Il pittore Michele De Napoli nacque a Terlizzi, nei pressi di Bari, il 25 aprile 1808, per trasferirsi a Napoli nel 1828 e studiare Giurisprudenza come impostogli dal padre. Laureatosi in legge nel 1833 De Napoli potĂ© finalmente seguire la propria vocazione ed iscriversi all’Accademia di Belle Arti partenopea, divenendo l’allievo prediletto di Costanzo Angelini. La prima opera nota del pittore è l’Alessandro infermo ed il suo medico Filippo, oggi dispersa, con la quale partecipò all’esposizione borbonica del 1837, mentre a quella successiva venne premiato con una medaglia d’oro il dipinto La morte di Alcibiade, acquistato dalla casa reale. Grazie a questo successo De Napoli si conquistò la protezione del marchese Forcella, che gli fece ottenere il pensionato borbonico per il soggiorno romano, avendo modo di alloggiare presso Palazzo Farnese. A Roma il pittore, sulla scorta dei modelli classici che lì potĂ© studiare a fondo, eseguì il Prometeo, esposto alla biennale del 1841 e premiato con la medaglia d’oro. Questo ennesimo successo – anche quest’opera venne acquistata dal re e oggi si trova a Capodimonte – consentì al pittore di essere scelto come socio corrispondente della Reale Accademia e professore onorario dell’Istituto di Belle Arti di Napoli. Fallito nel 1851 il concorso per succedere a Costanzo Angelini nella cattedra di disegno dell’Accademia, vinto da Giuseppe Mancinelli, De Napoli diede inizio ad una fase della propria carriera caratterizzata da un interesse quasi esclusivo per la pittura religiosa: del 1853 sono gli affreschi nel coro della chiesa di San Domenico con San Tommaso redige l’Ufficio del Sacramento Eucaristico e San Domenico disputa con gli Albigesi, del 1859 è il dipinto raffigurante San Benedetto resuscita un ragazzo, con il quale partecipò all’ultima biennale borbonica, destinato alla chiesa di San Placido a Catania.

Con la morte del padre avvenuta nel 1863 il pittore fece ritorno nella propria cittĂ  natale, dedicandosi in maniera privilegiata all’attivitĂ  politica, venendo prima eletto consigliere comunale e poi sindaco. Amareggiato dall’ambiente di Terlizzi, insensibile alle sue idee progressiste, De Napoli tornò a praticare la pittura con piĂą continuitĂ , licenziando nel 1876 Il battesimo di sant’Agostino e La morte di san Girolamo per la cattedrale di Altamura, mentre nel 1878 donò alla cattedrale di Terlizzi San Tommaso e la disputa del Sacramento.

Morì a Terlizzi il 24 marzo 1892, vincolando il palazzo di famiglia e le opere in esso conservate alla città, che quindi fondò una pinacoteca a suo nome.

Convinto sostenitore del ritorno ad un linguaggio di stretta osservanza neoclassica anche in un momento in cui quest’ultimo appariva oramai anacronistico e superato – come testimonia l’opuscolo che il pittore pubblicò nel 1848 con il titolo Considerazioni intorno alle Istituzioni artistiche napoletane – nella fase tarda della sua attivitĂ  De Napoli aggiornò il proprio lessico in chiave verista. Tuttavia anche le sue opere di questo periodo vennero tacciate di freddo accademismo, come accaduto alla Maddalena penitente (olio su tela, 1884, Cattedrale di Terlizzi), donata dal pittore all’ente religioso terlizzese dopo la bocciatura ricevuta da parte del comitato dell’Esposizione di Torino. Eppure risulta evidente lo scarto che quest’ultima nutre rispetto alla redazione che il De Napoli aveva eseguito piĂą di trent’anni prima per la Casa di Asilo della Maddalena a Napoli, molto piĂą astratta nel suo incedere purista. La versione terlizzese è d’altro canto caratterizzata da una concretezza che può apprezzarsi negli angeli, poggianti su solide rocce, e da un piĂą sentito afflato sentimentale, tanto che la Maddalena è presentata genuflessa nello spasimo di un dolore lancinante, il volto solcato da lacrime e le braccia abbandonate lungo i fianchi.

Il peso del soggiorno che il pittore svolse a Roma dal 1839 al 1842 è misurabile in uno dei capolavori del De Napoli, il Ritorno dal sepolcro (olio su tela, 1852, Terlizzi, Pinacoteca De Napoli), costruito attraverso un solido accademismo formale, in cui si mescolano le impressioni rimeditate sulla scorta della lezione della drammaticità michelangiolesca e della raffinatezza raffaellesca.