Il pittore Cesare Mussini nacque a Berlino il 9 giugno 1804 da Natale, compositore e maestro di cappella presso la corte di Prussia, che lo indirizzò inizialmente allo studio del violino. Con il trasferimento della famiglia a Firenze nel 1818 il Nostro frequentò a partire dal 1820 i corsi dell’Accademia di Belle Arti della città sotto la guida di Pietro Benvenuti, ottenendo da subito dei riconoscimenti per le sue capacità nell’acquerello e nel disegno.

Nel 1828 il pittore vinse il concorso per il pensionato romano con il dipinto rappresentante Leonardo da Vinci morente e nel 1830 inviò come saggio di studio l’opera avente per soggetto La morte di Atala (olio su tela, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti), presentata pubblicamente a Roma prima di essere esposta all’Accademia di Belle Arti di Firenze.

Tornato a Firenze nel 1832 Mussini iniziò ad eseguire ritratti per un’altolocata clientela internazionale, affrescando due anni dopo, divenuto professore accademico, la casa di Raffaello Finzi Morelli in Piazza Santa Maria Novella, che gli acquistò anche la grande tela con La congiura dei Pazzi. Con la morte del padre avvenuta nel 1837 il pittore si recò a Berlino per ottenere dal re di Prussia Federico Guglielmo III il trasferimento del vitalizio in favore della madre, sostando durante il tragitto sei mesi a Milano, dove conobbe e strinse amicizia con il marchese Ala Ponzoni, che gli commissionò il dipinto rappresentante Raffaello e la Fornarina (olio su tela, 1837, Milano, Pinacoteca di Brera), esposto nel 1861 alla prima Esposizione Nazionale Italiana. Sul finire del quarto decennio del secolo Mussini ideò una nuova formula per la preparazione dei colori con resine naturali, senza olio e senza cera, che garantiva una maggiore intensità e durata nel tempo; formula che a seguito del vasto successo ottenuto fu poi venduta per la produzione industriale e ancora oggi vengono prodotti i tubetti “Mussini”.

Al 1842 risale la commissione da parte del marchese Ala Ponzoni de La Bella Ferroniéere esce dal bagno mentre Francesco I di Francia medita l’invasione dell’Italia (olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera), esposta l’anno seguente alla rassegna braidense riscuotendo un notevole successo, anche se Selvatico ne stigmatizzò il carattere d’immoralità.

Nel 1844 l’artista si recò a San Pietroburgo al servizio dello zar Nicola I, che gli commissionò sei grandi tele di soggetto religioso da collocarsi nella cattedrale di San Isacco al tempo in costruzione, portate a compimento a Firenze ed installate da Mussini stesso nel 1849, che si trattenne in Russia per un altro anno.

Nel 1850 il pittore venne ammesso tra gli accademici d’onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma, donando all’istituzione nel 1852 il dipinto con Caino medita sul fratricidio (olio su tela, 1829, Parma, Galleria Nazionale), opera giovanile eseguita a Roma in cui gli stilemi classicisti vengono stemperati dalla potenza espressiva e dalla drammatizzazione chiaroscurale.

Con il trasferimento nel 1864 della capitale d’Italia a Firenze il pittore dovette accettare con amarezza lo sfratto dal proprio studio, che era stato designato come sede del Ministero della Guerra, con la conseguenza che smise di dipingere per tre anni.

Morì a Braga, nei pressi di Lucca, il 24 maggio 1879, poco dopo aver compiuto la propria autobiografia: La vita di Cesare Mussini pittore di storia. 

Indirizzatosi verso modalità espressive che partendo dai dettami accademici andarono a fondersi le istanze verso una pittura dai forti accenti emotivi portate avanti dal movimento romantico, Mussini si interessò prevalentemente di tematiche storico-letterarie, che a Firenze riscuotevano un successo senza pari, apprezzate da collezionisti e critica. Tra gli esempi di più alto pregio all’interno della carriera del pittore va sicuramente ricordato il dipinto raffigurante La morte di Atala (olio su tela, 1835, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), tratto dal romanzo di Chateaubriand pubblicato nel 1801 e caratterizzato da tonalità scure ed effetti luministici che esaltano in chiave drammatica il pathos sentimentale del racconto, accentuandone il senso di “teatralità”.

Particolarmente sentiti dal Mussini come funzionali a suscitare nell’osservatore forti reazioni emotive erano difatti gli episodi, preferibilmente ambientati in epoche remote, di amori infelici e tragici, che permettevano di mettere in scena passioni travolgenti e sentimenti nobili. È il caso dell’opera rappresentante L’amore di Imelda dei Lambertazzi e Bonifacio dei Geremei (olio su tela, 1844, Como, Musei Civici) in cui, attraverso un lessico fortemente influenzato dal purismo di matrice ingresiana, il contrasto morale tra l’empietà degli aguzzini e la purezza dell’amore dei due giovani è inserito in un’ambientazione ricca e precisa nella ricostruzione storica.