| OPERA NON DISPONIBILE

Sofonisba Anguissola
Cremona 1532 – Palermo 1629
Ritratto di canonico lateranense a trentacinque anni • 1546-50 ca.
Olio su tavola, 18,8 × 14,8 cm
Inscritto sul retro del pannello in alto “Anno natiuitatis sue [sic.] XXXV”; in basso a inchiostro con una grafia differente “Characa”
La deliziosa tavoletta, dalla tessitura cromatica smagliante e in uno stato di conservazione eccellente, ritrae un giovane canonico lateranense, che esibisce già unʼincipiente quanto precoce calvizie comodamente assiso su un seggiolone con schienale di velluto rosso e borchie d’ottone, mentre regge con la mano destra un libro di orazioni, nell’ambientazione semplice ma sontuosa di uno studiolo. Alle sue spalle, sulla sinistra, illumina la stanza un’ampia visione di paesaggio fantastico, alla fiamminga, giocato sulle diverse varietà dell’azzurro con cui è delineato un torrente solcato da un ponte bianco, lo stesso dell’edificio in lontananza che sembra suggerire una rocca; mentre sulla destra chiude la scena la consueta elegante tenda verde ad ampie pieghe luminose.
Sul retro la tavoletta reca l’iscrizione «Anno natiuitatis sue [sic] XXXV» e, più in basso, con una diversa calligrafia e inchiostro «Characa», volendo intendere evidentemente Giovanni Caracca, il nome italianizzato del pittore nativo di Haarlem Jan Kraeck, attivo per i duchi di Savoia Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I dal 1568 al 1607.[1] Lo stile palesato dal dipinto non corrisponde tuttavia a quello, assai riconoscibile, del fiammingo: mi chiedo quindi se l’iscrizione sia da collegare a una possibile antica collocazione in una raccolta piemontese – o, comunque, savoiarda – e tenda ad accreditare lʼopera a un artista operoso in quellʼarea specifica e ben noto per la sua attività ritrattistica.
Tornando al dipinto in esame, che l’effigiato sia un canonico lateranense è rivelato dalla veste talare bianca accecante, come se fosse appena uscita dal bucato, con un rocchetto (donde, in antico, il nome di “Rocchettini” con il quale venivano popolarmente indicati) di lino bianco che scende fino a un palmo sotto il ginocchio; non indossa invece, per la destinazione privata, per niente ufficiale, del ritratto e, verosimilmente, per i caldi opprimenti della stagione estiva, la tipica cappa nera, alla quale è unito un piccolo cappuccio, aperta sul davanti dal petto in giù.
Il ritratto è un piccolo gioiello della produzione più giovanile, quasi adolescenziale direi, viste le consuetudini familiari – pochi anni or sono è stata aggiunta allo scelto catalogo della sorella minore Europa Anguissola una teletta con l’Annunciazione in collezione privata, firmata e derivata dall’affresco di Bernardino Gatti detto il Sojaro nel tamburo di Santa Maria di Campagna a Piacenza, con un’iscrizione che dichiara che si tratta della sua prima opera, eseguita a tredici anni, come dono per l’altra sorellina Minerva –,[2] della pittrice cremonese Sofonisba Anguissola.[3] Fa parte a mio avviso di quelle opere che, come è ben noto e documentato dalle vicende biografiche giovanili di Sofonisba, il padre Amilcare faceva eseguire alla fanciulla per poi donarle – con scelte estremamente esclusive e mirate – a personaggi di rilievo non solo della sua città. Lo scaltro Amilcare Anguissola intesse infatti una fittissima trama di rapporti con le principali corti padane per promuovere le doti artistiche della primogenita, anche mediante l’invio di autoritratti e di altri piccoli dipinti da cavalletto, di soggetto sacro e profano. Era anche una politica con un obiettivo più preciso: quello di trovare marito al gineceo familiare, lamentando in diverse occasioni l’impossibilità di provvedere le figlie di una dote adeguata: le rendite di Amilcare non erano certo elevate ma non c’è dubbio che egli tentasse sempre una sorta di gioco al ribasso per potersela cavare senza elargire il dovuto.[4]
Amilcare scrive e dona quadretti, scrive e dona quadretti, scrive e dona quadretti con una protervia incessante, pari soltanto alla sua petulanza: raccomanda la figliuola alla Paleologa a Mantova, fa avere quadretti a Ercole Gonzaga; scrive a Ercole II d’Este per annunciargli il dono di un quadretto; scrive più volte a Michelangelo (a Michelangelo!); promette un quadretto per tre volte ad Annibal Caro, glielo regala, però dopo un po’ lo rivuole indietro: il poeta non la prende bene. Per non parlare poi dei maneggi per spedire Sofonisba alla corte di Madrid, con missive personali a Filippo II. Più tardi, a Cremona nel 1566, con la figlia già in Spagna, accoglierà in casa sua Giorgio Vasari, il quale ricorda in una lettera a Vincenzo Borghini da San Benedetto in Polirone, «le meraviglie della Sofonisba».
