| OPERA DISPONIBILE

Adolfo De Carolis
Montefiore dell’Aso 1874 – Roma 1928
Studio per nudo virile sul timpano sinistro di Aemilius per il Palazzo del Podestà di Bologna • 1911-12
Olio su tela, 60,5 x 77 cm
Bibliografia selezionata sul palazzo del Podestà: Pel salone del Podestà, Lettera al direttore, in “Il resto del Carlino”, 15 novembre 1908; Giorgio Gavasci, La decorazione del Palazzo del Podestà, in “Picenum”, 1911, p. 151-152; Ascanio Forti, Tra i miti e i simboli del Salone del Podestà, 29 novembre 1913; Decio Buffoni, Gli affreschi di Adolfo De Carolis nel Salone del Podestà di Bologna, in “Il progresso”, 15 gennaio 1921; Renato Barilli, Bistolfi e De Carolis a Bologna, in Aa. Vv., Il Liberty a Bologna e nell’Emilia Romagna: architettura, arti applicate e grafica, pittura e scultura, catalogo della mostra Bologna 1977, Grafis, Bologna 1977; Franco Solmi, Adolfo De Carolis: la sintesi immaginaria. Gli affreschi del Salone del Podestà di Bologna, Grafis, Bologna 1979; Simonetta Di Pino Giambi, Adolfo De Carolis. Il piacere dell’arte, Pitti Arte e Libri, Firenze 1992.
Grazie alla vittoria al concorso del 1907, bandito dalla Società Francesco Francia, per la realizzazione del monumentale e ambizioso progetto di decorazione del Palazzo del Podestà di Bologna, Adolfo De Carolis poté dispiegare il tanto vagheggiato mito di una grande decorazione che potesse coniugare insieme i valori della pittura e della scultura, guardando insistentemente a Michelangelo Buonarroti.
Il contratto consentiva a De Carolis di avvalersi di aiutanti che però dovevano limitare il loro intervento soltanto alle parti secondarie perché, come da esplicita richiesta, si raccomandava che fosse il Maestro a eseguire le principali.
Bologna era il luogo perfetto per questo esperimento neo-cinquecentesco, anche per via dell’importanza rivestita dall’estetismo bolognese, auspice Alfonso Rubbiani e la sua gilda della Aemilia Ars, e De Carolis con i suoi atteggiamenti preraffaelliti – era solito abbigliarsi con casacche e cappelli cinquecenteschi – rappresentava l’artista ideale per l’impresa revivalista.
Il ciclo di affreschi per Palazzo del Podestà impegnò Adolfo De Carolis per quasi vent’anni dovendo l’artista occuparsi in contemporanea anche della decorazione del Palazzo della Sapienza di Pisa che lo costrinse, fra arresti e riprese, ad una forzata operosità dal 1915 al 1920.
L’artista si traferì, dunque, a Bologna nella primavera del 1910 per approntare i primi cartoni, ma i lavori sulle impalcature iniziarono concretamente soltanto nel giugno del 1911. Solmi, che si occupò del ciclo in maniera esaustiva (cfr. Franco Solmi, Adolfo De Carolis: la sintesi immaginaria, Grafis, Bologna 1979) dedusse dalla documentazione fotografica coeva che già nel novembre 1912 De Carolis aveva realizzato tutta la parte di decorazione che guardava verso piazza del Nettuno: il Mondo Antico, l’Eridanus con le due figure decorative, le due vele dell’Aurora e de La Notte, i peducci Etruscus, Italicus ed Aemilius e le vele de La Terra, L’Aria, L’Acqua, Il Mondo Naturale e Il Mondo Umano. Nell’intervista rilasciata nel novembre del 1913 sulle pagine de “Il Resto del Carlino” De Carolis, infatti, dichiarò: “400 dei 1000 metri quadrati che mi si affidarono sono finiti. Spero di compiere presto il soffitto, la parte mistica e celestiale del mio lavoro. La rappresentazione del mondo antico, delle sue immagini, delle sue finzioni, dei suoi eroi è completa” (Ascanio Forti, Tra i miti e i simboli del Salone del Podestà, in “Il Resto del Carlino”, 29 novembre 1913).
A quella data, dalle fotografie dell’articolo erano visibili parte dell’affresco affresco della volta con Rhenus, i peducci Gallus, Irnerius e Petronius, e completate le vele L’Acqua e il Fuoco (cfr. Solmi 1979, pp. 40-41).
L’impresa subito dopo incontrò però diversi problemi tecnici dovuti alla scarsa qualità dell’intonaco delle pareti e del soffitto, ma anche a problemi economici dovuti agli scarsi finanziamenti causati dall’entrata in guerra dell’Italia. Il progetto si dilatò, perciò, fino alla morte del pittore, ma i numerosi disegni e bozzetti pittorici eseguiti permetteranno già nel 1929 la ripresa dei lavori per mano dei suoi allievi che lo avevano affiancato all’inizio dell’impresa. Una foto scattata proprio durante i lavori per il ciclo bolognese consente di identificare gli aiuti: Ferruccio Pasqui, Gino Barbieri (che morì, però, durante la guerra), Diego Pettinelli e Armando Spadini.
Il bozzetto in esame è riferito alla figura di sinistra che poggia sul timpano spezzato a semiarco e a volute, di tipo michelangiolesco, che incornicia la figura di Aemilius. Il personaggio prescelto segnava il passaggio, nelle intenzioni narrative dell’artista, dai progenitori etruschi alla Bononia romana.
Di questo riquadro esistono alcuni disegni a sanguigna dell’intera composizione (Collezione Cassa di Risparmio di Fermo, Fermo), ma nessuno relativo specificatamente alla figura del bozzetto. Non di rado infatti l’artista disegnava direttamente sulla tela come rivelano le indagini a riflettogrammi, fatti su alcuni bozzetti a olio a scopo conservativo, che rivelano linee sommarie dei nudi.
La stesura cromatica, basata esclusivamente di terra di Siena bruciata, bianco di zinco, vermiglione e pigmenti a base di cromo, è tipica delle opere relative a bologna e il ductus, in particolare quello del piede sinistro, rivela la tipica manualità dell’artista marchigiano e non quella di uno dei suoi allievi che pure lavorarono a molti di questi bozzetti. I modi di approssimazione di questo dipinto possono essere accostati infatti a quelli adoperati dall’artista nei bozzetti conservati nella Sala Adolfo De Carolis del Polo Museale di San Francesco di Montefiore dell’Aso certamente di mano autografa.
Per ciò che attiene la firma “A. De Carolis” apposta dal pittore nell’angolo in basso a destra occorre riportare che l’artista non era solito firmare i bozzetti, ma a fronte di una vendita, realizzata negli anni in cui l’artista era vivo, alcuni di queste opere divennero non più elementi di una serie, ma dipinti autonomi, pertanto fu congeniale assicurarne l’autografia.
Francesco Parisi
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