Tra gli artisti di maggior successo e caratura su scala internazionale a cui è stato riconosciuto il merito di aver contribuito a piantare i semi di un nuovo linguaggio figurativo destinato a plasmare il corso della storia dell’arte, il pittore Anton Raphael Mengs nacque il 1728 a Aussig, in Boemia, e ricevette una prima impronta nel campo delle arti dal padre Ismael, pittore attivo presso la corte di Dresda. Nel 1740 quest’ultimo condusse il Nostro a Roma insieme alle sorelle Teresa Concordia e Julie Charlotte, che diverranno stimate miniaturiste, facendogli prendere lezioni di nudo da Marco Benefial e spronandolo alla copia degli affreschi di Raffaello e Michelangelo in Vaticano. Tornato a Dresda nel 1744 Mengs venne nominato peintre du cabinet da parte di Federico Augusto II, Elettore di Sassonia e re di Polonia, dedicandosi prevalentemente alla realizzazione di raffinatissimi ritratti in pastello, prima di compiere un secondo soggiorno romano dal 1746 al 1749 finanziato dalla stessa corte di Dresda.

Al 1751 risale la nomina del pittore a premier peintre della corte di Dresda, ricevendo come prima commissione ufficiale la realizzazione di tre pale d’altare per la Katholische Hofkirche, che doveva assurgere quale simbolo della rinata fede cattolica in Sassonia. In vista dell’esecuzione dell’Ascensione, che doveva decorare l’altare maggiore, Mengs compì un viaggio a Venezia dove rimase fino al 1752, in quanto aveva stabilito che avrebbe preso a modello l’Assunzione di Tiziano conservata presso Santa Maria de’ Frari. Durante il terzo soggiorno nella CittĂ  Eterna, prolungatosi fino al 1761 a causa dei rivolgimenti causati dalla Guerra dei Sette Anni, il pittore riuscì in breve tempo a farsi apprezzare dai piĂą influenti circoli accademici e culturali della cittĂ , stimato prevalentemente per le indiscusse capacitĂ  nel genere del ritratto, che gli valsero numerose commissioni da parte di alti dignitari ecclesiastici e da colti viaggiatori impegnati nel Grand Tour, specialmente inglesi. Del 1758 sono ad esempio il Ritratto di John Viscount Garlies (olio su tela, Londra, Colnaghi) e il Ritratto di Thomas Conolly di Castletown (olio su tela, Dublino, Galleria Nazionale dell’Irlanda), mentre poco dopo è il neoeletto papa Clemente XIII Rezzonico a posare per il pittore boemo, nelle due versioni di Bologna e di Milano.

Fondamentale per l’evoluzione stilistica di Mengs – ma si potrebbe azzardare per il futuro della storia dell’arte tout court, considerando le implicazioni che ebbe – fu l’incontro a Roma con Johann Joachim Winckelmann, giunto nel 1755, che lo indirizzò verso l’ampliamento degli orizzonti figurativi attraverso un rapporto con l’Antico piĂą filologico, indagato con uno sguardo rinnovato. Grazie alle fruttuose chiacchierate con quello che diventerĂ  il bibliotecario del cardinale Alessandro Albani, il pittore fu in grado di elaborare in forma di trattato le proprie idee sull’arte, quei Pensieri sulla bellezza e sul gusto nella pittura (Zurigo, 1762) che gli varranno l’epiteto di “pittore-filosofo”.

