Il pittore Luigi Durantini nasce a Roma il 31 dicembre 1792 e si forma presso l’Accademia di San Luca, in seno alla quale nel 1812 arriva secondo al Concorso Balestra con il dipinto Mario seduto sulle rovine di Cartagine, tema obbligatorio per quell’anno. L’anno successivo Durantini si aggiudica il primo premio per la prima classe di pittura ex-aequo con Raimondo Campanili, dipingendo un Filottete abbandonato sull’isola di Lemno di pura ascendenza neoclassica. Nel 1814 il pittore si aggiudica il pensionato di tre anni messo in palio da Canova – noto anche come premio dell’Anonimo – grazie all’opera raffigurante Ajace (olio su tela, Roma, Accademia di San Luca), probabilmente derivata da un disegno di Camuccini, presentando poi nel 1818 come saggio finale del suo percorso formativo una Santa Cecilia, assai lodata. Al 1816 risale la partecipazione del Durantini all’impresa collettiva, di elevato tenore propagandistico e assai prestigiosa, della decorazione delle lunette del Museo Chiaramonti, come noto promossa dallo stesso Canova, in cui il Nostro esegue la terza lunetta con Scavi dell’Arco di Costantino e di Settimio Severo. Intorno al 1822, anno in cui viene nominato professore di merito della San Luca, il pittore esegue a fresco il Sant’Andrea nella Cappella Paolina al Quirinale, mostrando notevoli qualità disegnative e abilità nella realizzazione di monocromi monumentali e plastici. Nel 1824 Durantini entra a far parte della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, divenendone Reggente nel 1829, inaugurando una carriera amministrativa di assoluto rilievo: nel 1830 viene scelto come successore di Gaspare Landi per la carica di consigliere per la classe di pittura, nel 1833 è nominato accademico di merito ed assume la carica di professore aggiunto e di censore sempre per la classe di pittura.

Morì a Roma il 3 gennaio 1857.

Pienamente calatosi all’interno dell’ambiente accademico di inizio XIX secolo, nella prassi figurativa del Durantini possono scorgersi quegli stilemi tipici della pittura romana del neoclassicismo maturo, assimilabili agli esiti di Vincenzo Camuccini e Gaspare Landi, al tempo i dominatori della scena artistica capitolina. Proprio sulle basi del lessico del pittore piacentino, che del Durantini fu insegnante, sembra sorgere il dipinto con cui Durantini vinse il concorso accademico indetto nel 1813, il Filottete abbandonato sull’isola di Lemno (olio su tela, Roma, Accademia di San Luca). L’impianto monumentale e calibrato dell’opera, giocato sul chiasmo che creano il braccio sinistro disteso che afferra il piede fasciato e il braccio destro piegato all’indietro per fare da appoggio, e in misura ancora maggiore il delicato pittoricismo che crea ombre avvolgenti, rimandano alla lezione del Landi. È per altro interessante sottolineare come tali opere non nascessero in seno all’Accademia solo a livello concettuale, ma anzi come fossero de facto prodotti realizzati sotto la supervisione dei maestri nelle sale dell’Apollinare. Se si confronta difatti il dipinto di Durantini con quello eseguito da Raimondo Campanili, con il quale il Nostro condivise il primo premio, è a prima vista evidente come non solo il modello utilizzato per il nudo sia lo stesso, ma medesimi sono gli oggetti utilizzati per imbastire la scena come l’arco e la faretra.