| OPERA NON DISPONIBILE

Domenico Pellegrini
Galliera Veneta 1759 – Roma 1840
Ritratto di Giovanni Andrea de Marinis • 1790
Olio su tela, 75,5 x 62,5 cm
Iscrizione, in basso a sinistra: “D.co Pellegrini / f. 179[0]”
Raffigura il trentacinquenne marchese di Genzano, principe di Striano e di Palazzo San Gervasio (1755-1824), illustre committente e collezionista partenopeo della fine del XVIII secolo (cfr. P. Fardella, Giovan Andrea de Marinis: un mecenate napoletano nell’età delle rivoluzioni, in “Confronto”, 6-7, 2005-2006, pp. 123-155). Va identificato con il “Ritratto di famiglia” di “Pellegrini” che era appeso a circa metà Ottocento nella prima anticamera del palazzo napoletano del principe di Fondi (dal 1824) Giuseppe de Sangro, genero dell’effigiato, inventariato con il numero 7 nel Catalogo de’ quadri componenti la galleria del Principe di Fondi strada Fontana medina n. 24 (G. Manieri Elia, La quadreria napoletana de Marinis-de Sangro dall’influenza del classicismo romano al dissolvimento del collezionismo aristocratico, in Studi sul Settecento romano, 7, Collezionismo e Ideologia, a cura di E. Debenedetti, p. 329).
Il Ritratto di Giovanni Andrea de Marinis è un’assoluta novità nel catalogo delle opere fino a oggi conosciute del pittore veneziano protetto da Antonio Canova (cfr. E. Lucchese, Roma 1792. Domenico Pellegrini e Canova, pittori di Venere, in “Arte Veneta”, 80, 2023, pp. 169-179), primissimo esempio di un genere in cui l’artista si distinse in una carriera pluridecennale, con importanti soggiorni in Inghilterra e Portogallo, che – fino alla scoperta di questa tela – si pensava che cominciasse sempre nel periodo napoletano ma con il Ritratto di Emma Hart (Lady Hamilton) del 1791, passato in asta Sotheby’s a Londra nel novembre 1996 (G. Pavanello, Domenico Pellegrini 1759-1840. Un pittore veneto nelle capitali d’Europa, Verona 2013, pp. 14, 17, 113 nota 48). Inoltre il dipinto in esame si collega all’immagine, firmata da Pellegrini e datata “Napoli / 1790”, dei figli di Giovanni Andrea Filippo e Costanza de Marinis come Amore e Psiche (fig. 1), in asta Pandolfini a Firenze nel novembre 2016 (cfr. A. Canova, Epistolario (1779-1794), a cura di G. Pavanello, Bassano del Grappa 2020, p. 219 nota 5).
Se Costanza diventerà, come si è detto sopra, moglie del principe de Sangro, per il fratello Filippo il destino riserverà un tragico epilogo negli anni della Repubblica napoletana (cfr. M. Battaglino, Filipetto de Marinis, Pisa 2020): la sua partecipazione, diciottenne, al movimento rivoluzionario sarà la causa della rottura dei rapporti con il padre, legittimista convinto, il quale però alla caduta della Repubblica napoletana cercherà in tutti i modi di salvarlo dalla decapitazione, fino alla cena nel proprio palazzo con i componenti della corte che avevano nello stesso giorno emesso la sentenza di morte dopo un processo sommario; Filippo de Marinis fu giustiziato a ventuno anni in piazza Mercato il primo ottobre 1799, dopo aver voluto baciare il boia che l’avrebbe di lì a poco decollato.
All’inizio di quel decennio cruciale, Domenico Pellegrini era giunto a Napoli con una lettera di presentazione di Canova, dell’11 giugno 1790 (Lucchese 2020, p. 179 nota 5), al letterato Ranieri de’ Calzabigi: lo scultore aveva infatti deciso di mandare il pittore “a sue spese in Napoli, a dipingere una replica della Danae di Tiziano” (A. D’Este, Memorie di Antonio Canova, Firenze 1864, p. 89) a Capodimonte. Il 2 ottobre il librettista dell’Orfeo ed Euridice di Gluck volle informare il famoso scultore dei progressi partenopei del protegé: “Giovedì [Pellegrini] ne comincia (parola data) uno istoriato di due ragazzi di uno de’ primarj signori di questo paese, il quale doppo vuole anche il suo” (Canova 2020, pp. 218-219, n. 187) . Se il primo va riconosciuto con la ‘storia’ dell’Asino d’oro che mostra i due giovanissimi figli di Giovanni Andrea de Marinis, il secondo è senza dubbio il dipinto in esame.
