Ettore Ferrari - Episodio di storia antica

Ettore Ferrari - Episodio di storia anticaEttore Ferrari
(Roma 1845 – 1929)

Episodio di storia antica

Terracotta, cm 46,5 x 23 x 23

Esemplata sul noto modello del Masaniello di Alessandro Puttinati (per la posa delle gambe), la terra qui esposta va riferita ai primi anni di attività dello scultore Ettore Ferrari, visti gli stringenti paralleli stilistici e compositivi istituibili con la terracotta raffigurante Labano e Giacobbe(Roma, Accademia Nazionale di San Luca) realizzata per il concorso Albacini indetto dall’Accademia di San Luca nel 1868, di cui Ferrari fu dichiarato vincitore dalla giuria composta da Tenerani, Vespignani, Rinaldi, Iacometti, Galli e Amici (Mantura 1974, p.41). La resa sintetica del modellato – unita alla “sfaccettatura geometrizzante delle superfici, pronte e a caricarsi di luce” e alla “luce raccolta a far scattare l’intera struttura” (Ibidem, p. 43) – è infatti propria degli esordi dell’artista e, pur nella diversità dei gradi di finitezza esecutiva, di altri bozzetti quali Giacobbe e Rebecca al pozzo(1876, Roma, collezione privata).

Fin dai preludi l’opera di Ferrari, insieme a quella del sodale e collega Ercole Rosa (di un anno più anziano), si caratterizzò dunque per l’attenzione rivolta al “Barocco quale fonte dello stile nuovo” (Ibidem, p.43), inteso come “via di affrancamento rispetto alla rigida normativa dell’accademismo classicista” (Susinno 1981, p.7). E fu questa la causa che indusse la commissione del citato concorso Albacini del 1868 – nonostante il primo premio riconosciuto a Ferrari – ad esprimere delle riserve sullo slancio eccessivo dell’azione delle figure, “specialmente in quella del giovane [Giacobbe], la cui testa si desidererebbe di maggiore nobiltà”, e sui panneggi giudicati “licenziosi” (Mantura, cit., p.41).

Rispetto all’esuberanza bozzettistica di Rosa, le terrecotte di Ferrari sembrano però indulgere a “maggiori effetti di definizione disegnativa” (Susinno 1981, p.9) e a una più chiara risoluzione del dettaglio descrittivo che nel nostro caso, rispetto ai larghi piani geometrici sui quali si costruisce il panneggio, trova compimento negli oggetti disposti a terra (elmo e spada), nella resa fluente delle chiome (in particolare della donna) e soprattutto nella caratterizzante forza espressiva del volto dell’uomo, restituita attraverso uno sguardo raggelato ma intenso, labbra socchiuse, calligrafismo degli occhi e diversa porosità dell’epidermide. Elementi, questi, che concorrono ad una definizione della scultura da parte di Ferrari come “evocazione reale di personaggi, di forze, di miti calati nella temperie del presente” (Guidoni 1988, p.19), in cui il richiamo alla plastica barocca – da intendersi in primo luogo quale individuazione di una scala di valori antitetici rispetto alla cultura accademica – si fonda non tanto su un virtuosistico esercizio di stile (e quindi sulla creativa giustapposizione di piccole masse di materia) quanto soprattutto sull’assunzione delle sue possibilità espressive, in grado di restituire il pathos della storia e l’introspezione psicologica dei suoi protagonisti. In quest’ottica quindi il riferimento più calzante per la figura maschile del gruppo qui esposto sembra poter essere individuato nel David di Gian Lorenzo Bernini.

Francesco Leone

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