Armando Spadini

Poggio a Cajano (Firenze) 1883 – Roma 1925

Autoritratto con la corazza • 1902

Olio su cartoncino applicato su tela, 66 Ă— 57 cm

Al retro, etichetta antica con riferimento alla monografia di Adolfo Venturi ed Emilio Cecchi del 1927; etichetta della mostra Armando Spadini, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1983-1984 e di Bruno Tartaglia, prestatore Scuffi Firenze.

Bibliografia: E. Cecchi (a cura di), Armando Spadini catalogo dell’opera. Duecentocinquantasei tavole, con un testo di A. Venturi, A. Mondadori, Milano 1927, p. XXXVII; A. Parronchi, Artisti toscani del primo Novecento, Firenze 1958, tav. 89 (con datazione al 1904); Spadini, catalogo della mostra (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), a cura di P. Rosazza Ferraris e L. Titonel, Milano 1983, p. 21 ill.; Armando Spadini tra Ottocento e Avanguardia, catalogo della mostra (Poggio a Cajano, Villa Medicea), a cura di M Fagiolo dell’Arco, Milano, 1995, pp. 13, 14 ill.

Nel commentare le opere di Armando Spadini, Giuseppe Ungaretti scrisse «ama perdutamente le forme che la luce svela, accende e muta» precisando che non si trattava di luce impressionista, «ma da pittore italiano moderno, svoltosi verso la calda natura nostrale, dopo essersi a lungo confidato con un Tiziano o con un Tintoretto» (Enrico Somarè, La raccolta Fiano, Galleria Pesaro, Milano, 1933, p. 37).

Già in Autoritratto con la corazza, uno dei primi olii di Spadini, realizzato nel 1902, sono evidenti l’attenzione agli effetti luministici con i quali definisce la forma, in particolar modo nei riflessi dell’armatura, e l’amore per la pittura veneta, spesso sottolineato dalla critica.

Il 1902 è l’anno che segnò l’avvio del percorso di Spadini: dipinse le prime opere ad olio, tra cui ritratti dei familiari, autoritratti e alcuni nudi femminili di ispirazione tizianesca, e cominciò a farsi conoscere grazie a un concorso Alinari per l’illustrazione della Divina Commedia in cui ottenne il secondo premio.

La Firenze dell’inizio del secolo era un ambiente vivace e internazionale, con Max Klinger a Villa Romana, Arnold Böcklin appena scomparso dopo trent’anni trascorsi a Fiesole, Giovanni Fattori ormai anziano, insegnante all’Accademia fiorentina: in questo ambiente Spadini si orientava sotto la guida da un lato di Giovanni Papini e dall’altro di Ardengo Soffici.

Tutta la sua carriera artistica, pur breve perché prematuramente stroncata dalla malattia, è costellata di autoritratti, attraverso i quali si possono seguire le sue vicende biografiche e le evoluzioni del suo linguaggio pittorico.

Quattro sono quelli degli esordi. Oltre all’Autoritratto con la corazza, nell’Autoritratto preraffaellita datato al 1900 circa, ugualmente tagliato a mezzobusto, la figura dell’artista allungata e i profili graziosi del volto declinano la fascinazione per le atmosfere rarefatte e la scelta stilistica annunciata dal titolo. Autoritratto in abito da passeggio con il bastone “gelsomino” (1901-1902, già in collezione Fiano) è quello che, nonostante il taglio a tre quarti, fornisce l’accostamento più convincente con Autoritratto con la corazza, per la sicura definizione della forma, la posizione del corpo e del volto e persino la mano destra, poggiata in questo caso sul bastone. La maggiore modernità è data da un impronta fattoriana e dagli abiti contemporanei: si vede qui un giovane pronto per la passeggiata, con l’alto colletto, il cravattone, il vestito scuro e il bastone esibito con una certa ostentazione. Del 1903 circa è poi l’Autoritratto con camiciotto da pittore in cui la forma del soggetto è già meno definita e le pennellate più grosse e libere. Se per Autoritratto con la corazza Maurizio Fagiolo dell’Arco ipotizzava «un omaggio all’amato Rembrandt che così si travestì a vent’anni» (1995, 13) in quello dell’anno seguente si possono scorgere debiti con Velásquez, particolarmente per l’escamotage del volto obliquo che si guarda allo specchio, collocato dietro al cavalletto.

Dopo un Autoritratto a braccia conserte del 1908, ne Il pittore e la moglie del 1910, (appartenente alle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna) lo ritroviamo in piedi, a figura intera, il corpo sbilanciato, lo sguardo spavaldo e gli strumenti del mestiere nella mano destra, dietro alla moglie Pasqualina seduta e in dolce attesa: lui stesso commentava con un collezionista «Me lo dica lei, caro Fiano, se non sembra un Goya?» (Fagiolo dell’Arco 1995, 13).

Nell’Autoritratto in divisa del 1915 in cui documenta la chiamata alle armi per l’entrata dell’Italia nel conflitto mondiale, l’impaginazione del quadro e la posa del pittore sono analoghe all’ Autoritratto con la corazza del 1902 ma il disegno meno netto e volutamente privo di dettagli (la mano si indovina appena) rivelano l’elaborazione personale della lezione impressionista, conosciuta alla Secessione romana due anni prima.

Nell’Autoritratto del 1917 la luce non è più quella veneta cinquecentesca degli esordi, né quella diffusa e opalina de Il pittore e la moglie e delle opere coeve, ma è ormai iridata e quasi violenta, costruita a chiazze, e bagliori, e queste caratteristiche si accentuano ulteriormente nell’Autoritratto a figura intera dell’anno seguente in cui le forme sono definite dal colore, a tratti molto acceso, steso con pennellate libere e con la spatola, nella quasi totale assenza di disegno, mentre lo spazio circostante è appena accennato.

La luce si fa invece tremula e la forma quasi disfatta nell’Autoritratto dipinto poco prima di morire, in cui l’artista si ritrae nuovamente a mezzobusto con il capo rivolto in diagonale, come già nel 1917 e ancor prima nel 1902. Per la data quanto per lo stile, la critica ha spesso ravvisato in quest’ultimo autoritratto del 1924-1925 una resa consapevole alla nefrite che aveva contratto in guerra e che gli avrebbe causato la morte. Nel taglio dell’immagine, nella posa e persino nel camiciotto aperto sul collo, Spadini sembra qui aver preso a modello l’autoritratto che Goya dipinse nel 1815, a pochi anni dalla morte; ma se il modello è individuato nella storia dell’arte, la sua elaborazione pittorica è assolutamente contemporanea (Cecchi 1927, 101).

L’ Autoritratto con la corazza del 1902 si rivela così capostipite di un’importante e densa serie che attraversa l’intero percorso artistico di Armando Spadini.

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