Tra i principali esponenti dell’Informale italiano, il pittore Giuseppe Capogrossi nasce a Roma il 7 marzo 1900 e compie gli studi universitari in Giurisprudenza prima di dedicarsi anima e corpo alla pittura, quando nel 1923 inizia a frequentare la Libera scuola di nudo di Felice Carena, che lo incoraggia a soggiornare nel paesino di Anticoli Corrado, al tempo luogo di ritrovo degli artisti della scuola romana. Nel 1927 Capogrossi ha la possibilità di esporre le proprie opere, caratterizzate da una figuratività che si richiama alla più aulica tradizione italiana, presso la Pensione Dinesen di Roma, insieme ai pittori Emanuele Cavalli e Francesco Di Cocco. Nello stesso anno il pittore inizia i suoi numerosi viaggi a Parigi, dove entra in contatto con le opere di Pablo Picasso, Amedeo Modigliani e Renoir, che hanno un grande impatto sulle scelte creative di questo periodo, riscontrabili in dipinti come Arlecchino (olio su tela, 1931). Si rinforza in questa fase della vita dell’artista il suo legame d’amicizia con Cavalli e con Cagli, sebbene con quest’ultimo si incrineranno i rapporti quando si rifiuterà di partecipare alla stesura del “Manifesto del Primordialismo Plastico”. I tre espongono nel dicembre del 1933 alla Galleria di Roma, replicando la mostra a febbraio presso la Galleria Il Milione, dove si proclamano “Gruppo dei nuovi pittori romani”.

Durante gli anni Trenta il pittore partecipa alle più importanti rassegne di arte italiana, dall’Exposition des peintres romanes del 1933 a Parigi, in cui viene favorevolmente recensito dal critico Waldemar George, alla Quadriennale di Roma del 1935, con opere come Ritratto del pittore Paladini (olio su tela, 1933) e Piena sul Tevere (olio su tela, 1934, Roma, collezione privata); ottenendo una sala personale alla successiva Quadriennale del 1939.

Nel 1940 Capogrossi inizia ad insegnare elementi di figura presso il Liceo Artistico di Roma, occupazione che lo impegnerà fino al 1966, quando ottiene la cattedra di decorazione all’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Nel 1942 il Nostro si aggiudica il Premio Bergamo con Ballerina (olio su tela, 1941), dipinto che indaga le forme opulente e sensuali del corpo femminile in posa, un tema che ritornerà più volte, come nella versione ad olio su compensato dei Musei di Nervi a Genova (1946), che evidenzia una prima trasformazione stilistica: i colori si fanno più accesi e la pennellata viva.

A partire dal 1950 il pittore indirizza le proprie ricerche verso le poetiche del segno e della materia, secondo lui l’unica alternativa al realismo e all’astrazione, esponendo l’anno successivo a Roma con Alberto Burri, Mario Ballocco e Ettore Colla all’unica mostra del Gruppo Origine, per il quale diventa essenziale esprimere l’emozione della vita nel mistero del suo svolgimento. Da questo momento in poi Capogrossi si dedica esclusivamente ad una pittura a carattere informale che lo renderà celebre su scala internazionale, divenendo un protagonista in seno alle principali rassegne europee: viene invitato alla XXV Biennale di Venezia, partecipa alla mostra Documenta II di Kassel, ottiene l’allestimento di personali a Londra e New York, è invitato alla II Biennale Internazionale di Tokyo, nel 1954 si aggiudica il Premio Einaudi e nel 1957 quello Bari.

Muore a Roma il 9 ottobre 1972. Due anni dopo la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dedica al pittore un’imponente retrospettiva.

Abbandonata la pittura figurativa alla metà del XX secolo, nella quale si era dedicato ad un’intensa sperimentazione tonale – si pensi a Le due chitarre (olio su tela, 1948, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) – Capogrossi si impegnò per liberare la ricerca artistica dalle molteplici sovrastrutture, intraprendendo una ricerca basata sulla ripetizione di elementari segni bidimensionali a forma di tridente e di forchetta organizzati secondo diverse soluzioni cromatiche e compositive. Come nel dipinto avente per titolo Superficie 154 (olio su tela, 1956, Milano, Collezione Banca Intesa) la superficie diventa un campo ideale nel quale le forme si intersecano creando una grande sensibilità ritmica.