Domenico Rambelli

Faenza 1886 – Roma 1972

Romagna o Portatrice • 1920

Modello originale formato in gesso, policromo, altezza 199 cm

Bibliografia ed esposizioni: L. Viani, Un altro giovane: lo scultore Domenico Rambelli, in “Il Secolo Illustrato”, a. VIII, n. 21, 1 novembre 1920; F. Ciarlantini, Omaggio agli eroi della terra e del mare, in “Il Popolo d’Italia”, agosto 1921, poi in “Augustea”, giugno 1927; Società d’incoraggiamento delle Belle Arti in Firenze – Cataloghi e Documenti – La Fiorentina Primaverile, Firenze 1922, p. 186, cat. 1; p. 643; A. Canilli, Artisti romagnoli alla “Fiorentina Primaverile”, in “La Piè”, Rassegna mensile d’illustrazione romagnola, 1922, a. III, p. 122; N. Tarchiani, La Fiorentina Primaverile di Belle Arti, in “Emporium”, vol. LV, maggio 1922, n. 329, p. 289; G. Costetti, Artisti puri, Domenico Rambelli, in “Il Sagittario”, n. 2, Viareggio, luglio 1923, pp. 29-34; F. Sapori, Con gli artisti di Romagna, in “La Tribuna”, 5 ottobre 1923, p.3; Danzi, Artisti nostri, Domenico Rambelli, in “Il nuovo giornale della sera”, 7 ottobre 1925; F. Sapori, Artisti di Romagna, Domenico Rambelli in “Il Resto del Carlino”, 26 agosto 1926 (poi in Domenico Rambelli, catalogo della mostra, Vicenza, Basilica Palladiana, a cura di Beatrice Buscaroli Fabbri, Vicenza 2002, p. 105); G.C. Polidori, Lo scultore Domenico Rambelli, in “Emporium”, Bergamo, novembre 1933, pp. 268-269; M. Borghi, Domenico Rambelli, estratto da Da Soffici a Manzù, Roma 1963, p. 7; C.L. Ragghianti, Arte moderna in Italia 1915-35, catalogo della mostra, Firenze, Palazzo Strozzi, Firenze 1967, XXVII, 670, p. 139, cat. 670; Quattordicesima Biennale Nazionale di arte figurativa, catalogo, Imola 1974, p. 80; R. Bossaglia, La pittura dell’Irrealismo, in Metafisica del quotidiano, catalogo della mostra, Bologna, Galleria d’Arte Moderna, a cura di F. Solmi, Bologna 1978, p. 330; Domenico Rambelli, catalogo della mostra, Faenza, Palazzo delle Esposizioni, a cura di O. Ghetti Baldi, presentazione di R. Barilli, Faenza 1980, pp. 14, 24-25, 67-68; Domenico Rambelli, catalogo della mostra, Vicenza, Basilica Palladiana, a cura di Beatrice Buscaroli Fabbri, Vicenza 2002, pp. 26, 102, 105

Creata come La Romagna, poi ripensata come La Portatrice e quale elemento del gruppo scultoreo del mai realizzato Monumento ai Caduti che avrebbe dovuto trovare luogo nel Cimitero dell’Osservanza di Faenza, l’opera, rimasta alla redazione in gesso, rappresenta lo snodo determinante del percorso artistico di Domenico Rambelli.

Nato sul finire del XIX secolo in una famiglia modesta nella artisticamente feconda Faenza si avvia alla professione prima come apprendista in alcune botteghe artigiane e poi frequentando i corsi della Scuola serale d’Arti e Mestieri diretta da Antonio Berti. Ma l’esperienza formativa più rilevante è senz’altro la frequentazione del ‘Cenacolo baccariniano’ di Faenza, che all’inizio del ‘900 raccoglie attorno a sé tutti i migliori ingegni della cittadina romagnola. Segue poi il trasferimento a Firenze per attendere, insieme a Domenico Baccarini, ai corsi della Scuola libera del Nudo. Qui conosce Lorenzo Viani, al quale si lega di una lunga e fruttuosa amicizia che si interrompe solo con la morte precoce di quest’ultimo.

