Gabriele Smargiassi

(Vasto (CH) 1798 – Napoli 1882)

Veduta del Golfo di Napoli presa dalla terrazza del Real Palazzo • 1846

olio su tela, cm 105,5 x 196

La veduta, immersa nella luce pomeridiana, è ripresa dal terrazzo col giardino pensile che corre lungo il lato sinistro del Palazzo Reale di Napoli, raccordando al primo piano gli appartamenti di rappresentanza con quello delle feste, ora occupato dalla Biblioteca Nazionale. La ringhiera in ghisa taglia in obliquo tutto il dipinto, seguita ad intervalli regolari da vasi in terracotta con piante; altri vasi di forma diversa si dispongono presso l’arco ligneo del grillage. Sulla destra del terrazzo, in basso, si vede il tratto inferiore della Salita del Gigante, ora via Cesario Console, proveniente dal Largo di Palazzo. Se ne vedono sul lato mare gli archi di sostruzione, sulla destra è il fianco del palazzo dell’Ammiragliato ad angolo con via S. Lucia; il fondo della Salita è chiuso da un “Quartiere” militare, occupato nei primi dell’Ottocento dalla fanteria, con la facciata ad un piano, scandita da lesene e colonne ioniche, sostituito verso il 1935 da un edificio tuttora di pertinenza della Marina (Ferraro 2010, p. 143). L’altezza della terrazza non permette di vedere del tutto le fabbriche sottostanti: solo qualche capriata dei tetti dell’Arsenale e gli edifici intorno alla Darsena, di cui si vede il primo tratto del canale d’accesso dal mare ma non lo specchio d’acqua dove la presenza di due navi alla fonda è segnalata dalla parte terminale dei loro alberi emergenti tra gli edifici. L’Arsenale scomparve alla fine degli anni Venti del secolo scorso, sostituito dai Giardini del Molosiglio e da via Acton; la darsena, ora detta Darsena Acton, conserva lo stesso perimetro di quella borbonica ed anche, in parte modificati, un paio degli edifici visibili nel dipinto. Sulla sinistra, a delimitare il porto militare, emerge il molo grande con la cosiddetta “Lanterna del molo”, faro di origini quattrocentesche che caratterizza tante vedute napoletane dal Quattro all’Ottocento, demolito nel 1932. Il golfo è racchiuso sul fondo dalla mole del Vesuvio, fumante, che si allunga sulla destra fino a confondersi con la catena dei monti Lattari, dominati dal Faito e protesi nel mare a chiudere il golfo ed a formare la penisola sorrentina. La presenza del grillage, oltre che il punto di ripresa, escludono dalla rappresentazione tutto il fronte mare della città ma non il tratto di costa che, appena superato il fiume Sebeto, si svolge ai piedi del Vesuvio. E subito, partendo da sinistra, vediamo l’ultima propaggine di Napoli, cioè il lungo edificio, articolato in quattro corpi continui, dei Granili. Oltre proseguono case e ville costiere di S. Giovanni a Teduccio, Barra, Portici, Resina (ora Ercolano), Torre del Greco, con i loro casali che si arrampicano lungo il declivio del vulcano. Nello specchio di mare antistante il terrazzo reale, fra velieri e navigli da diporto, sono alla fonda sei fregate, due a vela e vapore e quattro a vela, con bandiera russa.

L’opera, non firmata né datata, è stata sempre ritenuta di Gabriele Smargiassi e collegata alla committenza di Nicola I Romanoff, grande amatore ed acquirente di opere d’arte, spesso destinate al Museo dell’Ermitage (Palermo 2007). Fonti e documenti ci consentono di datare l’opera al 1846, di confermare l’attribuzione e di inserirla fra quelle ordinate dallo Zar al tempo del suo soggiorno napoletano (6-12 dicembre 1845). La presenza della tela in un ambiente del terzo appartamento privato del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo è confermata nel 1872 da un acquerello di Eduard Hau (1807-87), conservato nel Museo dell’Ermitage (inv. n° OP-14419). L’artista vi ritrae con eccezionale capacità descrittiva l’interno di un salotto: alle pareti, ben riconoscibile, la nostra veduta, accanto ad una di Gonzalvo Carelli, anch’essa nota.

