| OPERA NON DISPONIBILE

Antonio Bueno
Berlino 1918 – Fiesole 1984
Ritratto del pittore Pietro Annigoni • 1943
Olio su tela, 80 x 60 cm
Firmato e datato in basso a sinistra: A. Bueno 1943 etichetta al retro: A. Bueno, Galleria d’arte Firenze, Via Cavour 14, 1943
Bibliografia: Saverio e Antonio Bueno, catalogo della mostra (Firenze, Galleria d’Arte “Firenze”, 30 gennaio – 10 febbraio 1943). Opera non pubblicata ma riportata nell’elenco opere con il numero 42.
Il dipinto realizzato da Antonio Bueno (Berlino, 1918 – Fiesole, 1984) negli anni della Seconda guerra mondiale ci racconta del profondo legame, nato in quel periodo a Firenze, tra il pittore Pietro Annigoni (Milano, 1910 – Firenze 1988) e i fratelli Bueno. Antonio e Xavier (Bera, 1915 – Fiesole, 1979) giungono in maniera rocambolesca Italia nel 1940. Di origini spagnole crescono a Ginevra al seguito del padre giornalista inviato di guerra e con un incarico diplomatico alla Società delle Nazioni. Entrambi coltivano la passione per l’arte fin dalla più tenera età e decisi a intraprendere la carriera di pittori, sul finire degli anni Trenta, si trasferiscono a Parigi dove Xavier ottiene i suoi primi importanti riscontri critici con opere di impegno sociale che denunciano il dramma della guerra civile spagnola. Il Miliziano del 1938 è un dipinto di grandi dimensioni segnato da un crudo realismo chiaramente ispirato ai modelli seicenteschi della pittura spagnola che guarda a Velázquez ma soprattutto a Zurbarán. Antonio in questi anni di formazione vedrà nel fratello maggiore un punto di riferimento a cui approssimarsi e da cui avrà modi di affrancarsi nel corso del decennio successivo. L’addensarsi delle nubi sui cieli d’Europa nell’autunno del ’39 ha conseguenze immediate sui loro destini. Nel complesso intreccio delle alleanze militari, i due fratelli, in quanto cittadini spagnoli, perdono il diritto di soggiorno in Francia. Le posizioni dichiaratamente antifranchiste rendono pericoloso un loro rientro in Spagna e impossibile un ritorno in Svizzera che chiude le frontiere ai profughi di guerra. In queste fasi concitate l’Italia, alleata della Spagna e non ancora entrata nel conflitto, rappresenta l’unica soluzione percorribile. I Bueno, infatti, giungono a Firenze nel gennaio del 1940, una permanenza che provano ad ammantare come parentesi di accrescimento del proprio bagaglio culturale e artistico ma che ben presto si trasforma in una prigionia dorata quando, in seguito all’entrata in guerra dell’Italia, subiscono la confisca dei passaporti con l’obbligo di dimora nel capoluogo toscano. Antonio nella sua autobiografia ricorda così la routine e i primi incontri fiorentini: «Le nostre giornate si dividevano ora in due parti. Andavamo la mattina a visitare chiese e musei e il pomeriggio stavamo nel nostro studio al numero 8 di via degli Artisti. Esso faceva parte di una specie di casermone a due piani, risalente alla fine dell’Ottocento, interamente occupato da artisti». Qui incontrano lo scultore Berto Lardera con cui legano anche in ragione delle comuni posizioni antifasciste ed è proprio lui a presentare ai due fratelli Pietro Annigoni. Antonio lascia una testimonianza precisa di questo primo incontro: «Annigoni, che doveva avere a quel tempo non più di trent’anni, era un giovanotto grande e grosso, con due basette nere sulle guance piene che gli conferivano l’aspetto, più che di un pittore, di un baritono (di cui aveva anche la voce); o meglio, aveva l’aspetto di un pittore, sì, ma di un pittore uscito da una scena della Bohème. Antifascista dichiarato e poco timoroso di farlo sapere, gran mangiatore, gran bevitore e gran lavoratore, Annigoni era anche gran conoscitore di musei, e non solo in Italia ma in tutta l’Europa, che aveva percorsa in lungo e in largo. Diventammo subito amici, malgrado la sua pittura ci lasciasse alquanto