Ernesto Biondi - Busto di donna romana

Opera non disponibile

Ernesto Biondi
(Morolo 1854 – Roma 1917)

Busto di donna romana

Bronzo, cm 45 x 42,5 x 29,5

Monogramma di Ernesto Biondi sul lato destro (una b inscritta in una circoferenza)

Ernesto Biondi giunse a Roma ancora sedicenne nel 1870 per studiare presso l’Accademia di San Luca sotto la guida del fiorentino Gerolamo Masini. Subito la sua produzione si orientò decisamente verso tematiche e soggetti di serio impegno sociale (Di Genova 1968, pp.525–526). Ne sono testimonianza i bronzi de Il Povero Colae La povera gente (ambedue del 1888) in cui, aprendosi agli influssi del verismo partenopeo di Achille D’Orsi (Proximus Tuus, 1880, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) e di Teofilo Patini (L’erede, 1880, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna; Vanga e latte, 1883, Roma, Ministero dell’Agricoltura), Biondi dà vita ad immagini al limite dell’antropologia darwiniana (la cui diffusione fu essenziale per l’affermarsi del realismo scultoreo ottocentesco anche grazie alla ripresa operatane da Francesco De Sanctis; Damigella 1998, pp.86-98) nella rappresentazione di uomini “schiantati” dalla fatica e consci della propria ineluttabile condizione (Rosci 1996, p.18).

La fedele registrazione del dato reale è del resto elemento costitutivo – insieme all’attenta riflessione sui temi dell’arte ellenistica e sulla ritrattistica romana di età repubblicana (Di Genova, 1968, p.525) – de I Saturnali (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), l’opera di maggior impegno eseguita da Biondi, a cui attese dal 1890 al 1899 e di cui il busto di nobile romana qui esposto costituisce un particolare gettato durante il lungo periodo di elaborazione.

Dieci figure di grandezza naturale in preda al rito orgiastico tributato al dio Saturno, di cui l’aspetto di maggiore interesse è innegabilmente lo studio fisiognomico dei tratti del volto, non semplicemente “reali” ma veri al punto da restituire tutte le accidentalità dell’epidermide e da caratterizzare gli attori della scena (quasi si tratti di personaggi disposti su un palcoscenico) non come generici tipi (il gladiatore, la nobile donna, il senatore) ma specifiche persone, la cui analisi dei “segni” del volto (in anni in cui le diverse branche della semiotica, inclusa la psicanalisi freudiana, andavano fondandosi come discipline scientifiche) costituisce un “paradigma indiziario” (Ginzburg 1986, pp.159-165) per una corretta identificazione dello loro individualità.

Ricerca, come detto, cui contribuisce lo studio del ritratto veristico romano di età repubblicana che, per la pettinatura della nobildonna ritratta nel busto in esame, offrì a Biondi un modello puntualmente ripreso: la testa della Vibia Matidiadel Museo Capitolino di Roma (Bianchi Bandinelli 1969, pp. 100–103).

Il grande gruppo, presentato nel 1900 all’Esposizione Universale di Parigi dove risultò vincitore del Gran Prix (Panzetta 1994, p.49; Vicario 1990, p.90), fu nello stesso anno acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Non lo stesso successo ottenne invece una seconda versione dell’opera – oggi presso il giardino botanico Carlos Thays di Buenos Aires – presentata all’Esposizione Pan-Americana di Buffalo nel 1902, oggetto di accesa polemica sui giornali newyorkesi e di una controversia legale tra Biondi e il Metropolitana Museum di New York (The “Bulletin”, pp. 6-7). Dopo l’esposizione di Buffalo infatti, il direttore del Metropolitan decise di esporre I Saturnalinella nuova hall del museo nella Fifht Avenue per un anno e quindi di operarne l’acquisto. Sennonché la stampa cittadina giudicò il gruppo inappropriato per essere esposto in un museo pubblico per la “volgarità” (the grossness) del soggetto trattato e i membri del Board of Trustees si videro costretti a rescindere il contratto stipulato con l’artista. La vicenda finì in tribunale a tutto detrimento di Biondi, il quale – nonostante avesse chiesto duecentomila dollari di risarcimento – non ottenne neanche il rimborso delle spese di dogana. Per denunciare il fatto lo scultore scrisse perfino un libello poi mai pubblicato (Sapori 1921).

Francesco Leone

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