Il pittore Antonio Cavallucci nasce a Sermoneta il 21 agosto 1752, figlio di un fabbro al servizio dei Caetani, la famiglia che sancì le fortune dell’artista e verso la quale la sua carriera si legò in maniera indissolubile. Tredicenne il Cavallucci venne portato a Roma dal duca Francesco, che lo introdusse nello studio di Stefano Pozzi, e dopo la morte di quest’ultimo nel 1768, il pittore continuò la propria formazione sotto Gaetano Lapis. Frequentò fin da giovane, come da prassi, i corsi dell’Accademia di San Luca, distinguendosi nel 1771 con un disegno avente per soggetto la Visita dei tra angeli ad Abramo, con cui vinse il primo premio nella seconda classe di pittura del Concorso Balestra. Nel 1773, con un dipinto avente per tema Il commiato di Ettore da Andromaca (olio su tela, Roma, Accademia di San Luca) si piazzò secondo, dietro David Allan, al Concorso Balestra, suscitando consensi da parte della critica.

A partire da questi primi successi del pittore seguirono importanti commissioni, tra cui la decorazione di palazzo Caetani in via delle Botteghe Oscure (1776-1780). Del 1786 è la Presentazione della Vergine al tempio licenziata per il duomo di Spoleto, d’impianto solido e gesti pausati. Nel 1787 Cavallucci compie un viaggio a Firenze, Parma, Venezia e Bologna in compagnia del cardinale Romualdo Braschi Onesti, esperienza che come testimoniò il suo biografo Gherardo de Rossi si rivelò fondamentale per la maturazione stilistica del pittore. Specialmente l’incontro con l’opera del Correggio stimolò nel Cavallucci la ricerca di valori cromatici raffinati e seducenti, come ravvisabile nella pala licenziata nel 1788 per l’altare maggiore della chiesa dei santi Filippo e Giacomo a Polidoro, caratterizzata da figure statuarie e vigorose. In quello stesso anno il Cavallucci entrò a far parte dei Virtuosi del Pantheon, in un momento di massima affermazione del pittore, che già era stato eletto arcade con il nome di Ippomiero Sermoneo. Nel 1790 l’artista ottenne l’incarico di professore dell’Accademia di Portogallo a Roma su invito del suo amico ed estimatore De Rossi, morendo poco dopo, ancora giovane, il 18 novembre 1795.

Educato sulla base della cultura figurativa romana di metà secolo, anche durante la sua svolta in chiave neoclassica il pittore mantenne sempre vive quelle radici che si possono far risalire fino al fondatore della “scuola”, Carlo Maratti, attraverso i maestri del Cavallucci, Pozzi e Lapis, su cui si innerva la riflessione sul classicismo cinque-secentesco. Dedicatosi quasi esclusivamente ad opere di carattere religioso, il suo lascito più pregevole è da individuarsi nella Vestizione di santa Bona (olio su tela, 1792), licenziato per la Cattedrale di Pisa, a cui ne fece dono la marchesa Ricciarda Catanti Tanucci. Dall’impianto poderoso e scenografico, il dipinto è caratterizzato da un colorito leggiadro e soffice, con figure vestite secondo il costume dell’epoca, denunciando affinità stilistiche con la pittura di Mengs e Angelika Kauffman, sua stretta amica.

Nel genere del ritratto il pittore non fu particolarmente attivo, sebbene è il caso di menzionare perlomeno il Ritratto del principe di Belvedere (olio su tela, 1790, Napoli, Museo di Capodimonte), realizzato a figura intera in una posa plastica ed elegante come da più recente moda batoniana, con cane al seguito e impreziosito da dettagli iconograficamente rilevanti come il busto di un poeta e la pianta di un edificio antico.