Il pittore Tommaso Minardi nacque a Faenza il 4 dicembre 1787 e ricevette la prima formazione artistica a partire dal 1800 presso la scuola di disegno di Giuseppe Zauli, al tempo l’artista più accreditato della città. Nel 1802 Minardi compì un viaggio a Bologna e a Firenze, dove si interessò della pittura a cavallo tra XV e XVI secolo, specialmente del Francia e di Andrea del Sarto. L’anno seguente la Compagnia di San Gregorio assegnò al pittore una pensione per il perfezionamento dei suoi studi a Roma, il quale, quindi, si trasferì in città alloggiando nella stanza-studio che Felice Giani gli lasciò presso Michael Köck. Dopo un breve apprendistato nello studio di Vincenzo Camuccini, il Nostro costituì insieme ai pittori Michele Sangiorgi, Agostino Comerio e Domenico Gallamini un’accademia privata dedicata allo studio del nudo, sciolta nel 1804. Nel 1805 Minardi inviò come saggio di pensionato un Autoritratto, imponendosi l’anno successivo al concorso di pittura indetto dall’Accademia di San Luca; mentre del 1807 è la Cena in Emmaus (olio su tela, Faenza, Pinacoteca Comunale), eseguito sempre per la Compagnia di San Gregorio, caratterizzato da un recupero del luminismo fiammingo nei suoi bagliori crepitanti. Al 1810 risale la vittoria del Concorso Curlandese indetto dall’Accademia Clementina di Bologna che garantì al pittore un pensionato triennale presso l’Accademia del Regno d’Italia in Palazzo Venezia, ma inviò il primo saggio – un Ritratto di Michelangelo – solo nel marzo 1812. Caratteristica di Minardi, che lo accompagnò per tutta la carriera, fu una disturbante irrisolutezza aggravata dalla schiacciante pressione che lo affliggeva nel lavoro, tanto da rifiutare numerose commissioni e da dilatare all’infinito i tempi di consegna. Nel 1808 il pittore rifiutò ad esempio la commissione ricevuta dal principe di Sermoneta per la realizzazione di un dipinto per la chiesa di Cisterna; la riproduzione del Giudizio Universale di Michelangelo richiestagli nel 1810 dall’incisore Giuseppe Longhi venne portata a termine solo nel 1826; e non consegnò mai il saggio per il terzo anno di pensionato. Per continuare l’elenco di queste occasioni mancate non può non citarsi il dipinto allogatogli dal conte di Castelbarco nel 1815, I filosofi della Divina Commedia, mai terminato; mentre nel 1817 declinò l’invito del conte Massimo che gli propose di affrescare una delle sale del Casino presso il Laterano, proponendo i nazareni al suo posto.

Nel 1818 il Nostro entrò a far parte degli accademici di merito della San Luca, venendo chiamato a dirigere l’anno seguente l’Accademia di Belle Arti di Perugia grazie all’interessamento di Canova. Nel 1821 Minardi lasciò l’incarico per tornare a Roma come professore di disegno presso l’Accademia di San Luca, carica che occupò fino al 1854.

Particolarmente importante e significativa fu la carriera del Minardi all’interno della tutela e conservazione del patrimonio artistico, iniziata a Perugia in relazione ai beni dislocati in territorio umbro: redasse ad esempio una relazione sugli affreschi di Raffaello nella cappella di San Severo e un inventario dei dipinti di Assisi, venendo nominato membro della Commissione Ausiliaria di Antichità e Belle Arti. Tornato a Roma il pittore si interessò della riforma dell’insegnamento dell’Accademia di San Luca e fu fra gli ispiratori della formazione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti. Nel 1834 Minardi pronunciò in Accademia il discorso Della qualità essenziale della pittura Italiana dal suo rinascimento fino all’epoca della perfezione, l’anno seguente venne accolto tra gli arcadi con il nome Driante Parraside, mentre al 1842 risale la firma del manifesto Del purismo delle arti, cui parteciparono anche Antonio Bianchini, Friedrich Overbeck e Pietro Tenerani.

Dopo l’Unità d’Italia l’artista continuò a ricoprire importanti incarichi ufficiali: nel 1858 fu nominato Ispettore delle Pubbliche Pitture e direttore dello Studio del Mosaico, curò l’Esposizione Universale di Londra del 1866 e due anni dopo ricevé da Vittorio Emanuele II la nomina a commendatore della Corona d’Italia.

Morì a Roma il 12 gennaio 1871.

Disegnatore prolifico e instancabile che predilesse appunto l’attività grafica come mezzo espressivo a lui più congeniale, e mostrando invece difficoltà nella pittura ad olio, è assai raro rintracciare dipinti all’interno della produzione del Minardi. Tra questi può citarsi la Deposizione (olio su tela, 1825 ca., Faenza, Galleria d’Arte Moderna), opera dal vibrante cromatismo e dai contrasti chiaroscurali esaltati in chiave sentimentale, tra le prime prove d’ascendenza nazarena esplicitamente condotta sull’esempio della pittura rinascimentale: la Maddalena è mutuata difatti dal Compianto su Cristo morto di Fra’ Bartolomeo conservato a Palazzo Pitti mentre il Cristo disteso è citato quasi letteralmente dalla Deposizione Borghese dell’Ortolano. Ma probabilmente il capolavoro del pittore è da rintracciarsi nell’Apparizione della Vergine a san Stanislao Kostka per Sant’Andrea al Quirinale (olio su tela, 1824, in situ), di straordinario sapore raffaellesco in un contesto narrativo celestiale ed etereo.

Preziosa testimonianza della declinazione classicista del romanticismo d’oltralpe che privilegia un’accentuazione dei valori sentimentali e psicologici della vicenda narrata è offerta anche dall’Omero cieco in casa del pastore Glauco (olio su tela, 1814, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), da alcuni individuato come il saggio per l’ultimo anno di pensionato presso l’Accademia del Regno d’Italia, in cui lumi dal sapore seicentesco accompagnano un’ambientazione spoglia, di gusto olandese.

Caposcuola di un’arte purista fondata sul recupero dei modelli cromatico-formali raffaelleschi e dedita prevalentemente alla rappresentazione di soggetti devozionali, il lessico del pittore fu in realtà assai eclettico e spaziò in numerosi generi, come è apprezzabile nel disegno che raffigura l’ Effetto di un temporale con caduta di un fulmine (matita, penna, inchiostro grigio e bruno acquarellati, su un foglio controfondato su un altro di carta avorio) transitato presso la nostra Galleria, meditato sugli esempi del paesaggio classico seicentesco.