perplessi. Dire che i suoi quadri sembravano dipinti nell’Ottocento era forse sbagliato, ma certo non sembravano frutto del nostro secolo. Per uno come me, che aveva studiato sotto professori di discendenza cezanniana e che si era interessato poi di geometrismo e di Dada, la scossa era forte. Tuttavia, la simpatia che emanava dall’uomo e l’evidente buona fede mi inducevano a cercare delle qualità anche in certi quadroni pieni di figure atteggiate in pose alquanto teatrali. […] Nondimeno continuammo a vederci molto spesso con Annigoni sia perché egli si offrì di farci da cicerone per continuare le visite agli affreschi nelle chiese di Firenze, sia perché di lì a poco prese l’abitudine di venire ogni sera al nostro studio, dove più che altro la conversazione verteva sulla situazione politica.». Va ricordato che Antonio Bueno incomincia a scrivere la sua autobiografia soltanto nel 1981 e che i giudizi in merito alle prime impressioni avute sulla pittura di Annigoni siano stati probabilmente in parte alterati dalle posizioni che gli artisti assumono nel corso dei decenni successivi. Sebbene la formazione accademica svizzera di Antonio Bueno sia segnata, come lui stesso racconta, da figure che guardano all’eredità di Cezanne e che dichiari interessi verso “geometrismo” e dadaismo, i suoi esordi pittorici non sono all’insegna di queste suggestioni. Antonio dimostra abilità tecniche straordinarie che coltiva ossessivamente confrontandosi parallelamente con il fratello, con il quale stabilisce negli anni della guerra una simbiosi artistica profonda e ispirata. La sua pittura degli esordi ha orientamenti figurativi ed è principalmente stimolata da un confronto con le eredità del passato. In particolare, la forzata permanenza fiorentina lo porta a guardare alle eredità rinascimentali interessandosi paradossalmente alle opere dei tedeschi e dei fiamminghi presenti nelle collezioni degli Uffizi. La resa lenticolare della realtà sarà in questa fase un obiettivo perseguito con metodo, e in questo senso la visione dell’Adorazione dei Pastori di Hugo van der Goes sarà per lui un’autentica rivelazione. Questo retroterra culturale di rispetto ossequioso verso la tradizione unito a un approccio rigoroso verso il mestiere dell’artista, sarà l’orizzonte attorno a cui si crearono le premesse, sul finire degli anni Quaranta, alla nascita della donchisciottesca esperienza dei Pittori moderni della realtà il cui belligerante manifesto, rivolto contro i conformismi e le derive delle avanguardie, è sottoscritto dai fratelli Bueno proprio con Pietro Annigoni e con Gregorio Sciltian, altro pittore con posizioni nettamente antimoderniste. Va sottolineato quanto Antonio fosse stato trascinato dal fratello in questa avventura brevissima tra il 1947 e il 1949 che per entrambi ha avuto conseguenze importanti sulle rispettive carriere che si tradussero “in quindici anni di miseria” proprio per come la ferma opposizione della critica dell’epoca si accanisce scagliandosi contro quel velleitario fronte comune le cui posizioni erano giudicate anacronistiche e reazionarie. Tornando al rapporto con Pietro Annigoni negli anni della guerra occorre evidenziare un episodio significativo che giustifica da una parte il legame di amicizia e di riconoscenza che i due fratelli stabiliscono con il pittore e dall’altra rappresenta il primo momento di un loro radicamento nel contesto artistico italiano del tempo. É, infatti, Annigoni a curare la prima mostra dei due pittori di origine spagnola assumendosi tutti gli oneri economici e organizzativi dell’operazione. Le opere da loro realizzate in quel periodo di confinamento rappresentavano nelle intenzioni dei due artisti preziose testimonianze di una fase di formazione intensa e ispirata ma certamente condizionata dalla complessità della situazione che stavano vivendo. La loro genesi non era dunque