Il pittore Mario Sironi nacque a Sassari il 12 maggio 1885 ma compì la propria formazione a Roma, dove la famiglia si era trasferita l’anno seguente. Terminati gli studi tecnici, nel 1902 l’artista si iscrisse alla facoltà di ingegneria, presto abbandonata a causa di una crisi depressiva e dell’emergere dei primi disagi esistenziali. Su suggerimento dello scultore Ximenes, Sironi decise di dedicarsi alla pittura ed iniziò a frequentare i corsi della Libera Scuola del Nudo in via Ripetta e lo studio di Giacomo Balla, dove conobbe Umberto Boccioni. Nel 1905 il pittore prese ad eseguire illustrazioni per L’Avanti della domenica ed espose per la prima volta alcune opere alla mostra della Società Amatori e Cultori di Belle Arti (Senza luce e Paesaggio), caratterizzate da una pennellata filamentosa ma in cui già emergono tendenze architettoniche. Nel 1906 Sironi è a Parigi e poi in Germania, accompagnato da frequenti crisi depressive che lo portano ad isolarsi e a dedicarsi febbrilmente al disegno. Affascinato dalla pittura di Boccioni l’artista nel 1913 si accostò al Futurismo, pur mantenendo la propria inclinazione verso una ricerca volumetrica, e l’anno seguente presenziò alla “Libera Esposizione Futurista” organizzata a Roma.

Allo scoppio della guerra il Nostro si arruolò nel Battaglione Volontari Ciclisti, nel 1916 firmò il manifesto “Orgoglio italiano”, mentre nel 1919 espose numerose opere, incentrate sul tema della guerra, in occasione della Grande Esposizione Nazionale Futurista di Milano.

Nel 1922 il pittore entrò a far parte del gruppo Novecento riunitosi alla Galleria Pesaro di Milano per volontĂ  della critica d’arte Margherita Sarfatti, che l’anno successivo organizzò presso la medesima galleria la prima mostra. Nel 1924 Sironi, insieme agli altri membri del gruppo, espose alla Biennale di Venezia riscuotendo un notevole successo, presentando tra le altre opere L’allieva (olio su tela, 1923, Milano, collezione privata) – successo ripetuto nel 1926 in occasione della Prima mostra del Novecento italiano organizzata dalla Sarfatti presso il palazzo della Permanente di Milano.

Nel 1933 il pittore redasse il Manifesto della pittura murale dove sottolinea il valore morale del ruolo dell’artista. In quello stesso anno Sironi curò una sezione della Triennale di Milano – per la quale realizzò il grande dipinto murale Il lavoro – dove  promuove la sintesi tra pittura, scultura e architettura, invitando tra gli altri Arturo Martini, Fontana, CarrĂ  e de Chirico. Tra le altre grandi imprese decorative degli anni Trenta da menzionare sono il mosaico raffigurante La Giustizia nel Palazzo di Giustizia di Milano (1936-1938) e la grande vetrata con La carta del lavoro per il Ministero delle Corporazioni a Roma.

Rimasto fedele al Fascismo sino agli ultimi tragici momenti, a seguito della sua fine il Nostro si chiuse in un drammatico isolamento, dove il sentimento del tragico venne acuito dal suicidio della figlia Rossana avvenuto nel 1948.

Nominato accademico di San Luca nel 1956, il pittore morì a Milano il 13 agosto 1961.

Dopo aver aderito in giovane età al Futurismo ed essersi accostato alla Metafisica, Sironi divenne uno dei fondatori del gruppo Novecento imponendosi come uno dei suoi membri più coerenti ed autorevoli. Dopo una iniziale fase caratterizzata da una pennellata filamentosa d’ascendenza divisionista (si veda la famosa Madre che cuce del 1905), intorno al 1920 la sua pittura approdò ad un lessico sintetico ed essenziale con cui si addentrò nel tema delle periferie urbane immerse in atmosfere cupe, come testimonia Paesaggio urbano con camion (olio su tela, 1920, Milano, Pinacoteca di Brera), in cui l’assenza della figura umana suggerisce l’allusione alla desolante condizione esistenziale.

Nell’ultimo periodo della propria attività il pittore si dedicò a sperimentazioni volte ad una geometrica astrazione, in cui forme e colori dialogano in un rispecchiamento tra passato e presenta, esemplificato in dipinti come Composizione (olio su tela, 1956, Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art).