Il pittore Placido Costanzi nacque a Napoli nel 1702, figlio di un orafo e incisore di gemme, Giovanni. Con il ritorno della famiglia a Roma intorno al 1712, Costanzi venne affidato alle cure dei pittori Francesco Trevisani prima – con cui studiò per cinque anni – e di Benedetto Luti poi, con il quale si perfezionò per altrettanti anni. Sebbene le prime prove del pittore siano andate purtroppo perdute – come i lavori nella villa fuori Porta Pia del cardinale Alberoni e un’Annunciazione dipinta per Elisabetta Farnese – ci resta testimonianza del suo precoce talento all’interno della biografia che Pio dedica al maestro Luti. Il pittore in ogni caso dovette attirare ben presto le attenzioni del cardinale Chigi Zondadari, poiché i biografi ricordano molte sue opere in territorio senese ed è certo che venne coinvolto nell’ammodernamento del palazzo in Piazza del Campo. Intorno al 1725 ebbe inizio la fortunata collaborazione tra Costanzi e Jan Frans van Bloemen, il paesaggista più in voga sulla scena artistica romana del tempo, per il quale il Nostro eseguiva le figure; sodalizio che si espresse al meglio nei lavori che i due licenziarono al Coffee House del Quirinale.

Nella prestigiosa basilica di San Pietro si conserva un mosaico che fu tradotto nel 1758 da un dipinto del Costanzi rappresentante la Resurrezione di Tabita, per cui risultano pagamenti dal 1738 al 1740, e che ora si trova nella chiesa di Santa Maria degli Angeli.

Nel 1736 il pittore, in sostituzione di Agostino Masucci, venne inserito nel novero degli artisti che dovevano realizzare un episodio tratto dalla vita di Alessandro Magno per la sala del trono del palazzo della Granja a Sant’Ildefonso, dipingendo la Fondazione di Alessandria (olio su tela, 1738, Escorial).

Costanzi viene a qualificarsi dunque come artefice tutt’altro che marginale, considerando anche che fu in grado di percorrere tutto il cursus honorum canonico per un pittore romano di successo, e dopo essere stato ammesso tra i Virtuosi del Pantheon, nel 1741 divenne membro dell’Accademia di San Luca, fregiandosi della prestigiosa carica di “principe” negli ultimi due anni della propria vita. Morì a Roma il 2 ottobre 1759.

Pittore che seppe destreggiarsi con qualità sostenuta tra tutti i generi pittorici, dai dipinti a tematiche sacre a quelli con soggetti storico-mitologici, Costanzi si inserì con personalità e piglio gradevole all’interno della corrente del classicismo arcadico romano, maturando uno stile solido ma composto e raffinato. Ne è una pregevole dimostrazione il dipinto passato presso la nostra Galleria (olio su tela, 1738 ca.) rappresentante Narciso al fonte, in cui la figura del giovane, snella e plastica, si lascia ammirare sullo sfondo di una vegetazione florida, che rimanda alla lezione di Filippo Lauri.

Tra le opere più importanti eseguite durante la carriera del pittore va indubbiamente citato l’affresco con La Trinità con i santi Romualdo e Gregorio che trionfano sull’Eresia realizzato tra 1726 e 1727 sul soffitto della chiesa camaldolese di San Gregorio al Celio. L’opera, della quale ci resta un bozzetto conservato presso il Museo di Toledo, venne ordinata dal cardinal Zondadari, protettore dei Camaldolesi, che pagò di proprio pugno 300 scudi, e riprende in maniera marcata idee compositive e dettagli fisiognomici da precedenti creazioni marattesche.