motivata dalla necessità di un allestimento espositivo che sicuramente avrebbe indirizzato a una maggiore coerenza stilistica quel nucleo di lavori così eterogenei. Ma le ristrettezze economiche di quella fase delicata della loro carriera impongono questa scelta e grazie alle conoscenze di Annigoni, la mostra viene allestita “in contumacia” alla Galleria Ranzini di Milano nella centralissima via Brera non distante dalla Pinacoteca, senza che i fratelli possano presenziarvi: «A tutto provvide Annigoni. Aveva deciso che dovevamo fare una mostra e ora la mostra ci doveva essere a ogni costo. Non solo scrisse la presentazione, ma curò personalmente il catalogo presso una stamperia che stava sotto il suo studio di piazza Santa Croce, e si incaricò inoltre della spedizione delle opere andando poi a Milano per aprire le casse e collocare i quadri. A quanto ci raccontò poi, non fu un’impresa di poco conto. Il magazzino di quel mercante non era distante dalla sua galleria ma bisognava attraversare la strada in una giornata di gran vento. Molte delle nostre tele di grandi dimensioni si gonfiavano come le vele di una barca, rischiando di essere travolte assieme al portatore. Meno male che Annigoni, oltre ad essere fortissimo (cosa di cui andava molto fiero), pesava già allora più di un quintale. Egli rimase a Milano per tutta la durata della mostra e il pubblico, vedendolo sempre nella galleria col suo basco le sue basette, pensava che fosse lui l’autore. Anche Vittorio De Sica, che fu il nostro primo acquirente, cadde in questo errore.». La mostra ottiene un importante riscontro e oltre al grande regista cinematografico, padre del neorealismo, acquistano anche altri collezionisti di rilievo come Kroff, Toninelli, Finazzi e il gallerista Virginio Ghiringhelli della Galleria il Milione di Milano che offre inoltre ai due fratelli un contratto per una mostra da tenere l’anno successivo. Il successo si ripete anche alla Galleria di via Cavour nel 1943, l’unica di rilievo in quel periodo nel capoluogo fiorentino, circostanza nella quale entrano in contatto anche con Giorgio de Chirico che aveva preso casa in città durante la guerra. De Chirico resta profondamente ammirato dalla loro pittura al punto da esigere la presenza di opere dei fratelli Bueno nelle mostre collettive in cui è invitato negli anni del conflitto. È inoltre noto come nelle sue memorie il Pictor Optimus abbia indicato in un passaggio, mai ritrattato nelle varie edizioni, un forte apprezzamento verso i fratelli Bueno che considera tra i pittori di maggior talento da lui incontrati. Il ritratto di Annigoni realizzato da Antonio Bueno, esposto per la prima volta alla Galleria Cavour prima di essere donato a Pietro Annigoni, va dunque inteso come un omaggio sincero nei confronti di un amico e di un mentore, ma allo stesso tempo è anche un dipinto con cui si esprime un comune orizzonte di ricerca orientato al rapporto con la tradizione figurativa e soprattutto alla relazione tra pittura e realtà. Il quadro è contraddistinto da una sobria misura nelle scelte cromatiche. Dominano i toni neutri del grigio, dei bruni e dei neri in un controllato accordo da cui si discosta delicatamente l’azzurro del colletto e dei polsini della camicia. Scelte tonali austere che esaltano l’incarnato seguendo un preciso richiamo ai modi della ritrattistica spagnola con un’evidente attenzione all’eredità seicentesca di Velázquez. L’atmosfera raccolta e rigorosa si concentra sulla forza plastica della figura che si staglia con vigore dal fondo neutro mettendo in evidenza i tratti del volto restituiti con precisione naturalistica. Annigoni è seduto e con fiera compostezza accavalla le gambe mentre con il busto si rivolge con una lieve torsione nella direzione dello spettatore quasi cercando un’intesa silenziosa. La mano destra afferra il bracciolo mentre con l’altra regge