, del 1679: “Un Quadro di p.mi 2 1/3 e 1 1/2 con Apollo, Vulcano et altri con cornice d’ebano filettata d’oro opera di Andrea Sacchi”; stavolta le misure risultano ancora piĂą circostanziate e la ricorrenza della medesima cornice conferma l’ identificazione proposta con la nostra opera. Essa è citata nel 1783, nella pinacoteca di Filippo III Colonna (Roma 1760 – 1818), sempre nella dimora di famiglia a Roma: “Un Quadro
sotto il suddetto di 2 1/2 per alto = Apollo e Vulcano con Ciclopi = Andrea Sacchi”. VarrĂ la pena sottolineare come i suddetti documenti d’epoca siano raramente precisi nelle misure delle opere, e sovente equivocano i soggetti delle stesse, per cui risulta davvero raro trovare così tante rispondenze con un lavoro riemerso dall’oblio del tempo. Infatti sempre negli inventari Colonna, nel 1654, risulta che appartenne a Marcantonio V (Roma 1608 / 1609 – 1659): “Un Apollo di Andrea Sacchi ignudo in rame con Vulgano davanti che tiene il Cappello in mani con due Ciclopi, e due donne alto p.mi tre largo due con Cornice grande di ebano nero”; verrebbe da chiedersi se l’estensore del documento avesse sbagliato a riportare il supporto, in quanto sovente tali elenchi venivano stilati osservando le opere al muro, magari da una certa distanza, senza la possibilitĂ di poterle maneggiare. Infatti, ancora oggi, effettivamente la nostra opera pare eseguita su un supporto metallico, anche per l’effetto che le lacche hanno sulla tavola, che ad evidenza venne preparata in modo davvero molto scrupoloso. Inoltre, ad avvalorare questa ipotesi, è il fatto che il suddetto rame
non compaia piĂą nelle raccolte Colonna dopo il 1654, mentre è elencata solo la nostra tavola. L’ultima notizia che la riguarda è del 1818, relativa ad un inventario del palazzo, dove al n. 342 compare: “Uno di due, e mezzo per alto, due Ciclopi, ed altre figure maniera di Andrea Sacchi, in tavola”, dove oramai si è persa cognizione anche del soggetto preciso dell’opera. Ritengo quindi che tutte le notizie nei documenti della nobile famiglia capitolina si riferiscano solo ad un dipinto, e che esso sia l’ Apollo nella fucina di Vulcano qui illustrato. Se non bastasse la qualitĂ di esecuzione, le preziose lacche impiegate per il manto viola di Apollo, i numerosi pentimenti a vista – nel braccio del dio, nella testa di Vulcano, nel ciclope poggiato all’incudine, sul fondo – abbiamo l’ ulteriore fortuna di trovare, sul retro della tavola, due bolli in ceralacca rossi (fig. 2), indice di una provenienza prestigiosa: quello in alto, nonostante i danni, è identificabile con lo stemma Colonna, oggetto riportato al centro del campo rotondo, mentre quello sottostante è relativo alla famiglia Muccioli. Ben conosciamo come sia iniziata molto presto la dispersione della collezione romana, proprio sul finire del Settecento: non è quindi casuale che l’ultima citazione dell’ Apollo nella fucina di Vulcano risalga al 1818, quando giĂ anni prima erano iniziate una serie di alienazioni, anche in blocco, soprattutto verso il mercato britannico – come attestano i cataloghi d’asta dell’epoca – con Pietro Camuccini e Alexander Day che acquistano per rivendere molti capolavori, aggirando disinvoltamente i divieti di esportazione. Plausibile che, dopo un passaggio di proprietĂ
ai Muccioli, nella prima metà dell’Ottocento, anche la nostra tavola abbia subito la stessa sorte di m o l t e o p e r e d e l l a c o l l e z i o n e C o l o n n a .
Possiamo identificare in M a r c a n t o n i o V i l committente della tavola, poi ereditata dal figlio, ed erede del casato, Lorenzo Onofrio. Mi pare comunque di estremo interesse che n e l l e r a c c o l t e d i quest’ultimo risultino ben
otto lavori di Andrea Sacchi, quantità davvero inusuale per qualunque altra collezione romana. Varrà la pena sottolineare come il pittore era protetto da Francesco Barberini e lavorava quasi in esclusiva per lui e la sua famiglia: le fonti narrano come il nostro artefice fosse molto lento e meticoloso nella esecuzione delle sue opere, come avesse un carattere altero e difficile, da uomo ben conscio di essere già al tempo uno dei più rinomati maestri sulla piazza capitolina. Non casualmente negli ultimi decenni sono riemersi raramente lavori autografi di Andrea Sacchi, e il suo catalogo è più esiguo rispetto ai suoi colleghi: ciò che rende poi ulteriormente preziosa la tavola sub judice è anche il supporto, un unicum, al momento, nella produzione del nostro pittore, interamente su tela. Andando a considerazioni di carattere più prettamente stilistico: che posto occupa l’ Apollo nella fucina di Vulcano nella produzione di Andrea Sacchi, e perché lo
possiamo considerare un apice della sua produzione a carattere profano? In primis andrĂ evidenziato come, a riprova dell’importanza che la tavola aveva giĂ al tempo, è transitato sul mercato antiquariale una sua riproposizione su tela (fig. 3), di vaste dimensioni, con varianti, ottimisticamente riferita al maestro in persona, ma da ricondurre alla bottega, anche a confronto con la qualitĂ bene piĂą sostenuta del nostro esemplare – basti osservare la restituzione quasi comica
delle fisionomiche delle ancelle o la raffigurazione del nudo, piĂą tozzo e meno armonioso nelle proporzioni – la quale attesta che l’inventiva venne coniata da Andrea Sacchi in persona. Per quel che riguarda l’autografia, e una plausibile collocazione cronologica per l’ Apollo nella fucina di Vulcano, ritengo che esso venne ideato in stretta contiguitĂ con uno dei capolavori di Andrea Sacchi, e del Seicento italiano, il celeberrimo Ritratto di Marcantonio Pasqualini del 1641,
conservato nel Metropolitan Museum of Art di New York (fig. 4): i nudi dello stesso dio pare che si specchino l’uno nell’altro, nella loro ineffabile perfezione formale, la composizione si ripropone in controparte, ricorrendo una eguale, articolata resa dello spazio, negli scorci virtuosistici dei corpi in tralice, pienamente riusciti. Quindi la tavola già in collezione Colonna non solo venne eseguita in un momento apicale della produzione di uno dei maestri della pittura italiana del suo tempo, ma davvero è da considerarsi uno dei massimi raggiungimenti di Andrea Sacchi: essa è l’unica, al momento nota, eseguita su tavola e l’unica proveniente dalla illustre famiglia romana, ancora sul mercato internazionale, che non sia custodita a Palazzo Colonna, la dimora per la quale venne ideata e dove venne esposta per secoli.
Roma 18 settembre 2024
In fede
Alessandro Agresti
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