Il primo febbraio 1556 apprendiamo di un soggiorno mantovano di Sofonisba dall’epistolario dell’ineffabile padre Amilcare, il quale ringrazia Margherita Paleologa «delle virtuosissime demonstrationi degne d’honoratissime Principesse da Vostra Excellentissima Signoria continuamente a sor Minerva et Sophonisba sue sviscerate serve et mie figliuole fatte». Il 12 marzo dell’anno successivo invece dona alla stessa Paleologa un «quadretto fatto et depinto per Sophonisba» e inizia il processo di martellante promozione dell’altra figlia, Europa.
L’inarrestabile attività paterna avrà il suo successo e riuscirà a far sì che Sofonisba sarà scelta nel 1559 come dama di corte e insegnante di pittura di Isabella di Valois (1546–1568), terza moglie di Filippo II d’Asburgo. Le lettere indirizzate alla corte dei Gonzaga, degli Este e dei Farnese a corredo dei ritrattini (non dimentichiamo che nel 1556 Amilcare scrivendo al duca di Ferrara Ercole II dʼEste ricordava due autoritratti della figlia, che gli aveva donato “molti anni” prima) testimoniano delle capacita paterne nell’opera di “nobile prossenetismo” atta a costruire un’immagine pubblica di «virtuosa et rara giovane» della figlia, in possesso di una buona e completa educazione e in grado di saper scrivere, leggere e suonare, oltre che dipingere; tanto da incuriosire anche Francesco Salviati che ne chiederà notizie nella sua corrispondenza da Roma con Bernardino Campi (1554), lodando quest’ultimo per essere stato maestro della: «bella pittrice cremonese vostra fattura» e dando notizia che già a quella data nell’Urbe circolano già «opre, che veggiamo qui con maraviglia di ciascuno», come riporta puntualmente il biografo di Bernardino, Alessandro Lamo.[5] Tornando indietro di qualche anno, va rilevato che i risultati cominciano a dare ragione ad Amilcare in tempi piuttosto precoci e, per quanto concerne questo studio, tra gli interlocutori principali ci sono i canonici lateranensi, a partire dai ruoli più alti della congregazione. Già nel 1550, quando Sofonisba ha diciotto anni l’umanista vescovo di Alba, il lateranense cremonese, Marco Girolamo Vida ne loda caldamente i meriti: inter egregios pictores nostri temporis merito connumerari potest.[6]
Mia figlia Beatrice, poi, ha recuperato una lettera di Ercole Gonzaga del 1552, nella quale il cardinale, reggente del ducato di Mantova, vescovo della città e “protettore” dei canonici lateranensi, ringrazia Colombino Rapari, abate di San Pietro al Po a Cremona e più volte rettore generale degli stessi canonici, per il dono di un dipinto:
Reverendo padre, io non so bene qual mi faccia haver più caro il quadro fatto da cotesta nostra virtuosa et rara giovane et mandatomi da vostra paternità, o la singolarità del magistro, o l’allegria di quella risata, così ben espressa, o l’affecto et buona volontà del mandatore, ma questo so io bene che il quadro mi è carissimo per tutte queste ragioni et che ne rendo a vostra paternità quelle cordiali gratie che io debbo, con disiderio di mostrarle con fatti et memoria et gratitudine di questo piacere ch’ella m’ha fatto […].[7]
