Pietro Ronzoni - Veduta dell'Augusteo da palazzo Corea

Pietro Ronzoni - Veduta dell'Augusteo da palazzo CoreaPietro Ronzoni
(Sedrina 1781 – Bergamo 1862)

Veduta dell’Augusteo da palazzo Corea

olio su tela, cm. 67 x 53,5; 1808 ca.

Il dipinto, già pubblicato nel 1992 da Fernando Rea e Margherita Zanardi Ricci, costituisce una rara testimonianza della fase iniziale dell’attività artistica di Pietro Ronzoni, ovvero di quel soggiorno di formazione romano che gli consentì di ricollegarsi alla secolare tradizione del paesaggio ideale classico rivisitandone contemporaneamente sia i modelli secenteschi, da Domenichino a Lorrain, che le opere degli artisti contemporanei francesi, olandesi, piuttosto che tedeschi, che a Roma andavano ristabilendone il genere. Proprio la sua affermazione nel campo della pittura di paese di ispirazione classica corrispose al successo professionale conseguito nella nativa Bergamo, dove rientrò nel 1809 contribuendo al rinnovamento della tradizione locale parallelamente a quanto faceva nella limitrofa Brescia Luigi Basiletti. Contemporaneamente si tradusse nell’invito a collaborare presso l’Accademia Carrara all’insegnamento della pittura, con lezioni specificatamente dedicate al paesaggio. La convocazione giunse da Giuseppe Diotti, che aveva conosciuto a Roma e che poteva essere considerato il suo equivalente, come interprete della lezione classicista, sul versante della pittura di figura. La sintonia tra i due artisti li rese complementari nella collaborazione pittorica. Così Ronzoni poté in alcuni casi realizzare gli inserti di paesaggio nei dipinti di Diotti il quale, per contro, intervenne come figurista in quelli dell’amico (Mangili 1991, pp. 66 e ss.; Rea, Zanardi Ricci 1992, p. 321).

A Roma Ronzoni era giunto nel 1800 in compagnia del padre che, volendo assecondare la sua vocazione artistica, contava sulle amicizie che si era procurato in città come “corriere della repubblica veneta”. Angelika Kauffmann e Antonio Canova, che ebbe per lui parole lusinghiere, lo favorirono presso il pittore di veduta Giovanni Campovecchio, che lo prese a bottega. Dopo la morte del maestro, nel 1804, Ronzoni si diede allo studio autonomo “dal vero”: altro dato che la formazione artistica romana favorì, più tardi pienamente esplicitato dopo il soggiorno veronese e i contatti con Giuseppe Canella e allora testimoniato da un taccuino di disegni, datato 1806, che consente di seguirne gli spostamenti tra Roma e i dintorni.
Come raccontava egli stesso in una tarda traccia autobiografica “i miei primi studi furono tratti dall’interno del Colosseo” (in Ibidem, p. 318), luogo per eccellenza della memoria dell’antico ma anche repertorio di motivi pittoreschi, nell’intreccio tra natura non governata, rovine e memorie cristiane, dove incontrò François-Marius Granet che aveva eletto il monumento a tema privilegiato dei suoi studi fin dall’arrivo a Roma nel 1802 (Insolera, Sette 2000). Con lui entrò in stretta amicizia; Granet lo seguì nelle prime prove pittoriche e lo assisté anche economicamente per consentirgli di prolungare il soggiorno romano. Conobbe quindi gli altri principali paesisti del tempo, come gli olandesi Martin Verstappen, Hendrik Voogd e Simon Denis, ma anche autorevoli pittori di storia come Pelagio Palagi.

In questa veduta urbana è rappresentato l’androne del palazzo dei marchesi Corea che si affacciava, all’interno del cortile, sull’Augusteo, il mausoleo che allora sosteneva l’arena, detta Corea dal nome dei proprietari, adibita dall’ultimo ventennio del Settecento a spettacoli drammatici e pirotecnici, giostre di tori e di vaccine come documentato da due acquerelli di Bartolomeo Pinelli del 1810 (Roma, Museo di Roma, Incisa della Rocchetta 1956, tav. XII) o dal sonetto di Giuseppe Gioachino Belli La ggiostra a ggorea. Il dipinto di Ronzoni, collocabile cronologicamente a ridosso del rientro in patria, rivela immediatamente l’influsso di Granet. Come spesso accade nei dipinti del francese infatti il motivo dal vero è elaborato in modo che un’inquadratura scura, gli archi del palazzo, amplifichi per contrasto l’illuminazione del fondo e la profondità prospettica. Oltre alla sottolineatura degli aspetti luministici se ne ritrova qui anche l’attenzione per le figure pittoresche, con il dato narrativo della scena in primo piano, dove un domestico in livrea sta considerando una lettera di presentazione recatagli da due gentiluomini.

Stefano Grandesso

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