Nel 1760 il Nostro eseguì l’affresco con La gloria di Sant’Eusebio sul soffitto della navata dell’omonima chiesa romana, dove è dispiegata tutta la sua riflessione sull’opera del Correggio, e dopo un viaggio a Napoli, l’anno seguente affrescò il soffitto di Villa Albani con il celebre Parnaso. In quello stesso anno il pittore boemo venne invitato a Madrid dal re Carlo III, per il quale decorò alcuni soffitti del Palazzo Reale, tra cui le scene con l’Apoteosi di Ercole e l’Apoteosi di Traiano, terminate nel 1776. Al 1767 risale la nomina ufficiale di Mengs a Primer Pintor de Camera, continuando a lavorare per la corona spagnola specialmente per l’esecuzione di ritratti e dipinti di soggetto religioso. Tornato in Italia nel 1770 per problemi di salute, nel 1771 l’artista venne nominato Principe dell’Accademia di San Luca, attendendo l’anno successivo alla decorazione della Stanza dei Papiri in Vaticano dove dipinse Allegoria del Museo Clementino, una chiara iconografia encomiastica dell’azione di papa Pio VI. Dopo aver viaggiato nuovamente a Napoli (1772-1773) e a Firenze (1773-1774), l’artista fece ritorno a Madrid, dove iniziò la decorazione del soffitto del teatro di Palazzo Reale a Aranjuez con l’affresco raffigurante La Bellezza rapita dal Tempo. Grazie a uno speciale permesso concessogli da Carlo III nel 1777 il pittore potĂ© tornare di nuovo a Roma, ma i suoi problemi di salute, probabilmente causati dalla preparazione dei pigmenti, si aggravarono, cosicchĂ© non riuscì a portare a termine la pala d’altare iniziata per San Pietro.

Morì nella Città Eterna, che di fatto aveva eletto come seconda patria, il 29 giugno 1779.

Considerato per lungo tempo il manifesto della nuova temperie Neoclassica, il Parnaso che Mengs affrescò sul soffitto di Villa Albani nel 1761 in stretto dialogo con l’amico Winckelmann è in realtĂ  da inserirsi piuttosto alla fine di un percorso stilistico che vide il boemo impegnato nello sforzo di stemperare leziositĂ  tardobarocche, a conti fatti però mai completamente superate. Rimanendo pur confermata l’importanza dell’opera quale chiave di volta per una riforma del gusto – teorizzata e auspicata piĂą che compiuta – qui Mengs approdò ai vertici della propria ricerca formale improntata sul recupero dell’opera del Correggio e di moduli espressivi del classicismo bolognese secentesco, ma non riuscendo tuttavia a scrollarsi di dosso quel retaggio fatto di gestualitĂ  teatrali e tonalitĂ  cromatiche seducenti.

Come imposto dal gusto del tempo e dalla straordinaria fortuna che godevano presso i facoltosi viaggiatori stranieri, specialmente inglesi, i dipinti che narrano episodi mitologici rappresentano uno dei nuclei piĂą cospicui all’interno del corpus del pittore. Il Perseo che libera Andromeda (olio su tela, 1778, San Pietroburgo, Hermitage) piĂą del Parnaso incarna quei valori seminali che preannunciano la radicale stagione neoclassica, come per altro non sfuggì all’ambasciatore spagnolo a Roma JosĂ© NicolĂ s de Azara quando ne sottolineò il carattere eroico dei Greci. Commissionato a Mengs per il tramite di James Byres da Sir Watkin Williams Wynn nel 1768, quando era impegnato nel suo Grand Tour, il dipinto, che nelle intenzioni del giovane rampollo doveva affiancarsi al Bacco e Arianna di Pompeo Batoni per porre a confronto i due artisti egemoni della pittura europea, è costruito attraverso colte citazioni dall’Antico, a partire dall’Apollo del Belvedere – da Winckelmann considerato la massima espressione di nobile bellezza – e da un bassorilievo con lo stesso soggetto conservato presso i Musei Capitolini, che sfocia in un esasperato controllo formale.

Di straordinaria eleganza e immediatezza è il Ritratto di giovane nobildonna (olio su tela, 1760-1770) transitato presso la nostra Galleria, in cui l’effigiata, col suo fascino magnetico e la carnagione porcellanata, sembra essere stata immortalata in un attimo di intimo colloquio con il pittore.