Colombino Rapari è diventato in qualche modo il mentore di Sofonisba, che sembra avere accesso al grande monastero cremonese potendo intrattenere relazioni con i membri dell’Ordine. Si conoscono infatti almeno tre ritratti del momento precedente la partenza per la corte spagnola raffiguranti altrettanti canonici lateranensi: il primo è proprio un possibile Ritratto di Colombino Rapari firmato da Sofonisba nel 1552, con importanti implicazioni sulla congiuntura ereticale a Cremona, che si conosce esclusivamente da due riproduzioni fotografiche dalla Frick Reference Library, la cui ultima apparizione è registrata in un passaggio da un’asta presso The Anderson Galleries di New York il 28 febbraio 1925, lotto 67.[8] Firmato e datato 1552, con una trascrizione un po’ traballante, «Sophanisba Angussola / Virgo F. / M.D.L.II.» andato disperso nel collezionismo antiquario statunitense è riemerso solo di recente, con alterne vicende, negli studi dedicati a Sofonisba.[9]
Sono poi noti i ritratti di due altri canonici: quello piuttosto celebre, datato 1556, della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia (inv. 137), più volte erroneamente individuato in Ippolito Chizzola, e quell’altro, di scoperta più recente, approdato in collezione privata dopo alcuni passaggi sul mercato antiquario, anch’esso identificato nel Chizzola.[10]
Appare abbastanza curioso che per tutti e tre i dipinti di Sofonisba Anguissola che effigiano canonici lateranensi si sia tentata unʼidentificazione con Ippolito Chizzola, predicatore bresciano, perché Ottavio Rossi nel 1620 attesta che la pittrice: «cavò» il ritratto bresciano del Chizzola «mentr’egli predicava, chi dice in Cremona, & chi in Genova»; ma non ci sono caratteristiche che possano garantire tale ipotesi.[11] Nessuno dei tre dipinti ritrae un canonico durante la predicazione e il suggerimento più ovvio che mi viene – al di là del tentativo di riconoscere Colombino Rapari nella tela dispersa a New York – è di immaginare i protagonisti degli altri due ritratti tra i canonici elencati negli anni Cinquanta del XVI secolo nei documenti relativi alle riunioni nel monastero di San Pietro al Po; come se alla pittrice fosse stata affidata la commissione di ritrarre i principali canonici lateranensi cremonesi. Proprio quest’ultimo dipinto già presso Dorotheum e ora in mano privata, tuttavia, si rivela una pedina fondamentale per lo studio della tavoletta in esame, perché l’effigiato è il medesimo personaggio, solo lievemente invecchiato, che siede con agio al centro del nostro sgargiante, piccolo dipinto.
