Il pittore Guglielmo Ciardi nacque a Venezia il 13 settembre 1842 e si iscrisse ventiduenne presso l’Accademia di Belle Arti dove frequentò i corsi di prospettiva di Federico Moja e le lezioni di paesaggio tenute da Domenico Bresolin, appena istituite. Fatta la conoscenza di Federico Zandomeneghi e Ippolito Caffi, l’artista si orientò verso la pittura di paesaggio, come dimostrano le prime opere realizzate sulla tradizione dei veneti del settecento, Il Grappa d’inverno (olio su tela, 1866, Venezia, Galleria d’Arte Moderna), Marina chioggiata e Dopo il temporale (entrambe ad olio su tela, 1867, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna). Nel 1868 il pittore compì numerosi viaggi di studio per ampliare il proprio bagaglio d’esperienze visive: dopo aver fatto tappa a Firenze, dove apprese la lezione sul colore dei macchiaioli, Ciardi si recò a Roma dove su suggerimento di Nino Costa prese a frequentare la campagna nei dintorni d’Ariccia – si veda Dintorni di Roma (olio su tela, 1868, Venezia, Ca’ Pesaro), e infine a Napoli, dove s’accostò alle novità veriste di Morelli e Filippo Palizzi.

Nel 1878 il pittore prese parte all’Esposizione Universale di Parigi in compagnia di Giacomo Favretto, nel 1883 espose 5 dipinti all’Esposizione Internazionale di Monaco.

Ciardi va ricordato anche come uno dei principali fautori della fondazione della Biennale di Venezia (1895), rassegna a cui partecipò in numerosissime occasioni. Dal 1894 poi tenne la cattedra di paesaggio all’Accademia di Belle Arti della città lagunare.

Morì a Venezia il 5 ottobre 1917.

Lo stile del Ciardi si sostanzia come una sintesi tra gli insegnamenti accademici e gli stimoli ricevuti duranti i soggiorni in Toscana e a Napoli, quando aveva avuto il pregio di entrare in contatto con le novità dei macchiaioli e della “Scuola di Resina”. Prodotto di tali riflessioni sono opere come Messidoro (olio su tela, 1883, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), premiato all’Esposizione Internazionale di Berlino del 1886, una veduta dal chiaro impianto compositivo e una luminosità diffusa in cui le ombre colorate, tipiche della scuola toscana, vengono accostate ad un’ampiezza di scorcio caratteristica di quella napoletana.