Il pittore Francesco Menzio nacque in località Tempio Pausania, in provincia di Sassari, il 3 aprile 1899, e trascorse l’infanzia seguendo il padre nei numerosi spostamenti a cui era costretto per il lavoro, trasferendosi a L’Aquila nel 1902, dove morì la madre, e poi nel 1912 a Torino. Qui il giovane frequentò per un anno l’Accademia Albertina, per poi completare la propria formazione da autodidatta, accostandosi all’atelier di Felice Casorati, di cui tuttavia non divenne mai un allievo di stretta osservanza. Il debutto dell’artista risale al 1921, quando Menzio espose alcuni suoi dipinti in occasione della mostra presso la Mole Antonelliana, organizzata in dissidio con la Promotrice, per poi esporre alla Quadriennale di Torino del 1923, alla II Biennale romana, con il gruppo Novecento alla Galleria Pesaro di Milano nel 1924 e partecipare per la prima volta alla Biennale di Venezia due anni dopo.
Dopo il soggiorno parigino che lo aggiornò sulle novità dei Fauves e degli Impressionisti, di Matisse e Cézanne in particolare, nel 1928 il pittore fece ritorno a Torino dando vita al cosiddetto “Gruppo dei Sei”, di cui facevano parte Enrico Paulucci, Gigi Chessa, Carlo Levi, Nicola Galante e Jessie Boswell, con i quali espose l’anno seguente alla sala d’arte Guglielmi. Prima dello scioglimento del consesso agli inizi degli anni ’30, il gruppo di artisti organizzò ulteriori mostre, come quelle al Circolo della Stampa di Genova e alla Galleria Bardi di Milano. Il pittore continuò ad esporre anche negli anni successivi insieme ad alcuni dei vecchi sodali, come in occasione della mostra tenutasi nel 1931 presso la Galerie Jeune Europe di Parigi.
Dal 1934 al 1935 il pittore fu impegnato nella realizzazione degli affreschi per l’ospedale psichiatrico di Collegno e per l’annessa chiesa, per poi allestire la sala dedicata all’amico Chessa, scomparso l’anno precedente, in occasione della Biennale di Venezia del 1936.
Morì a Torino il 28 novembre 1979.
L’arte di Menzio è improntata ad una malinconia elegiaca che lo portò ad innestare sulla tradizione dell’Ottocento piemontese, improntata ad un romanticismo evocativo, l’utilizzo libero del colore mutuato dai Fauves, apprezzabile in dipinti come Nello studio (olio su tela, Forlì. Collezione Verzocchi), dall’incisiva e irrequieta linea di contorno, i colori vivi e corposi, in un’atmosfera quasi irreale in cui la luce appiattisce i volumi.
Apprezzato ritrattista, in questo genere Menzio si attestò su un linguaggio assai affine a quello del maestro Casorati, come nel caso del Ritratto di Adriana Quaranta Lazzerini (olio su tela, 1939-1941, Vercelli, Museo Borgogna) connotato da delicate tonalità pastello e campiture uniformi di colore.