Il pittore Michele Cammarano nacque a Napoli il 23 febbraio 1835 in una famiglia di artisti: il nonno Giuseppe era stato infatti uno dei principali rappresentanti del Neoclassicismo partenopeo, mentre il padre Salvatore fu vedutista e scenografo. Il Nostro ricevette quindi una prima formazione in campo artistico nell’ambiente familiare, votata all’assimilazione di diversi linguaggi figurativi, dal lirismo, cui tra i maggiori esponenti si era elevato Giacinto Gigante, al vedutismo dello Smargiassi. Nel 1853 Cammarano si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Napoli accostandosi alle poetiche dalla spiccata vena naturalista di Giuseppe e Filippo Palizzi, che lo introdussero ad un approccio diretto della natura, indagata dal vero e senza filtri. Da queste premesse nacquero opere come Crociati che tagliano un bosco (olio su tela, 1854, Napoli, Museo di San Martino), presentato all’esposizione del Real Museo Borbonico del 1855, che nel soggetto presenta ancora influenze d’ascendenza romantica. Nel 1859 il pittore partecipò al concorso per il pensionato romano con il dipinto Paesaggio con eremita (olio su tela, Napoli, Gallerie dell’Accademia), iniziando ad interessarsi a tematiche sociali e mostrando una sempre più sentita partecipazione civile per gli eventi contemporanei. Nel 1860 Cammarano si arruolò volontario nella guardia nazionale e dipinse opere come Ozio e lavoro (1861, olio su tela, Napoli, Museo di Capodimonte) in cui si palesano i suoi sentimenti di denuncia sociale.

Nel 1865 il pittore si trasferì a Roma stringendo amicizia con il lombardo Faruffini e con lo spagnolo Fortuny, rimanendo affascinato dalle loro ricerche luministiche, frequentando anche il gruppo di artisti tedeschi attivi nella capitale pontificia. Nell’Urbe Cammarano iniziò ad eseguire degli studi dal vero con lo scopo di cogliere scene di vita quotidiana, popolare, come dimostrano i dipinti Chiacchiere in Piazza in Piscinula e Atrio di Santa Maria Maggiore (entrambe ad olio su tela, 1865, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), caratterizzate da un forte contrasto chiaroscurale.  Al 1870 risale il viaggio dell’artista a Parigi, dove finalmente può conoscere Courbet, sua grande fonte d’ispirazione per i toni realisti della sua poetica pittorica, rimanendo largamente affascinato anche dalle opere di Géricault, da cui mutuerà quel vibrante e potente afflato sublime nella descrizione di episodi dalla spiccata drammaticità. Tali spunti emergono in tutta la loro attuale vividezza in un’opera simbolica come Carica dei bersaglieri a Porta Pia (1871, olio su tela, Napoli, Museo di Capodimonte), che si distingue per un sapientemente organizzato impianto scenico e un’antiretorica violenza. Dal 1888 al 1893 il pittore si trasferì a Massaua per compiere con scrupolosa professionalità degli studi dal vero sul paesaggio e sui costumi africani in vista della realizzazione della Battaglia di Dogali (olio su tela, 1896, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), commissionata dall’allora ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli per celebrare il tragico episodio e il sacrificio dei soldati italiani, opera caratterizzata da un cruento verismo.

Nel 1900 Cammarano succedette a Filippo Palizzi sulla cattedra di pittura di paese e animali presso l’Istituto di Belle Arti di Napoli, dedicandosi nelle ultime fasi della propria carriera alla realizzazione di paesaggi privi di qualsiasi ambizione monumentale e innovatrice.

Morì a Napoli il 21 settembre 1920. 

Artista pienamente calato all’interno del clima laico dell’Italia postunitaria caratterizzato da impegno civico e attivismo politico, l’interesse di Cammarano per episodi di vita popolare e antiretorica, riproposti attraverso le impressioni di quello che vuol quasi impersonare un casuale osservatore esterno, è particolarmente apprezzabile nel dipinto Piazza San Marco (olio su tela, 1869, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) eseguito durante uno dei soggiorni veneziani del pittore, definito dalla critica “un diamante nero” per il tono cupo rischiarato dai bagliori degli avori che trasmettono al meglio la sfaccettata mondanità della brulicante vita cittadina.

Spirito patriota il cui impegno risorgimentale può valutarsi da opere come La battaglia di San Martino (olio su tela, 1880-1883, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), iniziata nel 1880 e sviluppata da un’idea precedente poi non concretizzatasi, composta da un ciclo di dodici tempere da eseguire in collaborazione con Patini e da collocare attorno alla fontana di Piazza del Popolo in occasione dell’ingresso di Vittorio Emanuele II (2 luglio 1871). L’immensa tela, presentata dal pittore ancora incompleta all’Esposizione di Roma del 1883, quando venne acquistata dallo Stato e premiata dal re Umberto I, celebra lo scontro tra piemontesi e austriaci avvenuto il 24 giugno 1859, ed è caratterizzata da un impetuoso verismo descrittivo, che permette di leggere la composizione nonostante l’affastellarsi di figure e azioni poste su più piani.