Quello che voglio sostenere con determinazione è che la tavoletta è la prima opera eseguita da Sofonisba Anguissola, poco più che bambina, in un ambiente in cui, grazie alle trame paterne e alla benevolenza dell’abate Colombino Rapari, aveva un materiale umano molto ricco sul quale esercitare la sua precoce passione ritrattistica. Diversamente dalla sorellina Europa, che a tredici anni copia un’opera famosa del suo maestro, Bernardino Gatti, Sofonisba è attratta precocemente dai volti e, ancora inconsapevolmente, dalla fisiognomica, dallo studio delle varie espressioni del volto dei personaggi e della loro collocazione nello spazio: deve eseguire un’opera dal vero La mia impressione, in poche parole, è che il ritratto sia stato realizzato mentre Sofonisba viene educata alle arti, alla letteratura e alla pittura insieme alle sorelle, prima sotto la guida di Bernardino Campi tra il 1546 e il 1549, prima del trasferimento del pittore a Milano, dove diventerà il pupillo dei governatori Alfonso d’Avalos, Marchese del Vasto, e di Ferrante Gonzaga, conte di Guastalla e principe di Molfetta; e il beniamino dell’aristocrazia filospagnola; quindi di Bernardino Gatti detto il Sojaro, educatosi a Parma alla scuola del Correggio. Una forbice d’età tra i quattordici e i diciotto anni può spiegare molto bene l’impegno rigoroso (con un padre come Amilcare alle spalle…), l’applicazione ostinata e quotidiana e l’acquisizione di mezzi espressivi personali sempre più saldi e maturi. I due Bernardini, tuttavia, non sono i soli modelli a cui la pittrice si adegua negli anni della formazione: il suo sguardo è più aperto e permeabile rispetto alle principali proposte che la “piccola Anversa” lombarda (la definizione, celeberrima, è di Roberto Longhi) poteva offrire. Camillo Boccaccino e Antonio Campi, per esempio, sono alla base di una teletta (83,5 x 68,7 cm) in collezione privata raffigurante la Madonna con il Bambino, San Giovannino Santa Elisabetta e due angeli reggicortina e, sullo sfondo in controluce, San Giuseppe, in cui si può cogliere il portato di questi due maestri negli anni Quaranta. Non sto a descrivere quest’ultimo dipinto, rimandando allo studio che gli ho dedicato qualche anno fa, ma si noti soltanto, a paragone con il nostro canonico trentacinquenne, la resa della tenda verde, simile a quella che ingombra la zona superiore di questa nuova teletta e trae spunto da quella in cui si ingarbugliano gli angioletti nella pala Piperari firmata da Antonio Campi nel 1546, ora in Sant’Ilario a Cremona.[12]
Se il primo dipinto firmato e datato di Sofonisba è il Ritratto di monaca di Southampton (City Art Gallery, inv. 1979/14) – che secondo la tradizione dovrebbe raffigurare la sorella Elena, che aveva preso i voti con il nome di suor Minerva presso il convento delle domenicane di San Vincenzo a Mantova – che risale al 1551, non è affatto detto che non debbano esistere altre opere anepigrafe e prive di data precedenti alla suorina di Southampton.[13] Penso proprio alle opere di piccole dimensioni che il padre distribuiva con scelte mirate ai maggiorenti che avrebbero potuto aiutarlo nella promozione sociale della figlia maggiore. Mi spingo oltre, affermando che i dipinti che cominciano ad affermare una prima laboriosa maturità cominciano a datarsi a partire dalla metà del sesto decennio, con la Partita a scacchi del Muzeum Narodowe di Poznań (inv. MNP FR 434) e il Ritratto di astronomo domenicano, già presso la collezione Gino Calligaris di Terzo d’Aquileia, entrambi del 1555 e, nel successivo 1556, con il già ricordato Ritratto di canonico lateranense di Brescia, il delizioso tondino con l’Autoritratto della Fondazione Custodia (Collezione Lugt), a Parigi (inv. 6607); e il Ritratto di dama della Galleria Borghese (inv. 118).[14]
