Figlio di Vincenzo, anch’egli pittore, Giuseppe Abbati nacque a Napoli il 13 gennaio 1836, ottenendo i primi rudimenti del mestiere dal padre. L’artista proseguì successivamente la sua formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, frequentando le lezioni dei pittori Stefano Ussi e Domenico Morelli, maturando uno stile rigoroso che verrà successivamente abbandonato in favore di una prassi più libera. Dopo un breve periodo di attività nella città natale, nel 1860 il pittore si arruolò con Garibaldi, stabilendosi l’anno successivo a Firenze, dove prese a frequentare il Caffè Michelangelo. In tali circostanze Abbati decise di aderire al movimento macchiaiolo legandosi in amicizia con Silvestro Lega, Odoardo Borrani e Raffaello Sernesi, dando vita alla “scuola di Piagentina”. Il gruppo venne ospitato spesso dal critico d’arte e convinto sostenitore della poetica macchiaiola Diego Martelli nella sua casa di Castiglioncello. Ivi il pittore trascorse l’estate del 1861 in compagnia di Telemaco Signorini e Michele Tedesco. Nel 1865 l’artista va a vivere insieme al Martelli e a Federico Zandomeneghi. Giuseppe Abbati si spense prematuramente a Firenze nel 1868, morso dal suo cane.

Noto soprattutto per la produzione di interni dal carattere intimistico e da scene ambientate all’aperto placidamente riscaldate dalla luce del sole, il vertice della sua carriera artistica, piuttosto ristretta, può essere individuato nel corpus di opere confluite presso la Galleria d’Arte Moderna di Firenze, tra cui spicca il dipinto dal titolo Orazione (La preghiera), in cui ben si palesa il tono malinconico che si respira in molti dei suoi quadri. L’opera decretò infatti il successo del pittore: dopo essere stata esposta alla mostra della Società d’Incoraggiamento fiorentina del 1866, venne prontamente acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione. Alla prima Esposizione Nazionale presenta due interni di San Miniato e uno di Santa Maria Novella, soggetti a lui cari e familiari. Nel 1866 realizza il dipinto Monaco al coro, acquisito dal Museo di Capodimonte e che Abbati scelse come opera rappresentativa da inviare all’Esposizione Universale di Parigi.

Tra i dipinti accostabili in maniera più eloquente al periodo di maggior vicinanza dell’Abbati con il movimento macchiaiolo può citarsi Bovi al pascolo (olio su tela, 1864, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), un tema caro ai colleghi toscani, a Fattori in particolare, sebbene declinato attraverso una visione più intimista dai sapori elegiaci.