Anonimo francese - Paesaggio ideale con castello e figure

Anonimo francese - Paesaggio ideale con castello e figureAnonimo francese del primo ventennio del XIX secolo

Paesaggio ideale con castello e figure

olio su tavola
cm. 73 x 42,5; 1816 ca.

L’analisi stilistica dei due dipinti rivela notevoli analogie con i “paesaggi storici” realizzati da François-Xavier Fabre (1766 – 1837) nel primo ventennio dell’800, ma il loro carattere ‘fantastico’ e la fattura di alcuni elementi, quali le figure e la statua, rendono dubbia la loro attribuzione al pittore di Montpellier. Analogo ai “paysages historiques” di Fabre appare il taglio delle composizioni, giocate su una netta divisione dei piani prospettici, sottolineata dalla distribuzione della luce. E analogo è anche il modo di raffigurare la natura, descritta nelle sue varie forme e qualità materiali con un’accuratezza hackertiana nel tocco minuto e puntinista del pennello, nel fogliame, nei tronchi, e nelle chiome degli alberi, così come nella descrizione degli accidenti del terreno.

Una quantità di dettagli e motivi rimanda direttamente alla pittura di Fabre, tanto da far supporre una conoscenza approfondita e meditata della sua intera produzione, quale solo la Contessa d’Albany era in grado di possedere. Divenuta presto sua allieva, tanto da firmare i propri disegni come “écolière de M. Fabre”, dopo la morte di Vittorio Alfieri la Contessa era divenuta la compagna del pittore francese, nominandolo fin dal 1803 erede di tutti i suoi beni. Poco nota è però la sua produzione pittorica, così come del resto l’ultima dello stesso Fabre, in specie per quel che riguarda i paesaggi eseguiti su commissione, che Michel Hilaire (2000) ha visto con entusiasmo riemergere sul mercato antiquario degli ultimi anni, augurandosi si trattasse solo dell’inizio d’una più globale riscoperta.

L’uso di palmizi e quinte arboree, qui accentuato in una delle due tele, si ritrova negli studi per la Predica del Battista (1790); l’urna cineraria antica, che qui sormonta un fusto di colonna, è la stessa della Jeune pleureuse del Musée des Beaux-Arts di Poitiers; l’ara dedicata agli Dei Mani è quella del ritratto di Allen Smith nella campagna romana (Montpellier, Musée Fabre), dipinto evidentemente ispirato al ritratto di Goethe dipinto da Tischbein di cui Fabre possedeva il disegno preparatorio.
Già a Roma, dov’era stato consacrato quale vero erede della pittura di storia di David, il giovane pensionnaire aveva disegnato dal vero insieme a una schiera di pittori di tutte le nazionalità, da Reinhart a Hendrik Voogd, James Moore, Simon Denis, Laurent Castellan e Louis Gauffier, motivi e paesaggi della campagna romana, al fine di conferire una maggiore verosimiglianza alle sue grandi composizioni di storia. Dopo il trasferimento a Firenze, nel 1793, l’importanza del paesaggio nella sua pittura era cresciuta su influenza dell’amico Gauffier, portando inizialmente Fabre ad includere una veduta nei suoi ritratti, e poi ad ambientarli nel paesaggio. Il passo seguente sarebbe stato quello di ripercorrere la grande tradizione del “paysage historique” che riconosceva in Poussin e Dughet i suoi capiscuola indiscussi. La pratica del paesaggio, l’affezione al paesaggio classico, all’ideale italiano si legavano in quegli anni all’emergere del suo gusto di collezionista: nella sua raccolta, trasferita nel 1825 al Musée municipal di Montpellier che ha poi preso il suo nome, s’incontrano i nomi di Poussin, Dughet, Domenichino, fino a van Bloemen e gli olandesi del ‘600, e Locatelli.

Fedele agli insegnamenti di Valenciennes, del quale acquistò immediatamente, alla loro pubblicazione nel 1801, gli Éléments de perspective pratique, Fabre non cessò mai di praticare il disegno dal vero, sul motivo, recandosi nel 1798 con Gauffier e Castellan in escursione presso l’abbazia di Vallombrosa, “nella speranza di trovarvi nuovi soggetti di studio”. I numerosi studi dal vero compiuti negli anni della sua maturazione come pittore di paesaggi, dall’ampia serie realizzata alle Cascine verso il 1805 – 1806 (Montpellier, Musée Fabre), a quella che riproduce i luoghi accidentati degli Appennini osservati nei soggiorni con la Contessa ai Bagni di Lucca, confluirono nelle tele dipinte alla fine della sua attività (a partire dal 1808, data dell’Edipo a Colono, Montpellier, Musée Fabre), progressivamente abbandonata per dedicarsi al collezionismo. Diversi studi e disegni, come alcuni paesaggi italiani del maestro presentano notevoli somiglianze con i castelli delle due tavole, e un analogo rapporto fra natura e costruzioni. Il massiccio roccioso del suo ultimo “paysage historique” datato, la Morte di Narciso (Montpellier, Musée Fabre) del 1814, sembra quasi il punto di partenza per la rocca fantastica d’una delle tavole qui esposte, ora sormontata da un castello turrito. Inedito nell’opera di Fabre appare invece l’inserimento d’una statua, un nudo all’antica che ricalca, nella posizione del capo e delle braccia, la cosiddetta Cleopatra del Cortile delle Statue in Belvedere (Roma, Musei Vaticani), prelevata dal Museo Pio-Clementino in seguito al Trattato di Tolentino ed esposta a Parigi nel Musée Central des Arts fino alla sua restituzione nel gennaio del 1816. La decorazione del sarcofago, modificata rispetto ai modelli antichi utilizzati a Roma per la trasformazione della statua in fontana, mostra grifoni alati e figure femminili che accendono lampade ad alto fusto, secondo un gusto tipico dell’epoca imperiale e della prima Restaurazione che confermerebbe la datazione delle opere al primo ventennio dell’Ottocento.

Alessandra Imbellone

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