Il pittore Antonio Mancini nacque a Roma il 14 novembre 1852, ma nello stesso anno la famiglia si trasferì a Narni, dove frequentò il collegio degli Scolopi. Grazie alle sollecitazioni dei conti Cantucci, che si accorsero della predisposizione del giovane per la pratica artistica, Mancini venne inviato dal padre presso la bottega di un decoratore del posto.

Al 1865 risale il trasferimento del pittore da Narni a Napoli, dove insieme a Vincenzo Gemito frequentò lo studio dello scultore Stanislao Lista e i corsi dell’Istituto di Belle Arti, iniziando sin da subito ad interessarsi dei temi legati alla miseria e alla vita quotidiana degli scugnizzi che animavano i vicoli della città. Con l’approdo di Domenico Morelli alla cattedra di pittura dell’Istituto nel 1868, Mancini ne assorbì l’orientamento antiaccademico ed iniziò a formarsi sulla lezione della pittura napoletana del Seicento imperniata su un crudo naturalismo. Dello stesso anno è il dipinto intitolato Lo scugnizzo (olio su tela, 1868, collezione privata), caratterizzato da un intenso realismo, con cui prese avvio la predilezione del pittore nel trattare, sublimandola in chiave poetica, la condizione di vita degli emarginati. Nel 1870 l’artista vinse il primo premio per la pittura dell’Istituto di Belle Arti, riuscendo ad ottenere poco dopo alcuni locali dell’ex convento della chiesa di Sant’Andrea delle Monache da adibire a studio, che condivise con Gemito e Vincenzo Volpe. Del 1871 è il dipinto Figura con fiori in testa, presentata alla Promotrice di Napoli dove viene ammirata dal musicista Albert Cahen, che diverrà un vero e proprio mecenate del Mancini e lo metterà in contatto con il mercante Alphonse Portier. Al 1873 risale il primo viaggio di studio del pittore, che visitò Venezia e Milano; mentre l’anno successivo Mancini frequentò assiduamente insieme a Gemito e Michetti villa Arata di Portici, abitazione di Mariano Fortuny, che si rivelerà un incontro fondamentale per la generazione dei giovani artisti napoletani.

Nel 1875 Mancini si recò a Parigi dove ebbe modo di conoscere De Nittis e Boldini e di concludere un accordo commerciale con il mercante d’arte Adolphe Goupil, attraverso il quale si impegnava a inviare periodicamente da Napoli un determinato numero di tele, di cui farà parte Lo scolaretto (olio su tela, 1876, Parigi, Musée d’Orsay), esposto al Palais des Champs-Elisées nel 1876. A seguito dell’insuccesso all’Esposizione Nazionale di Napoli del 1877, Mancini decise di tentare una nuova esperienza in Francia che tuttavia si risolse con la rottura dell’amicizia con Gemito e un amaro ritorno a Napoli, il che portò all’acuirsi delle sempre più frequenti crisi nervose dell’artista. Affidato alle cure del dottor Giuseppe Buonomo, al quale fece il ritratto, nel 1881 il pittore venne internato presso il manicomio provinciale di Napoli, dando sfogo al proprio turbamento attraverso un’ossessiva e acuta indagine di sé, che produsse un numero elevato di autoritratti.

Nel 1883 Mancini si trasferì definitivamente a Roma anche grazie ad un piccolo sussidio offertogli dall’Istituto di Belle Arti, guadagnandosi presto la stima del marchese Giorgio Capranica del Grillo e del ricco Daniel Sargent Curtis. Grazie ai dipinti inviati a quest’ultimo per le residenze veneziane della famiglia il pittore poté così inserirsi nel giro dei collezionisti stranieri residenti in Italia, come Claude Ponsonby, che lo invitò a Londra nel 1901, e Isabella Stewart Garden, per la quale eseguì il ritratto del marito John Lowell Gardner (olio su tela, 1895, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum), dipinto a Venezia.

Dopo un secondo viaggio londinese nel quale il Mancini realizzò una serie di ritratti per la famiglia Dixwell Oxenden, nel 1908 il pittore fece ritorno a Roma legandosi con il mercante d’arte Otto Messinger, per il quale dipinse prevalentemente figure in costume settecenteschi o esotici, e con il quale compì l’anno seguente un viaggio in Germania dove conobbe Franz von Stuck.

La consacrazione della carriera dell’artista si compì con la personale dedicatagli alla XXII Biennale di Venezia del 1920, in cui figurarono opere recenti come Ritratto del tenente Bonanni, Gentiluomo del XVII secolo e Mia nipote. Precedentemente nel 1913 il pittore era stato nominato accademico di merito di San Luca e fu tra i primi ad essere accolto nel 1929 all’interno della neo istituita Reale Accademia d’Italia, a riprova dei meriti artistici riconosciutigli.

Morì a Roma il 28 dicembre 1930.

Pittore che riuscì donare attraverso le proprie opere una sorta di poetica dignità ai numerosi adolescenti emarginati e condannati alla miseria che si incontravano nei vicoli della città partenopea, tra i primi dipinti in cui Mancini si occupò di tali tematiche figura Lo studio (olio su tela, 1875, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), in cui uno degli scugnizzi spesso utilizzato dall’artista come modello – Luigiello Gianchetti – è seduto con fare annoiato tra i libri in un ambiente spoglio ma costruito in maniera da stimolare, anche attraverso l’utilizzo prevalente di toni caldi e bruni, un sentimento di malinconico affetto.

Considerato dalla critica non solo tra i più pregevoli esiti all’interno del catalogo del pittore, ma uno dei capolavori di tutto l’Ottocento italiano, è il dipinto La verità (olio su tela, 1873, Pescara, già collezione Di Persio, Museo dell’Ottocento), dove sul proprio tavolo da lavoro, attorniato da vari oggetti, Mancini fa emergere una tela sulla quale è rappresentato un bambino seminudo, d’un incarnato meravigliosamente roseo e vitale, caratterizzato dalla tipica pennellata spessa e materica, vibrante di luce.

Apprezzato e originale ritrattista, il Ritratto della signora Pantaleoni (olio su tela, 1894, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), realizzato con il metodo della “graticola”, presentato e premiato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, garantì a Mancini un successo tale che i più progressisti e aggiornati uomini d’affari di mezza Europa gli commissionaro ritratti per sé o per i membri della propria famiglia.

Eseguito nella tarda maturità del pittore è l’Autoritratto transitato presso la nostra Galleria (carboncino su carta intelata) in cui Mancini si presenta di tre quarti con indosso il solito cappello.