La settimana trascorsa a Napoli da Nicola I fu intensissima, fra parate militari e visite ai luoghi simbolo della cultura e della moderna industria (Vedi scheda n°… di Carelli). Non furono però trascurati i rapporti con gli artisti locali e, forse a causa del poco tempo a disposizione del sovrano, la loro conoscenza non dovette avvenire tanto tramite visite agli ateliers quanto attraverso il filtro di personalità russe che ben conoscevano l’ambiente, come l’ambasciatore conte Potocky, o grazie ad un’esposizione, organizzata nel Palazzo e quindi con il consenso del Re di Napoli, dove pittori come Frans Vervloet, Smargiassi o i Carelli esibirono le loro opere. La fonte russa che dà questa notizia dichiara che Nicola I ne acquistò molte ed altre ne commissionò (Karčeva in Palermo 2007, p. 15). Di certo la Veduta dalla terrazza non appartiene al gruppo di quadri comperati in tale occasione ma fu ordinata in quel giro di giorni, così come la grande (cm 126×214) Veduta della costa napoletana, ancora conservata all’Ermitage (inv. 4240), firmata da Smargiassi e datata 1847 (Serafini 2021, p. 757, fig. 2).

Questi due quadri con l’indicazione del committente e i loro titoli originari, cioè La veduta del golfo di Napoli presa dalla terrazza del Real Palazzo e Lo sbocco della strada nuova di Posillipo che guarda i Campi Flegrei, vennero subito segnalati in una biografia dello Smargiassi, aggiornata fino agli ultimi mesi del 1845 (Giucci 1845, p. 458). Qui si esaurisce la bibliografia sul dipinto e la parola passa alle fonti archivistiche che ce ne segnalano il considerevole costo, 1523 ducati, ed il momento in cui giunse in Russia, con la nave “Baron Stieglitz”, ai primi del 1847. Dopo essere stato mostrato all’Imperatore nella residenza di Peterhoff (РГИА [Archivio Statale Storico di Russia], f. 1338, op. 4, d. 37, 15 ffv.), il quadro fu destinato ad arredare una sala del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, come ci mostra il quadro di Hau. Nel 1856 venne inventariato fra i dipinti del defunto sovrano (n° 366) come “G. Smargiassi, Veduta del Vesuvio da Napoli” mentre verso il 1894, elencando dei quadri del Palazzo d’Inverno, il barone Lieven lo menzionò con un titolo più generico, “Smargiassi, Veduta di Napoli”, ma con lo stesso numero d’inventario precedente (366) che ci consente di identificarlo (Архив ГЭ [Archivio dell’ Ermitage], ф. 1, оп. 6, лит. А. Дело 42-А, л. 50). Dopo la caduta della monarchia la tela finì nei depositi dell’Ermitage e nel 1928, dichiarata di scarso valore storico, fu immessa sul mercato.

Le due opere citate furono forse le uniche richieste da Nicola I a Smargiassi, meno di quelle commissionate a Gonzalvo Carelli o a Giacinto Gigante, anche se Smargiassi in quel momento godeva di un prestigio maggiore, dovuto alla vasta esperienza internazionale, al fatto di ricoprire dal 1838 la cattedra di paesaggio nel Real Istituto di Belle Arti di Napoli e alla stima goduta presso la Corte borbonica. Insomma una figura ufficiale, in grado di soddisfare le esigenze di una clientela di alto livello di cui aveva conosciuto i gusti fin dagli anni giovanili. Infatti, dopo la formazione presso Pitloo, si era trasferito nel 1824 a Roma, giovandosi della protezione della Duchessa di Saint-Leu, moglie di Luigi Bonaparte, ex re d’Olanda, che lo assunse come maestro di pittura di suo figlio, il futuro Napoleone III, lo condusse in Svizzera nel 1828 e, infine, gli facilitò l’accesso all’ambiente parigino che Smargiassi frequentò, con rari ritorni in Italia ed un viaggio a Londra nel 1831, fino a tutto il 1837, lavorando per una clientela selezionata, fra cui la regina del Belgio, e, soprattutto, per la Corte di Luigi Filippo, dei cui figli fu maestro di disegno, e per la regina Maria Amalia, zia di Ferdinando II di Napoli  (Ortolani 1970, pp. 176-184).