Le opere che seguono da vicino la monachina di Southampton, ovvero il presunto Colombino Rapari di ubicazione ignota e l’Autoritratto degli Uffizi (inv. 1890, n. 1824), entrambi del 1552, ma spingendosi fino al 1554 dell’Autoritratto di Vienna (Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, inv. GG 285), per il quale può valere la definizione che Roberto Longhi offrì per un altro dipinto riferito alla pittrice cremonese in cui sono raffigurati Tre Bambini, nella collezione di Lord Methuen a Corsham Court, nel Wiltshire: «Anche qui una documentazione commovente su tre giovani d’aristocrazia di provincia. Tre malinconici animaletti, tre rosicanti rivestiti di sete e di sarge a striscioline vivide che gettano un’ombra tenue sul fondo di muro bigio» che avranno sembianze sempre meglio definite dopo il discrimine della Partita a scacchi di Poznań.[15]
Mi scuso per questo excursus, ma giudico di una certa importanza fornire delle coordinate cronologiche e formali precise per collocare il ritrattino in esame, e, per un caso così particolare, vale la pena di spiegare i tempi e i modi dell’evoluzione stilistica della pittrice, che diano ragione delle possibili piccole insicurezze ma anche di quella gioiosa freschezza di tocco che spesso solo la adolescenza può concedere. A questo punto parte un gioco di confronti stilistici con le opere del periodo cremonese di Sofonisba prima della partenza per la Spagna; sono andate perdute, almeno per ora, quelle eseguite per volontà paterna da offrire in dono ai personaggi più in vista del momento, che avrebbero rappresentato il termine di paragone determinante per ricostruire questo percorso “senza opere”: bisogna quindi accontentarsi di quello che c’è. I dipinti firmati e datati vanno dal 1551 al 1559; li elenco tutti:
- 1551 – Ritratto di monaca (Elena Anguissola?) Southampton, City Art Gallery, inv. 1979/14
- 1552 – Ritratto di canonico lateranense (Colombino Rapari), ubicazione ignota
- 155[2] – Autoritratto – Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 1824
- 1554 – Autoritratto, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, inv. GG 285
- 1555 – Partita a scacchi, Poznań, Muzeum Narodowe, inv. MNP FR 434
- 155[5] – Ritratto di astronomo domenicano, (già) Terzo d’Aquileia, Collezione Gino Callegaris
- 1556 – Ritratto di canonico lateranense, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, inv. 137
- 1556 – Autoritratto, Parigi, Fondazione Custodia (Collezione Lugt), 6607
- 1556 – Ritratto di dama, Roma, Galleria Borghese, inv. 118
- 1557 – Ritratto di dama (Bianca Ponzoni Anguissola?), Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie, inv. gg3352_061
- 1558 – Autoritratto, Roma, Palazzo Colonna, inv. 268
- 1560 – Ritratto di anziano gentiluomo, Stamford, Burghley House, inv. PIC323
- 1561 – Autoritratto, Milano, Pinacoteca di Brera, Reg. Cron. 1309
Per ragioni eminentemente stilistiche il gruppo garantito del sesto decennio è stato ragionevolmente integrato da questi esemplari che non portano indicazioni cronologiche ma risultano databili con buona verosimiglianza per i loro dati formali:
- Autoritratto – Boston, Museum of Fine Arts, 60.155
- Autoritratto – Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 322/634
- Autoritratto al cavalletto – Łańcut, Museum Zaner, inv. S.916.m
- Autoritratto al clavicordo – Napoli, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte, inv. Q 1930 n. 358
- Ritratto di famiglia (Minerva, Amilcare e Asdrubale Anguissola) – Nivå, Nivaagards Malereisamling, inv. 0001NMK
- Ritratto di Archimede Anguissola – (già) Cremona, collezione privata
- Ritratto di Lucia al clavicordo con donna nell’ombra – Althorp, Collezione Spencer, inv. P39
- Ritratto di Massimiliano Stampa (da Bernardino Campi) – collezione privata, (già) Richmond, Collezione Cook
