Nato a Torino il 18 aprile 1826, il pittore Andrea Gastaldi si formò principalmente da autodidatta, sebbene sotto la supervisione dello zio materno Giovanni Volpato, celebre incisore per anni al vertice della scena romana di stampo neoclassico. Successivamente l’artista si iscrisse all’Accademia Albertina dove seguì i corsi di Giovanni Battista Biscarra e Pelagio Palagi, improntandosi dunque verso una misura classica che prendeva ispirazione dalla pittura italiana del Cinque e Seicento. Tale indirizzo stilistico può riscontrarsi fin dalle prime opere del Gastaldi, come L’addio tra Gesù e Maria (olio su tela, collezione privata) con cui partecipò per la prima volta alla Promotrice di Torino del 1847. Altre opere della gioventù, come L’Italia viene liberata dall’Austriaco per comando di Dio (1848) e quelle presentate nel 1850 alla V Esposizione di Arte e Industria, il Sacrificio di Isacco, il Cadere del sole e Un re in catene, sono ad oggi dispersi.

Tra il 1850 e il 1851 l’artista si spostò tra Firenze e Roma per completare la propria formazione artistica, studiando in presa diretta gli esempi più nobili della tradizione pittorica italiana, con occhio privilegiato verso i Primitivi, e la statuaria classica.

Al 1852 risale la prima commissione ufficiale ricevuta dal pittore, l’affresco rappresentante I prigionieri piemontesi di Gundebaldo re di Borgogna liberati dai santi Epifanio e Vittore da eseguire sulla lunetta del portale maggiore della chiesa di San Massimo. Nello stesso anno Gastaldi, affrontando per la prima volta il genere storico, presentò alla Promotrice di Torino i dipinti rappresentanti Il sogno di Parisina, tratto da Byron, e Il primo moto del Vespro siciliano (olio su tela, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), ispirato alla lezione dell’Hayez. Dopo aver esposto l’anno seguente alla Promotrice l’opera che raffigura La perdita del primo amore (olio su tela, 1853, Torino, Palazzo Reale), acquistato da Vittorio Amedeo II, Gastaldi si trasferì a Parigi, dove rimase fino al 1860, che lo portò ad avvicinarsi alla pittura storica contemporanea di Cabanel e Couture.

Nel 1864 il pittore, su commissione del governo appena istituito, attese alla realizzazione di un dipinto che rappresentasse un episodio legato alle vicende della dinastia sabauda, scegliendo La sete dei Tortonesi (olio su tela, Comune di Tortona), in cui mostra la propria maestria nell’impaginare un tumulto vorticoso, agitato da un numero impressionante di figure che però vengono scalate in diversi piani spaziali. L’opera venne presentata all’Esposizione Universale di Parigi del 1867 e alla Promotrice torinese del 1868.

Gli anni ’70 si inaugurarono con la medaglia d’argento alla prima Esposizione di Parma grazie al dipinto avente per soggetto Un dramma dell’epoca preistorica (olio su tela, 1869, Torino, Galleria d’Arte Moderna), tema assai inconsueto da ricondurre alle ricerche geologiche del fratello Bartolomeo, mentre del 1872 è la Saffo (olio su tela, Torino, Galleria d’Arte Moderna), che mostra un precoce interessamento del pittore verso l’arte simbolista.

Tra le ultime fatiche del Gastaldi possono ricordarsi la pala d’altare per la chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Torino con La caduta di Simon Mago (olio su tela, 1877, Torino, Galleria d’Arte Moderna) e l’Emanuele Filiberto infante, presentato all’Esposizione Generale di Torino del 1884, di cui fu anche il presidente della commissione d’accettazione.

Morì a Torino il 9 gennaio 1889

Tra i filoni prediletti dal Gastaldi figurano i temi storici legati all’epica risorgimentale e quelli letterari cari al romanticismo, ispirati prevalentemente alle opere di Byron e Chateaubriand, facendosi artefice di un preciso indirizzo culturale promosso dai Savoia. Già nel giovanile dipinto presentato alla Società Promotrice di Belle Arti di Torino del 1848 avente per soggetto L’Italia viene liberata dall’Austriaco per comando di Dio (olio su tela, 1848, perduto, uno studio altamente definito è conservato in una collezione privata di Torino), seppur ancora condotto attraverso una perizia del modellato e una solidità monumentale delle forme d’ascendenza neoclassica, possono leggersi i prodromi di quell’inclinazione al pathos veicolante edificanti contenuti morali, fortemente partecipati nel profondo dell’animo dall’artista. Scrisse infatti nel 1851 in una lettera al fratello Lorenzo, in un brano dal valore programmatico, che “quando si tratta di far passare qualche atto d’eroica virtù, sia religiosa che civile, sento che lo faccio con vero amore, essendo questo il vero scopo dell’arte“.

Tra i capolavori del pittore per tensione psicologica, descrittivismo degli ambienti e virtuosistico pittoricismo, insieme a L’Innominato della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (olio su tela, 1860) deve citarsi il Bonifacio VIII (encausto su tavola, 1875, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), esposto al Salon parigino del 1876, all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 e alla Promotrice torinese dell’anno seguente.