Paola Consolo

(Venezia 1908 – Milano 1933)

Autoritratto • 1932

olio su tela, cm 100 x 80 (con la cornice 118 x 97)

Firmato e datato in basso a destra: “Paola Consolo 32”

Bibliografia ed esposizioni

XVIII. Esposizione Internazionale d’Arte della cittĂ  di Venezia, Venezia, 1932, catalogo mostra, Venezia 1932, p. 107, riprodotto a p. 97 delle illustrazioni; Ugo Nebbia, La diciottesima Biennale degli italiani, in “Emporium” vol. LXXV, n. 450, giugno 1932-X, p. 350 ripr.; Paola Consolo, 21 novembre-3 dicembre 1933, Galleria Milano, Milano, catalogo mostra, n. 58 (con datazione 1931); Vincenzo Costantini, Paola Consolo, in “Emporium”, vol. LXXIX, n. 469, gennaio 1934-XII, pp. 52-53, ripr.; Lamberto Vitali, Ricordo di Paola Consolo, in “Domus”, n. 74, febbraio 1934, pp. 32-33, ripr.; Il “Novecento” milanese. Da Sironi ad Arturo Martini, 19 febbraio-18 maggio 2003, Milano, Spazio Oberdan, catalogo mostra, Milano 2003, pp. 196-197, n. 81, ripr.; Artiste del Novecento tra visione e identitĂ  ebraica, 12 giugno-5 ottobre 2014, Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale, Roma, catalogo mostra, Roma 2014, p. 130; A.I. 20 artiste in Italia nel ventesimo secolo, 10 luglio-10 ottobre 2004, Serravezza, catalogo mostra, Pistoia 2004, p. 116 ripr.

Un articolo del 1935 prometteva, alla successiva edizione della Biennale veneziana, una retrospettiva di quegli “artisti giovani già arrivati o promettentissimi, ai quali la morte troncò la carriera: tra questi […] Paola Consolo, la squisita pittrice ventenne strappata recentemente dalla morte al suo brillantissimo avvenire” (Anonimo, Le mostre retrospettive all’esposizione celebrativa della Biennale, in “Gazzetta di Venezia”, mercoledì 8 maggio 1935).

Il promesso omaggio a Paola Consolo vedrà la luce ben più tardi, nel 1948, in una piccola retrospettiva con alcune opere dell’artista prematuramente scomparsa. Appare evidente che a seguito della conquista della Libia e dell’alleanza con la Germania nazista e le conseguenti leggi razziali impedirono di dedicare una mostra ad un’artista nata da una famiglia israelita: per parte materna la Consolo, che sposerà l’architetto, pittore e incisore trentino Gigiotti Zanini, era infatti pronipote di Margherita Sarfatti (che già nel 1933 aveva subito un forte attacco da parte di Farinacci sulla rivista “Il regime fascista”).

La parentela con la celebre intellettuale consentì alla giovane artista un avvicendamento di incontri, esperienze e consigli che ne formarono il sostrato culturale. Non fu difficile all’artista esporre, ad esempio, alla II Mostra del Novecento italiano, un’esposizione che prevedeva una ricognizione ben più ampia dell’edizione precedente e che permise alla Consolo di presentare più di un’opera, certamente sostenuta non solo dalla provenienza familiare ma anche dall’intercessione di Medardo Rosso: “Ciaou. Tue opere saranno non distaccate ma assieme tutte e come sono là (al muro di casa tua). Domani verrà Salietti e Funi a dirtelo. E tu così avrai confronti colli altri tutti. Quelli dunque che desideravasi è. Ho accettato di esporre, dal lato mio. Insomma ora tutto est sistemato” (Mostra del Novecento italiano 1923-1933, 12 gennaio-27 marzo 1983, Palazzo della Permanente, Milano, catalogo mostra, Milano 1983, p. 286).