L’invenzione della falda dell’alto cappello che traccia sull’intenso sguardo del marchese de Marinis un’ombra, quasi premonitrice della tragedia che si sarebbe compiuta nove anni dopo, ha il suo immediato progenitore negli autoritratti e ritratti rembrandtiani a stampa che il pittore veneto certo conosceva.
Infatti a Venezia nel 1789 Dominique Vivant Denon aveva comprato dagli eredi Zanetti tre tomi con l’opera completa delle incisioni dell’artista olandese (cfr. C. Gauna, I Rembrandt di Anton Maria Zanetti e le “edizioni” di stampe a Venezia: tra tecnica e stile, in “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, 36, 2012, pp. 189-234), incaricando l’anno seguente Francesco Novelli di riprodurne quarantuno “fedelmente e con maestrevole franchezza” (Per le auspicate nozze del marchese Giovanni Salvatico colla contessa Laura Contarini, a cura di L. Rusconi, Padova 1834, p. 45). Ad esempio la traduzione del Ritratto di Arnold Tholinx (fig. 2), dal simile copricapo rigido e con le ampie falde, o le varie figure di orientali (fig. 3) – prodromi nella loro sinistra malinconia dei maghi delle acqueforti tiepolesche – riprese da Novelli dagli originali di Rembrandt già di Anton Maria Zanetti sembrano ben presenti al pennello di Pellegrini. Egli era da non molto giunto a Napoli per conquistare una clientela per la maggior parte affiliata alla massoneria – alla quale avrebbe aderito, almeno dal seguente periodo inglese, lo stesso Domenico – appartenente a un ambiente internazionale fautore della diffusione del gusto neoclassico nella sua accezione più marcatamente “arcadica” (P. Fardella, Tra antico e moderno: Antonio Canova e il collezionismo napoletano, in Antonio Canova. La cultura figurativa e letteraria dei grandi centri italiani, II, Milano, Firenze, Napoli, Bassano del Grappa 2006, p. 317) o forse meglio ‘anacreontica’, per usare un termine impiegato da Calzabigi nella corrispondenza (Canova 2020, p. 252, n. 217) con l’autore dell’Amorino di cui possedeva il calco.
Il modello seicentesco è dunque aggiornato da Pellegrini in senso moderno, rientrando pienamente in una produzione di livello internazionale che stava avendo cospicuo successo proprio a Napoli, in un clima di fortissima competizione tra i pennelli. Nella menzionata lettera del 2 ottobre, infatti, Calzabigi, segnalava a Canova – poco più sotto la notizia del Ritratto di Giovanni Andrea de Marinis – che il suo protetto aveva trovato “invidiosi, e anche di detrattori, che vorrebbero signoreggiare nell’arte. Il suo colorito lo caverà sempre fora a dispetto di tutti i malevoli che vorrebbero (per simulato affetto per lui) che egli studiasse ancora per anni. Credo che qualche altro artista di costì ha suggerito questi pensieri. Sia omo, o sia donna lo lascio a lei indovinare”: un chiaro e malizioso riferimento a Elisabeth Vigée Lebrun, in quel momento attiva a Napoli e del resto subito dopo citata dal letterato poco dopo per i “pazzi prezzi” e quale temibile concorrente di Pellegrini, lui “bene accolto perché in due partiti son divisi gli artisti pittorici qui, e se uno gli è contrario, l’altro lo acclama” (Ivi, p. 219). La ritrattistica della francese era dunque nota al veneto, il quale potrebbe essersi ispirato, nell’invenzione dello sguardo così franco di de Marinis, al famoso Autoritratto con il cappello e la tavolozza di Vigée Lebrun (1782, Londra, National Gallery), diffuso nella versione incisa del 1785 (fig. 4).
Ma l’icastica immediatezza del piano della visione ravvicinato, la condotta coloristica decisa e lo stesso fondo grigio azzurro su cui si staglia la silhouette del nobile partenopeo rimandano alla coeva cultura artistica britannica, quella in cui Pellegrini s’integrerà due anni dopo emigrato a Londra, e alla frequentazione a Roma, nel medesimo torno di tempo di Domenico, dello studio canoviano del pastellista dublinese Hugh Douglas Hamilton (fig. 5). L’anno seguente alla presa della Bastiglia, messo un segnalibro nel libro chiuso sul tavolo ed evitando il travestimento mitologico con cui aveva chiesto d’immortalare i figli, Giovanni Andrea de Marinis sembra, con il suo gilet rosso, lo sbuffo del candido jabot e il cappello da poeta disilluso, aspettare che la Storia prenda il sopravvento anche alle pendici del Vesuvio.
Settembre 2024
Enrico Lucchese
La Galleria Carlo Virgilio & C. ricerca opere di Pellegrini Domenico (1795-1840)
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