Nato in Val Bregaglia, nella Svizzera di lingua italiana, il 10 ottobre 1901, il pittore e scultore Alberto Giacometti, figlio del postimpressionista Giovanni, trascorre l’infanzia nella cittadina di Stampa. A partire dal 1919 l’artista frequenta i corsi di pittura all’Ecole des Beaux-Arts di Ginevra e quelli di scultura e disegno all’Ecole des Arts et Métiers della stessa città. L’anno seguente lo scultore si reca in Italia per visitare la Biennale di Venezia, rimanendo particolarmente colpito dalle opere di Paul Cézanne e Alexander Archipenko, si interessa all’arte primitiva e studia i capolavori di Giotto e Tintoretto. Nel 1922 Giacometti si trasferisce a Parigi, dove frequenta, sebbene non con assiduità, i corsi dell’Académie de la Grande Chaumiére tenuti dallo scultore Antoine Bourdelle.

Dopo aver aperto uno studio insieme al fratello Diego nel 1927, nel ’29 l’artista espone al Salon des Tuileries a Parigi. Durante questo periodo il Nostro matura una coscienza artistica fortemente influenzata dall’opera di Max Ernst e Joan Mirò, che si traduce in un linguaggio surrealista composto da oniriche visioni, come riscontrabile in La boule suspendue (gesso e metallo, 1931, versione del 1965 alla Fondazione Giacometti di Parigi), replicata dallo scultore a più riprese durante la propria carriera. Al 1932 risale l’importante mostra tenutasi presso la Galerie Pierre Colle di Parigi dove espone opere come Donna con la gola tagliata (bronzo, New York, MoMA), abbandonando tuttavia il Surrealismo già nel 1935 per dedicarsi ad una solitaria e tormentata ricerca estetica e figurativa. Con l’occupazione della Francia da parte dei nazisti lo scultore si rifugia a Ginevra, iniziando a maturare quelle idee esistenzialiste, vicine al pensiero di Sartre, che lo renderanno iconico e apprezzatissimo negli anni successivi. Nella città Svizzera il Nostro conosce anche Annette Arm, sua futura moglie, e collabora alla rivista “Labyrinthe” dell’editore Albert Skira. Nel 1945 Giacometti fa ritorno a Parigi e pone le basi per quell’attività plastica personalissima, la più celebre in riferimento alla sua carriera, che al meglio incarnano la crisi dell’essere e la disperazione solitaria dell’esistenzialismo sartriano, ovvero le sculture in bronzo filiformi dalla finitura irregolare, cariche di ambiguità.

La definitiva consacrazione su scala internazionale dello scultore avviene con la personale dedicatagli nel 1948 da Pierre Matisse nella sua galleria di New York, a cui fece seguito il successo ottenuto alla Biennale di Venezia del 1962, dove gli viene assegnato il premio per la scultura.

Muore a Coira l’11 gennaio 1966.

Fortemente influenzato durante i primi anni della propria ricerca espressiva dal Cubismo, dall’arte primitiva e da Brancusi, Giacometti approdò durante gli anni della guerra ad un lessico nel quale si rispecchia il generale clima di pessimismo e disperazione. Le sue riflessioni plastiche e pittoriche oggettivizzano difatti il contemporaneo pensiero esistenzialista e la solitudine dell’individuo, come è apprezzabile nel dipinto raffigurante Annette (olio su tela, 1951, Basilea, Kunsthaus), in cui le linee tracciano masse ingarbugliate che restituiscono l’insensatezza dell’esistenza.

Nel celebre Uomo che cammina II (bronzo, 1960, Basilea, Kunsthaus) lo scultore si richiama invece alla tradizione di Auguste Rodin, sebbene qui la materia si faccia più scabra per enfatizzarne la drammaticità, emblema della condizione umana, in una “meditazione continua tra il nulla e l’essere” come scrisse l’amico Sartre.