- Ritratto di Giulio Clovio – (già) Mentana, Collezione Federico Zeri
- Ritratto del poeta Giovanni Battista Caselli, Madrid, Museo del Prado, inv. P-8110
- Ritratto di canonico lateranense – collezione privata
- Ritratto di Pio IV – collezione privata
- Ritratto di giovane gentildonna – Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 4047
Il primo dipinto da menzionare, ovviamente, è il Canonico lateranense apparso in anni relativamente recenti sul mercato antiquario viennese e, come si diceva in precedenza, individuato senza alcuna prova decisiva in Ippolito Chizzola, come lʼaltro Canonico di Brescia. Non siamo in grado, almeno per ora, di stabilire la sua identità anagrafica, ma quello che è certo è che si tratti del medesimo personaggio ritratto nella tavoletta. I tratti somatici, infatti, sono i medesimi: il volto si è un poco affilato e ha perso le sembianze della giovinezza, è aumentato il pallore, prendendo il posto dei rossori delle guance e gli occhi si sono fatti più sottili e indagatori, disincantati. Questo per quanto riguarda lʼeffigiato; sul versante dello stile occorre mettere in sequenza il suo volto giovanile nella tavoletta in esame con quello della monachina di Southampton (1551) e dellʼautoritratto, in uno stato di conservazione assai problematico, degli Uffizi (155[2]), proprio per rendersi conto delle affinità decisive nella costruzione del viso; mentre la stesura segue il carattere timido e compunto dei personaggi, è la stessa del ritratto, firmato ma non datato, del cugino di Sofonisba, Archimede Anguissola, che pubblicai alcuni anni or sono quando passò da una collezione privata cremonese (mentre nellʼOttocento era in quella del noto prete collezionista monsignor Michele Bignami, che svolse il suo magistero ecclesiastico a Castelleone e a Casalmaggiore, visitato dai maggiori conoscitori dellʼepoca).[16] Ho poi la netta impressione che la nostra tavoletta rifletta legami piuttosto evidenti con il cosiddetto Ritratto di Minerva del Milwaukee Art Museum (Layton Art Collection, Inc., Gift of the family of Mrs. Frederick Vogel Jr., inv. L1952.1), che è consuetudine datare a metà degli anni Sessanta per motivi a mio avviso piuttosto semplicistici.[17] Più che un ritratto della sorella Minerva realizzato post mortem (1564), mi sembra che nel dipinto di Milwaukee, al di là dello stato di conservazione, si possano cogliere delle peculiarità tecniche ed esecutive ancora acerbe, nella fissità accentuata e un poʼ schematica della posa e nella esile definizione dei tratti somatici, riscattata dalla qualità del medaglione con pendente di perla recante al centro la figuretta di Minerva armata. Sono convinto che questo ritratto debba andare ad anni più alti nella cronologia della pittrice, più vicini al nostro canonico trentacinquenne, intorno all’inizio del sesto decennio.
Se poi si prendono quei pochi centimetri quadrati di paesaggio fuori dalla finestra sulla sinistra, ci si accorge che quelle pennellate di pittura liquida e sfatta rappresentano in nuce la medesima concezione paesistica della Partita a scacchi di Poznań, datata 1555, e del Ritratto di famiglia di Nivå; solo che in questi due capolavori della pittrice, ormai alla scuola del suo secondo maestro, Bernardino Gatti detto il Sojaro, con una virata fiammingheggiante nella scelta lenticolare degli edifici rimarchevole. A Poznań, addirittura, la rocca in cima all’altura è, con una definizione più nitida, la stessa della tavoletta; così, in parte anche a Nivå, dove è il gioco della varietà degli azzurri a corrispondere con quelli nell’apertura della finestra alle spalle del canonico. Sono caratteristiche che Sofonisba terrà costantemente nel suo bagaglio, per tutta la vita, se solo si pensa al paesaggio pieno di ricordi fiamminghi nella sgangherata Madonna dell’Itria, donata il 25 giugno 1579 al convento dei francescani di Paternò e ora nella chiesa della Santissima Annunziata nella città siciliana.[18]
