Giovanni Battista Crema - Fetonte

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Giovanni Battista Crema
(Ferrara 1883 – Roma 1964)

Fetonte

Pastello e tempera su carta, mm. 192 x 284

Firmato in basso a destra: GB Crema

Iscritto in alto a destra: Fetonte

“Io cerco una verità morale e convincente ed educatrice esprimendola con forma d’arte simbolica, chiara e semplice e con rappresentazione il più veritiera possibile”. Così dichiarava Crema in un’intervista a Piero Scarpa nel 1928, sintetizzando una poetica alla quale era rimasto fedele sin dai primi scritti del 1903 (cfr.Breda 1994, pp.12, 64). Nella sua produzione la coerenza all’organicità del naturalismo verista, mai messa in discussione da tentazioni avanguardiste, era fondamentale requisito a far sì che la pittura si facesse comprensibile veicolo di messaggi ideali.
Il colore diviso, appreso da Balla nell’ambiente romano di inizio secolo di Lionne, Noci, Innocenti, era come una pelle che sovrapponeva al suo rigoroso impianto disegnativo legato alla tradizione ottocentesca: a Napoli dal 1899 al 1901 aveva infatti seguito le lezioni di Morelli e Cammarano. Come nel conterraneo Previati, al quale guardò nella matrice simbolista della sua ispirazione, la tecnica divisionista non veniva impiegata nell’indagine scientifica della visione ma come lirico mezzo di espressione dello stato d’animo.

Nella sua vasta opera Crema affrontò i generi del nudo femminile e del ritratto, della campagna romana e dell’intimismo della vita borghese, ma la maggiore visibilità presso il pubblico contemporaneo gli fu assicurata dai dipinti di grande impegno realizzativo e concettuale, dedicati alle tematiche sociali, come il trittico L’istoria dei ciechi dolorosa (1905, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna), ai soggetti simbolisti e allegorici spesso tratti dal repertorio del mito e della leggenda, come il fosco e dannunziano Marfisa (leggenda ferrarese) del 1922 (Collezione privata), e ai tragici eventi bellici delle due guerre mondiali delle quali fu disincantato e antiretorico cronista (La vampata, 1918, Comune di Napoli).
Il pastello di Fetonte è databile verso il secondo decennio del secolo e testimonia il momento di massima tangenza iconografica e formale con l’opera di Previati (Il giorno, 1907, Milano Camera di Commercio; La caduta degli angeli 1913, Roma Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Oltre alle assonanze tematiche vi si ritrovano infatti il taglio ravvicinato dell’immagine, con cesure quasi fotografiche degli elementi figurativi, e il flusso filamentoso dei tocchi di colore.
Alla luce di un altro dipinto di Crema Il cavaliere dell’ideale (Livorno, Collezione Sondak, ripr. in Scardino 1993, p.71) il mito classico svela l’allegoria dell’impossibilità per l’uomo di conseguire il suo ideale.

Stefano Grandesso

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