Il pittore Carlo Bellosio, di cui manca ad oggi uno studio storico-critico approfondito, nacque a Milano il 21 ottobre 1801. Si formò in gioventù presso l’Accademia di Belle Arti di Milano, apprendendo il mestiere sotto l’egida di Pelagio Palagi, divenendone successivamente tra i più stretti collaboratori. Tra le prime imprese realizzate in autonomia dal pittore figurano gli affreschi nella chiesa di San Protaso, raffiguranti la Decollazione del Battista e Il martirio di san Protaso, andati purtroppo distrutti con la demolizione della chiesa. Ben presto Bellosio fu coinvolto nella partecipazione di importanti cantieri, dipingendo in prima istanza un medaglione con dei putti nella “sala d’angolo” di Palazzo Reale, trasferendosi poi nel 1836 a Torino per lavorare alle committenze di Carlo Alberto in stretta vicinanza con l’ex maestro Palagi. Tra le prime opere eseguite per le residenze sabaude è d’obbligo menzionare gli affreschi sul soffitto della sala da pranzo e su quello del salotto d’Apollo nel castello di Racconigi, entrambi con soggetti mitologici. A partire dal 1842 il pittore si spostò a lavorare in Palazzo Reale, dove eseguì gli affreschi nel salone degli Svizzeri, da poco rifatto su progetto del Palagi, con Il conte Verde nell’atto di istituire l’ordine della SS. Annunziata, che mostra le prime aperture in senso romantico.

Morì a Bellagio il 15 settembre 1849.

Formatosi nell’ambiente artistico-culturale della Milano neoclassica, il pittore riuscì a fondere il suo accademismo aulico e grazioso con inserti arcaizzanti e romantici, come è apprezzabile nella pala d’altare raffigurante San Carlo al Sepolcro (olio su tela, 1833 ca., Milano, chiesa di San Sepolcro), dall’impaginazione essenziale e con evidenti richiami alla cultura figurativa preraffaellesca.

Interessante testimonianza di un lessico legato in maniera prominente alla temperie romantica praticata nel nord Italia è il giovanile Sacrificio di Noè (olio su tela, Milano, Circolo Unificato dell’Esercito), presentato a Brera nel 1828 dove venne particolarmente lodato per le figure, che in effetti si presentano come un perfetto connubio tra lo storicismo accademico del Palagi – si osservi la resa dei panneggi – e una sensibilità, anche dal punto di vista “tecnico”, ricollegabile all’Hayez.