Credo, in definitiva, che il Ritratto di canonico lateranense a trentacinque anni possa rappresentare la prima opera nota di Sofonisba Anguissola, ancora ragazzina ma già introdotta in quel giro lateranense che le offrirà, grazie ai buoni uffici paterni, le prime fortune cremonesi, tra Marco Girolamo Vida e Colombino Rapari, per arrivare ai vertici della congregazione con il dono del «quadro delli ridenti» al cardinale Ercole Gonzaga, uno dei personaggi più eminenti nella vita politica e religiosa italiana negli anni del Concilio di Trento. La precocità della pittrice, corroborata da testimonianze tanto illustri, e l’alto numero di opere citate da fonti e documenti, induce a ulteriori e più approfondite ricerche su questi anni ancora in qualche modo scoperti di opere, della «virtuosa et rara giovane». Proprio in questa direzione giudico ormai necessario un riesame accurato della ritrattistica padana di piccole dimensioni e dalla qualità leggermente ondivaga per tentare di individuare altri esemplari di questo momento, nella massima parte privo di dipinti garantiti, degli esordi adolescenziali della pittrice cremonese. Senz’altro ne avrebbe fatto parte, a buon diritto, anche Il ritratto della pittrice stessa (tavola, 24 x 18 cm) già appartenente, tra Ottocento e Novecento, alla raccolta milanese della duchessa Joséphine Melzi dʼEril-Barbò, ora perduto.[19] Sebbene sia conosciuto esclusivamente dalla vecchia riproduzione fotografica (riutilizzata nel catalogo della mostra del 1994, ma con una proposta attributiva di Mina Gregori in favore della sorella Lucia), il piccolo Autoritratto mostra le leggerezze di una pittrice alle primissime armi, dalla accentuata sproporzione dimensionale tra lo sviluppo del capo e il bustino stretto e sottile, alle buone intenzioni, nonostante i mezzi espressivi non ancora del tutto adeguati, nella resa fisionomica del proprio volto; con una propensione precoce per i dati esteriori della moda e della definizione degli abiti. Però, con un estroso e apprezzabile colpo dʼala personale nel libretto un poʼ ciancicato tenuto nella mano destra; una mano magra e dalle dita sottili, proprio come quelle di Bernardino Campi. Un fattore di non poco conto nella datazione dellʼoperina. È singolare che una studiosa del calibro della Gregori abbia preferito accodarsi all’usurato cliché secondo il quale i dipinti meno belli di Sofonisba siano da distribuire tra le meno dotate sorelline (in questo caso Lucia, che poi tanto scarsa non è) e non le sia venuta piuttosto in mente una soluzione gravida di possibili, innovativi aggiornamenti – sia di carattere stilistico che sul versante della storia giovanile di Sofonisba – come quella prospettata in questa occasione. Sulla scorta di questo ritrattino possiamo infatti cominciare a farci unʼidea dei doni che Amilcare Anguissola riservava con occhio ben attento ai personaggi, più o meno grandi, che avrebbero potuto aiutarlo nella ascesa sociale della piccola Sofonisba.
Prof. Marco Tanzi
[1] Sull’artista si veda il bel catalogo «Il nostro pittore fiamengo». Giovanni Caracca alla corte dei Savoia (1568-1607), catalogo della mostra (Torino, Galleria Sabauda, 21 settembre 2005 – 8 gennaio 2006), a cura di P. Astrua, A. M. Bava, C. E. Spantigati, Torino 2005.
[2] L. Olivato, Pittrici sorelle: un dipinto di Europa Anguissola, in Uno sguardo verso Nord. Scritti in onore di Caterina Virdis Limentani, a cura di M. Pietrogiovanna, Padova, 2016, pp. 305-310; B. Tanzi, Sofonisba sotto l’ala di Colombino, in Studi di Storia dell’arte in onore di Fabrizio Lemme, a cura di F. Baldassari, A. Agresti, Roma 2017, pp. 75-76, fig. 9.
[3] