Lo scultore Vincenzo Pacetti nacque a Roma il 3 aprile 1746 dall’incisore Andrea, formandosi tra la bottega del padre e l’Accademia del Nudo in Campidoglio, che frequentò dal 1762 al 1770 sotto la guida di Tommaso Righi, Andrea Bergondi, Paolo Pacilli e Francisco Preciado. Il giovane scultore si fece presto apprezzare in seno ai concorsi accademici, vincendo nel 1762 il primo premio nella terza classe di scultura del Concorso Clementino con un modello in creta della statua del San Giovanni Evangelista di Camillo Rusconi nell’omonima basilica. Al Concorso Clementino del 1766 si aggiudicò il terzo premio nella prima classe di scultura con un rilievo avente per soggetto Il faraone riceve Giacobbe e Giuseppe (terracotta, Roma, Accademia Nazionale di San Luca), mentre a quello svoltosi due anni dopo arrivò secondo dietro Joseph Nollekens, riuscendo finalmente ad aggiudicarsi il primo premio nel Concorso Balestra del 1773 sul tema di Achille si innamora di Pentasilea ferita a morte. Durante questo periodo formativo lo scultore lavorò come restauratore di marmi antichi sotto la supervisione di Pacilli e Cavaceppi, ottenendo la prima commissione ufficiale nel 1774 con il Monumento funebre del Gran Maestro Emanuele Pinto de Fonseca (marmo bianco, rosa e verde, in situ) per la Cattedrale della Valletta a Malta, realizzato su disegno di Laurent Pécheux.

Al 1778 risale la commissione allo scultore della scultura rappresentante Santa Margherita (marmo, in situ) per una nicchia della navata destra del santuario di Santa Margherita a Cortona, portata a compimento nel 1781, che riprende moduli plastici accostabili a quelli di Filippo Della Valle. L’anno seguente lo scultore inizia a lavorare al Busto di Marco Benefial destinato alla serie del Pantheon (marmo, Roma, Protomoteca Capitolina), terminato nel 1783; mentre nel 1785 attese alla realizzazione del Sepolcro di Anton Raphael Mengs per la chiesa dei Santi Michele e Magno a Roma,

Dal 1779 al 1791 Pacetti fu impegnato nel cantiere più importante, prestigioso e all’avanguardia della Roma di fine secolo, quello di Villa Borghese diretto da Antonio Asprucci, dove licenziò opere decorative legate prevalentemente alla plastica scultorea.

Lo studio dello scultore divenne nella Roma a cavallo tra XVIII e XIX secolo luogo obbligato di transito per artisti, committenti e collezionisti quale emporio di sculture di tutte le epoche, legato non solo alla sua attività di restauratore, ma anche di mercante e collezionista. Direttamente da Benefial acquistò difatti numerosi disegni di sua mano, mentre in merito alla sua fortunata carriera nel campo del restauro possono citarsi quelli del Sileno e del Cestiario della collezione Boccapaduli, oltre ai numerosi pezzi poi confluiti nei Musei Capitolini e nel Museo Pio-Clementino

Divenuto membro dell’Accademia di San Luca nel 1779, Pacetti ne fu eletto Principe nel 1796, prodigandosi per il miglioramento della didattica soprattutto in relazione con la Scuola del nudo in Campidoglio, conquistandosi una posizione di prestigio non esente da stigmatizzabili ingerenze, come dimostrano i fatti che riguardano il Concorso Balestra del 1801, in cui i suoi “maneggi” per favorire il figlio Giuseppe vennero denunciati dallo stesso Canova.

Nel 1810 lo scultore, in qualità di camerlengo dell’istituzione romana, venne incaricato da De Gérando di organizzare la festa di San Napoleone del 16 agosto provvedendo alla realizzazione del teatro effimero in Campidoglio.

Morì a Roma il 28 luglio 1820.

Abile nel coniugare il linguaggio figurativo tardobarocco sul quale si era formato con le nuove istanze volte ad un più radicale classicismo, lo stile di Pacetti si sviluppò mantenendo intatta una certa attitudine alla grazia, che permette di accostarlo alla poetica di Mengs più che a quella di Canova. Questo impegno dello scultore all’adeguamento stilistico verso un gusto aggiornato che anela alla semplicità e alla naturalezza è particolarmente apprezzabile nei lavori borghesiani, come nella colossale Ninfa Imera (marmo, 1787-1790) eseguita per il Tempio di Esculapio nel parco di Villa Borghese, in cui le sollecitazioni dell’antico e il nobile contorno si innestano su un tessuto d’ascendenza barocca.

Attraverso la sua attività di restauratore può leggersi in filigrana l’estetica e il rapporto pratico con l’antico che indirizzò tutta un’epoca, fondata sulla volontà di rendere leggibili i marmi antichi anche sotto il profilo della completezza, nella duplice accezione economica e di fruizione, come canone esemplare. È il caso ad esempio del Fauno Barberini che fece parte della sua collezione e ora a Monaco, restaurato nel 1799 con parti in marmo provenienti da altri reperti per colmarne le lacune, ma gli interventi mascherati, in accordo ad una prassi comune, ne facevano rasentare la falsificazione.