Antonietta Raphaël

Kaunas, Lituania 1895-Roma 1975

Ritratto di Mario (L’uomo che legge) • 1928

Olio su tela, 45 x 35 cm

Intitolato in alto a sinistra: “Mario che legge”

Firmato in basso a sinistra, in verticale: “RAPHAEL”

Localizzato e datato in basso a destra, in verticale: “Roma [28?]”

Etichette al retro: “Raphael/L’uomo che legge (Ritratto di Mafai), 1928”; 32 galleria d’arte, Milano, 1969; Galleria Menghelli, 1972; etichetta Galleria d’Arte Moderna Farsetti Prato

Bibliografia: Antonietta Raphael Mafai Mario Mafai, Galleria Menghelli, Firenze, 29 ottobre-28 novembre 1971, s.p. (con il titolo Mario che legge)

Dichiarazione autografa di autenticità di Antonietta Raphael Mafai, datata Roma 12/3/1979; dichiarazione di autenticità e provenienza Galleria d’Arte moderna Farsetti s.a.s. Prato, 217/88

Ampiamente indagato dalla critica, il sodalizio artistico e umano fra Antonietta Raphael e Mario Mafai si è costantemente svolto lungo un sottile quanto intenso gioco di rimandi, in particolare per ciò che attiene agli anni della rispettiva formazione. Le indagini sono state incentrate, ovviamente, sulle vicende e sugli sviluppi della Scuola Romana al volgere del terzo decennio del secolo, in coincidenza con il trasferimento della coppia nella celebre abitazione-studio di via Cavour (1927), motore della vicenda.

La produzione artistica dei due artisti, con l’apporto “esterno” dell’amico Scipione Bonichi, riflette un’esigenza di ricerca che trova nello scambio reciproco un leale e vivace spunto creativo. Se ne ha traccia, ad esempio, in una lettera che Mafai scrive ad Antonietta durante il soggiorno di questa a Londra (1931 ca.), in cui accanto a notizie familiari sulle amate figlie aggiunge “Sento che dipingi e sono contento perché quando dipingi tu sei felice. Certamente mi piacerebbe vedere le tue cose nuove. Mi permetto di darti un consiglio… che naturalmente tu puoi o no accettare. Parlando del ritratto accenni a del vermiglione sui capelli neri. È bello, capisco, ma non cadere in un gusto troppo sensuale ed anche se ce n’è la necessità, che non sia apparente, ripeto come sensualità e come lusso”[1].

Il tema del ritratto verrà ampiamente indagato da Raphael, che in questi anni sonda le diverse declinazioni compositive che il soggetto suggerisce in contrappunto con le coeve esperienze pittoriche del marito, seppure arricchite da apporti internazionali sufficientemente inediti in ambito romano. Testimonianza dell’intesa attività di ricerca espressiva sono i rispettivi ritratti che tutti e due realizzano e che recano in sé la traccia della quotidiana sperimentazione di linguaggi. Allo stesso 1928 sono da ascrivere, ad esempio, i dipinti di Raphael Mafai che disegna e Mafai che beve, in cui la pittrice ritrae il compagno con indosso la medesima camicia bianca dell’opera qui in esame, ma questa volta a figura intera, cui fa da contrappunto il coevo ritratto di Rapahel mentre dipinge, con la pelle di leopardo eseguito alla fine degli anni venti da Mario. Nel gesto di sorreggersi il capo con la mano il Ritratto di Mario rimanda anche allo Studente innamorato di Mafai, esposto al pubblico nel dicembre 1928 presso il Circolo di Roma a Palazzo Doria, e al più noto Autoritratto del 1929, mentre il taglio a mezzo busto verrà adottato da Raphael anche in Donna sulla terrazza (1928); ancora nel 1930 nuovamente Mafai presenta la Ragazza che legge in occasione della mostra del Sindacato Fascista delle Belle Arti.