alcuni fogli di carta o forse un taccuino di disegni arrotolato, a suggerire la sua natura di artista e di intellettuale secondo la tradizione iconografica della ritrattistica rinascimentale nella quale gli oggetti presenti nell’opera riconducono al mestiere o al ruolo sociale del soggetto. Ma sicuramente moderna è l’essenzialità della rappresentazione nella quale Annigoni appare insolitamente elegante, in giacca e cravatta e gilet scuri e pantaloni grigi in luogo dell’abbigliamento ben più informale che era solito utilizzare e soprattutto senza l’immancabile basco da pittore o la mantella con cui l’artista codifica la propria immagine in tutti i suoi innumerevoli autoritratti e in particolare quelli in cui si colloca all’interno del proprio atelier, luogo di condivisione artistica e crocevia di esperienze intellettuali plasmato sul modello della bottega rinascimentale. In questo dipinto Antonio Bueno dimostra una certa vicinanza con l’interesse che il fratello Xavier manifestava in quel periodo verso l’opera di Manet e in particolare con la sua fase spagnolesca. Il modello evidente a cui Antonio guarda è il celeberrimo Ritratto di Émile Zola del 1868 conservato al Museo d’Orsay di Parigi. Capolavoro assoluto in cui si intrecciano vicende artistiche e intellettuali che restituisce il senso di un’epoca irripetibile della storia del gusto e dello stile che vede il grande romanziere seduto allo scrittoio e, sebbene di profilo, atteggiato con una posa analoga a quella scelta da Bueno per l’amico Annigoni. Vestito elegantemente con pantaloni grigi e giacca nera anche lui accavalla la gamba destra. È risaputo come questo capolavoro sia nato come atto di riconoscenza del pittore nei confronti di Zola, che aveva preso le difese di Manet in un articolo scagliandosi contro le giurie che lo avevano escluso dai Salon senza comprenderne la grandezza. Articolo che scatena molte polemiche all’epoca al punto da causare il licenziamento dello scrittore dal giornale per cui lavora. Antonio Bueno, dunque, sceglie un modello alto e illustre per esprimere il sentimento che lo lega a Pietro Annigoni, che tra l’altro ricambia due anni dopo con un piccolo disegno a china con i tratti essenziali di Antonio ancora in possesso degli eredi Bueno. L’opera assume un particolare valore nelle rispettive vicende biografiche e rappresenta uno straordinario esempio di come gli artisti siano capaci di riconoscersi e di aiutarsi vicendevolmente nei contesti più complicati e avversi. La riconoscenza è un atto di estrema umanità che nelle storie tra artisti talvolta lascia opere intense e preziose, come questo bel ritratto che Pietro Annigoni conserva per tutta la vita nella sua elegante e sfarzosa dimora fiorentina colma di ricordi e ricca come un museo. Un dipinto capace di restituirne la grandezza non solo come pittore ma come intellettuale attento e difensore delle tradizioni e della dimensione sociale dell’artista. Lo storico dell’arte Bernard Berenson grande amico del pittore milanese ma naturalizzato fiorentino disse: “Pietro Annigoni non è solo il più grande pittore di questo secolo ma è anche in grado di competere alla pari con i più grandi pittori di tutti i tempi. Egli rimarrà nella storia dell’arte come il contestatore di un’epoca buia”. Con questa opera incomincia dunque un’altra parabola artistica quella di Antonio Bueno che con le sue opere avrà modo di farsi apprezzare dal collezionismo del suo tempo. Finita la guerra e dopo un confinamento forzato, Firenze diventa per Antonio e Xavier la città in cui esprimere la propria vocazione e realizzarsi pienamente come artisti diventando tra i pittori della loro generazione più amanti e quotati in Italia nel Secondo dopoguerra.
Stefano Sbarbaro
La Galleria Carlo Virgilio & C. ricerca opere di Bueno Antonio (1918-1984)
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