Dunque nel 1845 la figura di Smargiassi non si poteva ignorare, egli aveva ormai maturato un linguaggio che recuperava elementi del vedutismo tardo settecentesco e della tradizione nordica e poussiniana, giungendo ad un “compromesso figurativo di paesaggio atmosferico, di vaga ascendenza pitloiana, elaborato, però, quasi sempre in studio con composite inserzioni di elementi naturalistici, per una rappresentazione finale di carattere scenografico” (Martorelli in Napoli 1997-98, p. 420). Insomma, pur non tradendo mai lo studio della natura, l’artista aveva superato la fase più intensamente legata alla Scuola di Posillipo, con la pittura dal vero e il tono lirico ed immediato, ed era sul punto di approdare ad un paesaggismo di composizione, elegante e pervaso da accenti romantici e storicistici, popolato da personaggi ariosteschi o biblici (Per Smargiassi si vedano i saggi in Napoli 1987-88).

Nella Veduta dalla terrazza Smargiassi fornì un’eloquente prova della sua arte, dando vita ad un’opera molto originale dal punto di vista iconografico. Evidentemente su richiesta del committente egli dovette riprendere il golfo dal terrazzo della Reggia ma possiamo supporre che fosse lui a sceglierne la parte terminale, verso la facciata, come punto di vista. Ne risultò un dipinto insolito e diverso da tutti quelli coevi in quanto ripropone la ben nota veduta del golfo da un punto inedito, cioè da quel terrazzo col giardino pensile, aggiunto lungo il lato meridionale della Reggia dopo l’incendio del 1837 e finito verso il 1844. Così per la prima volta questo luogo assume un ruolo di protagonista nella composizione del primo piano, descritto dettagliatamente, consentendo inoltre, data la sua altezza rispetto al livello del mare, inedite vedute degli edifici posti in basso, cioè dell’Arsenale e della Darsena che qui possiamo più intuire che vedere mentre di solito venivano, e verranno, raffigurati nell’interezza delle loro strutture e dei loro spazi. Ed il nuovo punto di vista fa emergere un altro motivo fino ad allora mai considerato, cioè quell’edificio militare sullo sfondo della Salita del Gigante, verso S. Lucia, che pur esisteva da secoli e che solo ora si mostra nella sua recente veste neoclassica.

Dunque il Palazzo Reale diventa nel contempo parte della veduta ma anche suo punto di vista. Per essere il luogo riservato e di non facile accesso, questa inquadratura non avrà gran seguito e forse soltanto verso il 1868 la vediamo riapparire, con forti varianti, in un dipinto di Giuseppe Castiglione, per ora noto solo per via di stampe, dove appare Margherita di Savoia, principessa di Piemonte, nel giardino pensile e col panorama del golfo (Porzio 2011, p. 116).

La scelta del terrazzo come punto di vista della veduta non fu certo casuale ma è attribuibile alla precisa volontà del committente di ricordare il paesaggio napoletano così come lo vedeva dal suo alloggio. Infatti sappiamo che durante il suo soggiorno a Napoli Nicola I fu ospitato da Ferdinando II di Borbone nell’Appartamento di rappresentanza della Reggia, lo stesso che si apre sul terrazzo col giardino pensile (Del Pozzo 1857, p. 508). Ed il quadro tramanda anche un’altra forte traccia di questo soggiorno nella presenza dalle sei fregate con bandiera russa. Esse non appartenevano alla flotta zarista ma alla borbonica e ricordano l’accoglienza fatta allo Zar al momento del suo arrivo da Palermo: il 6 dicembre con la sua fregata a vapore Bessarabia, e senza navi di scorta, egli giunse a Napoli e fu accolto in darsena dal re Ferdinando. In quel momento “gli equipaggi de’ legni reali ivi ancorati, disposti in su i pennoni, fecero il saluto, inalberando la russa bandiera” e, mentre le carrozze reali si recavano verso la Reggia, “nel passar che fecero dinanzi ai mentovati Legni Reali, la musica de’ medesimi suonò l’inno russo”. A meno che la presenza delle navi non voglia alludere ad un’esercitazione avvenuta il giorno 10, ma in darsena e non al largo, proprio ad opera di sei fregate napoletane alla presenza del Re e dello Zar (Giornale del Regno 9 dicembre 1845, p. 1075, e 11 dicembre, p. 1081).

                                                                                   Renato Ruotolo

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