Nato a Lione il 17 luglio del 1729, il pittore Laurent Pécheux dopo aver ricevuto una prima formazione classica presso il Collegio dei gesuiti, nel 1745 fu inviato a Parigi per proseguire i suoi studi, dove frequentò lo studio di Charles Natoire. Costretto a tornare a Lione dopo meno di un anno, l’artista continuò a coltivare la propria vocazione, disegnando sotto la supervisione e i consigli degli artisti della città, tra cui spicca Jean-Baptiste Pillement. Al 1751 risale l’incontro con il pittore Gabriel-François Doyen e lo scultore Augustin Pajous, vincitori del Prix de Rome del 1748 e quindi di passaggio per Lione alla volta di Roma, che lo convinsero dell’importanza del viaggio di formazione nella Città Eterna. Così, una volta convinto il padre, nel 1753 il pittore giunse a Roma, frequentando inizialmente da indipendente l’Accademia di Francia, per poi spostarsi alla scuola di Mengs e di Batoni, che lo indirizzano verso la copia della statuaria classica, come il Gladiatore Borghese. Fallito l’anno seguente il concorso dell’Accademia di San Luca, grazie alle qualità nella traduzione grafica delle sculture antiche il pittore poté essere segnalato nel 1755 da Mengs all’architetto inglese Robert Adam, che gli commissionò per un lord scozzese la realizzazione a sanguigna delle dodici più iconiche statue dell’antichità. L’avvio della carriera del pittore si svolse all’insegna di commissioni provenienti dalla città natale, per la maggior parte perdute, finché nel 1762 non ricevé l’incarico di realizzare dodici grandi tele con episodi della Vita di Cristo per la collegiata di Notre-Dame di Dole. Una di queste, la Crocifissione, venne talmente tanto ammirata da alcuni membri dell’Accademia di San Luca che decisero di ammetterlo come accademico di merito, iniziando in quello stesso anno ad insegnare presso l’Accademia del nudo in Campidoglio.

Grazie al tramite del pittore boemo, che lo raccomandò alla corte borbonica di stanza a Parma, nel 1765 Pécheux venne invitato dal ministro Du Tillot a trasferirsi in città per eseguire alcuni ritratti dei membri della corte. Dopo aver inviato un doppio ritratto del diplomatico Breteuil e del matematico Jaquiere per dar prova delle proprie capacità ritrattistiche, il Nostro partì alla volta di Parma dove si trattenne per circa un anno, realizzando ben dodici ritratti (tra cui quelli di Don Filippo e Maria Luisa conservati presso la Galleria Nazionale di Parma) e potendo studiare, a fondo e con interesse, l’opera del Lanfranco e del Correggio.

Il pittore francese fu coinvolto insieme ai più importanti pittori del tempo attivi sulla scena romana all’interno del cantiere di Santa Caterina da Siena in via Giulia, che si rivelò un crogiolo di sperimentazioni innovative, dove eseguì l’affresco della tribuna rappresentante Santa Caterina da Siena guida papa Gregorio XI nel suo ritorno da Avignone a Roma (1772 ca.), caratterizzato da un andamento narrativamente efficace ed equilibrato (il bozzetto, ad olio su tela, già collezione Lemme, è conservato presso il Museo del Barocco romano di Ariccia). Nel 1773 Pécheux fu nominato pittore regio da Charles Edward Stuart, in esilio a Roma, del quale aveva eseguito il ritratto tre anni prima.

Successivamente il Nostro prese parte anche alle decorazioni volute dal principe Marcantonio IV Borghese per il palazzo di città in vista del matrimonio con Anna Maria Salviati, nel quale a partire dal 1767 diede il via al rinnovamento degli appartamenti al piano nobile, dove Pécheux licenziò tra il 1774 e il 1775 il riquadro con Le nozze di Amore e Psiche, in cui emergono i prodomi di un più severo classicismo. Ancora più modernamente radicale si presenta la successiva opera eseguita dal pittore francese per i Borghese, ovvero il riquadro con Il concilio degli dei dipinto tra il 1777 e il 1783 per la Stanza del Gladiatore della villa pinciana, che può essere considerato tra le prime vere espressioni di un nuovo linguaggio neoclassico.

Chiamato da Vittorio Amedeo III come primo pittore del re di Sardegna, nel 1777 Pécheux si trasferì a Torino dove fu incaricato di dirigere anche l’Accademia

Tra le più importanti imprese eseguite per la corte sabauda vanno certamente citati gli affreschi eseguiti tra il 1778 e il 1784 sulla volta della biblioteca di Palazzo Reale, tra cui spicca il riquadro centrale rappresentante Minerva pone la Verità, scoperta dal Tempo, sotto la protezione degli dei, ispirato alla volta di Annibale Carracci in Palazzo Farnese. Al 1800 risale l’unico viaggio in Francia del pittore compiuto insieme al figlio Benedetto, dove visita il Louvre, incontra Jacques-Louis David e Pierre-Narcisse Guérin, per poi rientrare l’anno seguente a Torino dove venne nominato membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, istituzione per la quale pubblicò alcuni scritti teorici sull’arte.

Morì a Torino il 1° luglio 1821.

In ossequio alla temperie culturale e alle congiunture estetico-filosofiche in cui venne formandosi, Pécheux si occupò durante la propria carriera in modo privilegiato, per impegno e ampiezza della sua produzione, di pittura di storia a carattere mitologico. Ne rappresenta uno dei più alti esempi il dipinto rappresentante Ercole affida Deianira al centauro Nesso (olio su tela, 1762, Torino, Galleria Sabauda) commissionato da Jacques-Laure Le Tonnelier, ambasciatore dell’ordine di Malta a Roma, che mostra un chiaro ascendente bolognese, ispirato in particolare al Nesso e Deianira di Guido Reni, eseguito attraverso un rigore e una nettezza di segno mengsiani e la gamma cromatica ricca e festosa.

Nel genere del ritratto il pittore si espresse attraverso una vena esecutiva raffinata ed estremamente minuziosa nella resa dei dettagli, come può ammirarsi nel celebre Ritratto della marchesa Margherita Sparapani Gentili Boccapaduli (olio su tavola, 1777, Roma, Associazione “Amici dei Musei di Roma” Onlus), che si fa rappresentare con indosso un informale abito all’inglese in un ambiente improntato al gusto per l’antico e archeologizzante che convive con gli arredi contemporanei all’egizia, mentre gli strumenti scientifici e le collezioni naturalistiche alludono agli interessi della nobildonna.

In merito alla pittura sacra può citarsi il San Vincenzo Ferrer resuscita una donna destinato alla chiesa di San Liborio a Colorno (olio su tela, 1779, in situ), commissionatogli a Roma per conto di Ferdinando di Borbone ma compiuto a Torino, caratterizzato da una composizione teatrale e una gestualità enfatica ancora d’ascendenza barocca, sebbene stemperata da una sorta di catarsi classicista.