Nel 1929 Raphael in occasione della mostra Otto pittrici e scultrici romane espone alla Camerata degli Artisti ben ventidue dipinti che raccolgono il consenso della critica che, cogliendone il linguaggio vigorosamente espressivo sin dalla tavolozza, la definì l’“indiavolata signorina Raphael, una ragazza all’americana in una camerata di educande”[2]. Accanto a una serie di vedute romane appaiono un Autoritratto e il ritratto Uomo che legge di sera, che presenta singolari analogie compositive con il dipinto qui in esame[3]: in entrambi i casi le opere superano la tradizionale impostazione del ritratto di impianto tradizionale, travalicando la pittura di richiamo intimista a favore di quel nuovo linguaggio di forte espressività che aveva trovato la sua codifica ufficiale nel mese di gennaio con la nascita della cosiddetta Scuola di via Cavour, felice definizione coniata da Roberto Longhi in occasione della partecipazione dell’artista insieme a Mafai e Scipione alla Terza Biennale Romana.

L’opera, pur nelle ridotte dimensioni, rivela già una chiara visione pittorica e, in particolare nel ricco e vigoroso impasto cromatico, rimanda alla provenienza dell’artista dalla natìa Lituania che le fornirà anche quella costante vena fortemente onirica in cui è lecito scorgere anche l’influenza di Marc Chagall nonché quell’attenzione ai temi mistici derivatale dall’essere figlia di un rabbino e nipote di uno studioso del Talmud. Sul piano formale, invece, occorre far riferimento alle esperienze europee dell’artista e alla vicinanza con artisti come Chaïm Soutine che Raphael aveva avuto modo di avvicinare e approfondire durante la permanenza parigina prima di giungere a Roma, al contrario di Mafai e Scipione che vi si erano potuti avvicinare solo attraverso le pagine dei volumi compulsati nelle visite serali alla Biblioteca di Storia dell’Arte di piazza Venezia.

Il vigoroso fondo cremisi, sul quale si stagliano il bianco della camicia e le iscrizioni, accentua il carattere fortemente plastico della figura, nei cui lineamenti del volto sembrano rivelarsi le parole con le quali Renato Guttuso, pochi anni più avanti, descriverà il pittore: “Questo piccolo uomo dai capelli corti e scomposti (due occhietti profondi e indimenticabili, un riso che fa soffrire e che scoppia di tanto in tanto, quando non c’entra, e un’andatura dinoccolata da vagabondo)”[4]. Anche se non è indicato il titolo del libro non riesce difficile immaginare il giovane Mafai intento nella lettura di uno degli amati filosofi che, alla sua morte, sono stati trovati nella sua abitazione: Schopenauer e Nietzche, ovviamente, ma anche Max Stirner.

Il ritratto di Mafai è una rara testimonianza della prima, felice, stagione creativa della Raphael, nota attraverso una ristretta silloge di dipinti. Nella matericità aspra del colore, nella stesura ruvida e autonoma e nel disinteresse per le preoccupazioni di stile della forma Raphael rivela quella formazione autodidatta e quella visione fortemente plastica – “l’unica donna al mondo da considerare come un geniale scultore” la definì Libero de Libero[5] – e la continua ricerca “guidata dal solo istinto” che ne caratterizza la produzione artistica che la porterà, dopo il successo delle tre mostre romane fra il 1928 e il 1929, ad allontanarsi dall’Italia per ritornarvi, fra alterne vicende, solo nel 1933.

[1] Maurizio Fagiolo dell’Arco, I Mafai. Vite parallele, Edizioni Netta Vespignani, Roma 1994, p. 23

[2] Afra [Alberto Francini], Mostre romane. Sei pittrici e due scultrici, in “L’Italia Letteraria”, Roma, 23 giugno 1929

[3] Gerardo Dottori, Mostre romane. Otto donne alla Camerata degli artisti, in “L’Impero”, Roma, 26 giugno 1929

[4] Renato Guttuso, in “L’ora”, Palermo, 11 febbraio 1933

[5] Libero de Libero, Il mio amico Mafai, in Mario Mafai, De Luca Editore, Roma 1949, p. 10

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