Tra gli artisti che in maniera più incisiva hanno saputo innovare il linguaggio dell’arte plastica del secolo scorso, lo scultore Arturo Martini nasce a Treviso l’11 agosto 1889 e dopo aver abbandonato presto gli studi, lavora prima nella bottega di un orefice e poi come apprendista ceramista. Successivamente Martini si sposta a Monaco, dove nel 1909 è allievo di Hildebrand e si lega agli ambienti secessionisti, per poi completare la propria formazione e ampliare i propri orizzonti figurativi con il soggiorno a Parigi dal 1911 al 1913. Tornato in Italia lo scultore partecipa alla mostra di Ca’ Pesaro con opere come La prostituta (terracotta dipinta a freddo, 1913, Venezia, Fondazione Musei Civici Ca’ Pesaro) e Fanciulla piena d’amore (maiolica dorata) suscitando da parte di critica e pubblico una ricezione negativa. Nel 1916 lo scultore, chiamato alle armi, riuscì ad evitare il fronte, trasferendosi a Vado Ligure dove conobbe Brigida Pessaro, che sposerà nel 1920. In quello stesso anno Martini aderì al gruppo di artisti gravitante intorno alla rivista “Valori Plastici” e partecipò alla loro mostra itinerante in Germania. Di tre anni successivi è il primo impegno di carattere pubblico dello scultore, il Monumento ai caduti a Vado Ligure, dove su una base cilindrica pone le figure allegoriche in bronzo della Storia, Gloria, Sacrificio e Vittoria.

Il 1926 lo scultore venne finalmente ammesso ad esporre alla Biennale di Venezia dopo i ripetuti rifiuti, e parteciperà anche alla prima mostra di Novecento. Nel 1931 l’artista ricevé il primo premio per la scultura, consistente in duecentomila lire, alla I Quadriennale di Roma grazie a La sposa felice (bronzo, Milano, casa editrice Electa).

Del 1937 è l’altorilievo rappresentante La Giustizia Corporativa realizzato per l’atrio al primo piano del Palazzo di Giustizia di Milano, una sorta di allegoria della condizione umana, mentre tra il 1938 e il 1939 Martini lavorò al gruppo dei Duchi della Milano quattrocentesca collocato all’ingresso dell’Ospedale Maggiore Niguarda.

A partire dal 1942 lo scultore iniziò la breve parentesi didattica presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, ben presto divenuta occasionale a causa della mole di commissioni da attendere e definitivamente conclusasi nel 1944 con la pubblicazione di La scultura lingua morta, un libro dal sapore provocatorio, anche se di lì a breve l’artista abbandonerà l’attività plastica in favore di quella pittorica.

Morì a Milano il 22 marzo 1947.

Formatosi sull’esempio della plastica simbolista-secessionista, Martini approdò ben presto ad un lessico scarno e arcaizzante, accostabile alla produzione pittorica contemporanea di Carrà, magistralmente esemplificato dal Bevitore (terracotta, 1926, Milano, Pinacoteca di Brera), dall’impostazione solenne e il ritmo lento e cadenzato, come se si stesse assistendo ad un rituale, mentre la resa plastica è sintetica ed essenziale.

Nel grande gruppo raffigurante Il figliol prodigo (bronzo, 1926, Acqui Terme, Ricovero Ottolenghi), con il quale Martini nel 1931 vinse il premio per la scultura alla prima Quadriennale di Roma, è invece possibile riscontrare il recupero di modelli greco-romani che non disattendono la vitalità della materia, modellato attraverso gestualità più sciolte che conferiscono all’abbraccio tenero tra padre e figlio effetti intensamente emotivi.

Presso la nostra Galleria è transitata un’opera degli anni ’40 dello scultore, il Bozzetto per il monumento al partigiano Masaccio-Palinuro (bronzo, 1946), studio preparatorio per la colossale statua commissionatogli dalla Brigata Martini del Grappa da collocare nel Palazzo del Bo, che testimonia degli sforzi compiuti dal Nostro in un periodo di profonda crisi, caratterizzati da un operare nervoso e insoddisfatto.