Il pittore Michele Sangiorgi nacque a Faenza nel 1785 e si formò presso la scuola di disegno di Giuseppe Zauli. Nel 1805 l’artista ottenne dalla Congregazione di Carità un sussidio della durata di cinque anni per svolgere il perfezionamento a Roma, che si consumò dunque dal 1806 al 1811 con l’obbligo di presentare annualmente un saggio dei suoi progressi. Nell’Urbe il Sangiorgi si legò al conterraneo Tommaso Minardi, che ci tramanda il ricordo, probabilmente inficiato da ideologie moraliste, di una vita dissoluta accompagnata da un carattere difficile. A Roma comunque il pittore poté aggiornarsi sulle novità della pittura romana frequentando lo studio di Vincenzo Camuccini, su cui innestò influenze nazarene e l’eredità del classicismo visionario degli artisti nordici. Nel 1813 il Sangiorgi si aggiudicò il pensionato triennale dell’Accademia Clementina di Bologna, sebbene il rapporto tra l’istituzione e l’artista fu costellato di problemi e lamentele reciproche causate dallo scarso impegno e dai reiterati ritardi di quest’ultimo. I giudizi sui saggi inviati dal pittore come prove del primo anno furono difatti negativi, tanto da comportare la sospensione della pensione, finché la situazione non venne accomodata in ultimo da Pelagio Palagi. Nel 1821 Francesco Rosaspina riuscì ad ottenere dall’Accademia un sussidio straordinario per il Nostro, che versava in condizioni di assoluta miseria, affinché avesse le risorse per portare a compimento il suo ultimo saggio, il dipinto raffigurante il Sogno di Giacobbe (olio su tela, Bologna, Pinacoteca Nazionale), rimasto purtroppo incompiuto per la prematura scomparsa del pittore.

Morì a Roma nel luglio del 1822.

La dipartita del pittore, occorsa all’età di soli 37 anni, ha portato ad un consequenziale numero assai esiguo di dipinti all’interno del suo catalogo, di cui può citarsi il San Pietro (olio su tela, 1817, Bologna, Pinacoteca Nazionale) che testimonia delle superbe doti del Sangiorgi, capace di misurarsi tra i due poli di una nobiltà camucciniana e di una sintesi fisiognomica memore delle incisioni di Asmus Jakob Carstens.

Assai più cospicua e di elevata qualità la produzione grafica del pittore, per la maggior parte accostabile alle tendenze stilistiche minardiane, come può apprezzarsi nel foglio raffigurante Telemaco tra i pastori (matita, carboncino e biacca su carta, Faenza, Pinacoteca Comunale), in cui l’ambientazione idilliaca e il descrittivismo analitico del disegno, di prezioso virtuosismo accademico, rimandano alla lezione del più famoso concittadino.