Plasticatore solido e di altissime qualità formali, i primi passi di Rambelli sono all’insegna dell’ambiente del circolo di Baccarini e si muovono tra accenti tardo veristi, simbolisti e liberty. Nel primo decennio del secolo, sempre sulla scia di Baccarini, con cui probabilmente è a Roma ed entra in contatto con il cenacolo di Giovanni Prini, l’orizzonte artistico del nostro si amplia, lasciando trasparire, tra gli altri, la conoscenza di Medardo Rosso, Auguste Rodin e Antoine Bourdelle. Eppure, da qui inizia la lenta maturazione verso la sua cifra più personale che non rinuncia alla lezione accademica, ma attutisce fino alla negazione la vibrazione del modellato e sintetizza i volumi in masse plastiche dal respiro monumentale. Il percorso è evidenziato in particolare dall’attività grafica, dove, sul finire del primo decennio e l’inizio del secondo, le anatomie classiche vengono sostituite da membra rigonfie e talora sfatte tracciate con un tratto più sintetico ed espressionista. Confluiscono poi nella sua esperienza di questi anni la conoscenza della Secessione viennese e di Monaco.

È dopo la cesura rappresentata dalla Grande Guerra, a cui partecipa e dove viene ferito, che Rambelli si presenta nella sua veste matura. Ormai tra gli artisti più in vista e legato ai centri culturali italiani più avanzati del tempo, Firenze e Roma, dove tra Carrà, Soffici e gli esponenti di Valori Plastici si viene elaborando il rinnovamento nel segno della tradizione nazionale, Rambelli riesce a dare corpo alla sua personale visione archetipizzante, dove le istanze classiciste convivono con le spinte realistiche e popolari. La sentita esigenza del monumentale, che porterà il suo lavoro, dalla lentissima elaborazione, a concentrarsi nei successivi due decenni sulle tre grandi commissioni pubbliche del Monumento ai Caduti di Viareggio, del Monumento ai caduti di Brisighella (Il fante che dorme) e del Monumento a Francesco Baracca a Lugo di Romagna, lo spinge a un precoce ingrossare dei volumi che, a queste date, trova riscontro solo nell’opera di Arturo Martini. Le larghe masse plastiche si inscrivono in una linea morbida e tondeggiante che sembra anticipare sensibilità Novecentiste e Realistico magiche, pur se di queste ultime non ha la tendenza idealizzante, quanto invece l’insistito sentore del reale, dell’umano, del quotidiano. E, come è stato messo in evidenza dalla critica, pur radicato nella sua Romagna, non sono lontane le assonanze con le ricerche dei tedeschi Ernst Barlach e Kate Kollwitz.

Di questo scarto in avanti, la prima testimonianza scultorea compiuta è proprio il gesso de La Romagna, anche essa frutto di un lungo processo evolutivo, attestato dai disegni ancora conservati.

Presentata alla Primaverile fiorentina del 1922, fin dal suo apparire l’opera suscita un gran fermento nella critica – e ne è traccia la ricca bibliografia parzialmente qui indicata. A creare un certo sconcerto è la mancanza di magniloquenza e l’eccessiva nota realistica che contrastano con la suggestione simbolica che la scultura porta con sé. Eppure è proprio su questo nodo che si assesta la poetica di Rambelli, su un segno che sia al contempo realistico e astraente, che parli insieme di arcaismo, classicità, sintesi, modernità, stasi e movimento. E tutto senza perdere il legame carnale e profondo che lo lega alla sua terra: “Ho tentato di rubare alla natura l’assieme di uno dei suoi potenti aspetti, raffigurandolo in una giovane contadina fra maggio sole e rosolacci e tutto il premente sacco di stagione che tutto rende florido e meraviglioso e che tanto ci fa palpitare noi poeti” (F. Sapori, Artisti di Romagna, Domenico Rambelli in “Il Resto del Carlino”, 26 agosto 1926, poi in Domenico Rambelli, catalogo della mostra, Vicenza, Basilica Palladiana, a cura di Beatrice Buscaroli Fabbri, Vicenza 2002, p. 105).

Eugenio Maria Costantini

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