Il pittore Antonio Donghi nacque a Roma il 16 marzo 1897, ottenendo nel 1916 il diploma presso il Regio Istituto di Belle Arti, prima di iniziare il servizio militare ed essere inviato in Francia durante la Prima Guerra Mondiale. Terminato il conflitto bellico il pittore svolse dei viaggi di studio a Firenze e Venezia, interessandosi soprattutto alla pittura dei secoli XVII e XVIII. L’esordio ufficiale del Donghi risale al 1922, quando espone il dipinto Via del Lavatore alla XV Esposizione della Società Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma. L’anno seguente è presente alla Seconda Biennale romana con un Nudo di donna, dove già palesa la condivisione dei valori formali professati nel circolo di artisti gravitante attorno alla rivista “Valori Plastici”. Fattosi notare da Ugo Ojetti, che lo chiamò a partecipare alla mostra organizzata presso la Galleria Pesaro di Milano – dove furono presenti anche artisti come De Chirico e Casorati -, per il pittore si aprì una stagione ricca di successi, nazionali quanto internazionali: nel 1926 espose dieci quadri alla Exhibition of Modern Italian Art, itinerante nei musei di New York, Boston, Washington, Chicago e San Francisco, mentre l’anno seguente ottiene una personale presso la The New Gallery di New York.

Donghi fu poi presente consecutivamente a quattro edizioni della Biennale di Venezia (1926, ’28, ’30 e ’32) e alla prima e seconda Quadriennale di Roma. Nel 1929 il pittore presenziò anche alla II Mostra del movimento “Novecento Italiano”, pur mostrandosi distante dalle componenti retoriche e magniloquenti del gruppo. A partire dal 1936 il pittore si dedicò all’attività didattica e alla pittura di paesaggio, in seguito alla nomina di professore di disegno figurato presso la Real Accademia e Liceo Artistico di Roma, a cui fece seguito nel 1939 l’affidamento da parte dell’Istituto Centrale del Restauro del settore tecniche pittoriche.

Morì a Roma il 16 luglio 1963.

Il lessico di Antonio Donghi, con il suo insistere sul realismo dei temi quotidiani capace di creare la suggestione del silenzio e quasi del sogno, è quello del “Realismo Magico”. Questo mondo quieto, verso il quale il pittore ha un approccio in bilico tra un distacco oggettivo e l’apprezzamento per l’intrinseca moralità degli oggetti più prosaici, è rappresentato dal dipinto Tavola apparecchiata (olio su tela, 1923, Roma, collezione privata), in cui la serena severità della donna è calata in un ambiente costruito attraverso una fotografica evidenza.

Presso la Galleria Carlo Virgilio è transitata l’opera Il canarino (olio su tela, 1938, collezione privata), un dipinto già collezione del marchese Gagliardi, esposto alla Galleria Jandolo nel 1938 e alla IV Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma  del 1943, delicato, nella sua gradazione di tonalità pastello, e malinconico pur nella sua dimensione incantata.