Venanzo Crocetti

Giulianova 1913 – Roma 2003

David • 1935

Bronzo, 120 x 60 x 92 cm

Firmato e datato sul lato del tronco: CROCETTI / 35

Bibliografia essenziale di riferimento:

XXI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 1938 – XVI, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo dell’Esposizione, 1° giugno-30 settembre 1938), Venezia 1938, p.  116;

M. Venturoli, Crocetti, Roma 1972, p. 8, ill. 7

E. Carli, Crocetti, Roma 1979, p. 15

Scultura lingua morta / Dead Language Sculpture, catalogo della mostra (Leeds, Henry Moore Institute 31 maggio-31 agosto; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto 28 ottobre-14 dicembre 2003), a cura di P. Curtis, 2003, ill. pp. 38, 108

Documenti catalogati ai nn. 19380615 | 19380910 | 19390609 della Biblioteca Antonio Tancredi presso il Museo Crocetti, Roma

Provenienza: Voghera, Collezione Pietro Negri, acquisto dall’autore; Vidow Negri collection, Bellinzona, Pontecurone; prof. Guido Marchetti, Lucca, 1953; family Marchetti until 2023 Italia, collezione Bellinzona;

Artista dalla carriera lunga e prolifica, costellata di riconoscimenti e commissioni in ogni parte del mondo – tra tutti ricordiamo la vittoria nel 1950 per una delle porte della basilica di San Pietro, le opere per San Paolo del Brasile, le mostre personali in Canada e in Giappone, la sala che il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo gli dedica nel 1991 – Venanzo Crocetti attraversa il Novecento con un linguaggio che pone la figura – umana o animale – al suo centro.

Nonostante le umilissime origini, il talento precoce di Crocetti non fatica a farsi notare e già nel 1932 si aggiudica a Roma il Concorso Nazionale di Scultura promosso dall’Accademia di San Luca. L’anno seguente viene premiato all’Esposizione Nazionale di Firenze e il successo gli garantisce l’invito per la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1934. Così, quando quattro anni più tardi, nel 1938, alla XXI Biennale di Venezia, con una selezione di otto lavori, tra cui questo David dall’iconografia affatto personale, si aggiudica il premio per la scultura, nonostante la giovane età, il nostro può dirsi già uno scultore affermato – ‘Dal 1930 espone a tutte le Mostre nazionali e internazionali’ indica il catalogo.

La prima produzione di Crocetti è indubbiamente nel solco della riflessione arcaicista volta al recupero dell’antico in chiave antieroica e antiaccademica, che si sviluppa in Italia a partire dagli anni ‘20 e al cui interno il linguaggio di Arturo Martini (1889-1946) ne è l’espressione più rappresentativa – anche se, come l’artista dichiara a più riprese, a interessarlo è più l’orizzonte ‘dove lui guardava’, piuttosto che gli esiti plastici dello scultore trevigiano. Il rapporto ‘a distanza’ con Martini si sostanzia poi di un incontro nel 1935 presso la villa dei grandi mecenati e collezionisti Ottolenghi Wedekind – che non mancano di acquistare opere del nostro – e di un simbolico passaggio di testimone quando nel 1946, a seguito dell’improvvisa scomparsa del maestro trevigiano, gli succede, per chiara fama, sulla cattedra di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel contesto culturale formativo di Crocetti non vanno poi trascurati i lavori degli altri grandi figurativi di questi anni, Giacomo Manzù (1908-1991), Marino Marini (1901-1980) e Francesco Messina (1900-1995). Da tutti però Crocetti si stacca per il forte senso architettonico del saldo impianto volumetrico su cui si delinea il vigoroso e asciutto modellato improntato a una sentita ispirazione popolare, arcaica e remota, estranea ad accenti lirici, eppure animata di forte e intensa spiritualità.

Il robusto plasticismo di matrice arcaica trova nel David presentato alla Biennale di Venezia del 1938 una delle espressioni più compiute di questa prima fase del lavoro di Crocetti. Il digradare dei piani plastici, semplificati in un efficace linearismo, si fa più secco senza perdere in qualità naturalistiche – notevole in questo senso, ad esempio, l’insistito rilievo che lascia affiorare la conformazione ossea della schiena e la resa della muscolatura tesa di torso e braccia. A suggellare il rapporto con l’antico sono il trasparire, nella postura, di una reminiscenza dell’Hermes in riposo del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e la presenza del copricapo dalla falda larga e tesa, certamente ispirato al petaso della Grecia antica, ma che risente senz’altro anche della suggestione di quello indossato dal Guerriero di Capestrano, una misteriosa scultura italica risalente al VI secolo a.C., rinvenuta nel 1934 in Abruzzo, la terra d’origine cui Crocetti resta sempre legato.

Il David presentato a Venezia viene acquistato dallo Stato italiano per l’allora Regia Galleria degli Uffizi di Firenze (oggi custodito presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) dopo una breve trattativa – come testimoniano alcuni documenti conservati presso la biblioteca Tancredi del museo Crocetti a Roma.

Questa di cui trattiamo è una seconda fusione, autografa dell’autore, sulla cui vicenda Crocetti scrive quanto segue in una lettera datata 5 ottobre 1953 indirizzata al pittore Guido Marchetti a Lucca: ‘Un amatore molto mi stette appresso per avere una replica: e io lo accontentai, con l’apporto di qualche ritocco, per quanto ricordo.’

Eugenio Maria Costantini

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