Appare connaturata alla tradizione pittorica ebraica, che caratterizzava ad esempio la coeva produzione di Antonietta Raphäel Mafai (si veda, ad esempio, Mia madre benedice le candele, del 1932), quella tendenza espressionista già rilevata da Benso Becca che ne sottolineerà proprio “il gusto di quella decoratività sua festosa non certo discompagnata da estro, e forse anche da una vaga vena d’insania, che era anch’essa nell’aria […]” (Benso Becca, La Paola, in Vita sprecata di un italiano, Roma 1952) e che nella Consolo, soprattutto in questo Autoritratto, si associava ad una qualità calligrafica della pennellata che appare in tutta la sua evidenza in opere di poco precedenti come Chiesa della Salute (Venezia) (1930, Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale, Roma). Le mura squadrate e la sottile percezione architettonica della finestra, priva di una più vivace resa prospettica, mostrano indubbiamente quelle tangenze care al gusto Novecento secondo quell’idea tutta sarfattiana di un’arte che doveva riflettere le caratteristiche formali di una tradizione peculiare italiana, come si leggeva anche sulle pagine della rivista “Valori Plastici” fondata peraltro da Roberto Melli, anch’egli di religione ebraica. Il dipinto risponde inoltre a quel tentativo di ricerca di una nuova sintassi di ordine e armonia neoquattrocentesca che andava caratterizzando anche alcune opere di maestri come Carrà e Sironi, il quale dedicò all’artista più di una colonna di critica sulle pagine de “Il Popolo d’Italia” sottolineandone la “[…] pittura femminile, meno rude e più accarezzata di quella dei colleghi, ma spesso più libera più rapida nello slancio e nelle vibrazioni, e singolarmente conclusiva” (Anonimo (ma Mario Sironi), Paola Zanini Consolo, in “Il Popolo d’Italia”, 26 febbraio 1933, p. 7).

L’opera, ultimo autoritratto della pittrice prematuramente scomparsa l’anno seguente dando alla luce la figlioletta Paola, è uno degli esiti più felici della sua produzione, un dipinto “ben composto e tutto delicatezze di trapassi tonali” (Vitali 1934), tanto per quell’ambiguo porsi a cavallo di un linguaggio novecentesco quanto per la delicata grammatica sintetica che grazie ai dettagli della cloche e dei guanti “à la mousquetaire” che lasciano trasparire modi e lentezze dei gesti che lo rendono particolarmente affine alla temperie pienamente déco di quegli anni.

Lamberto Vitali, anch’esso di religione ebraica, pur stigmatizzando vivacemente la pittura al “femminile”, aveva comunque individuato nella Consolo “un’artista finalmente lontana dalle solite leggerezze dulcorate [sic] e dai soliti compiti svolti per benino fra un tè e l’altro. […] C’era, in questa verginità creativa, una forza schietta, immune da manierismi viziati, da eleganze superficiali, forza a cui si univa una naturale e semplice gentilezza d’animo” (Vitali 1934).

Inevitabile è il paragone con l’Autoritratto giovanile presentato pochi anni prima alla Biennale di Venezia del 1928, ma anche con i due ritratti femminili – La canzone e Donna con aragosta – esposti l’anno seguente alla II Mostra del Novecento Italiano.

Se nel dipinto veneziano la Consolo si ritrae ancora in vesti di giovane studentessa, con indosso il grembiule, tranquillamente in posa davanti al cavalletto in uno spazio costruito dalle prospettive sfalsate dei quadri nell’ambiente, l’Autoritratto del 1932 rivela al contrario una sopraggiunta maturità tanto personale quanto pittorica, come ebbe a notare Vinvenzo Costantini in occasione della mostra postuma allestita presso la Galleria Milano nel novembre 1933, a pochi mesi dalla scomparsa della pittrice: “La mossa classica ed insieme moderna, elegante ed estrosa; il tono robusto che limita le forme e dà risalto plastico alla figura con una semplicità moderna d’interpretazione; il tepore pittorico che soffonde i toni questi ed altri elementi e caratteri ci ricordano non soltanto l’effigie della scomparsa, ma, anche il suo spirito”.

Le foto d’epoca di Paola Consolo restituiscono l’immagine di una donna giovane dallo sguardo vivace, i capelli scuri acconciati secondo la moda dell’epoca alla garçonne, elegantemente vestita accanto ad una imponente automobile, con indosso un cappellino a cloche simile a quello indossato nell’autoritratto.

Francesco Parisi

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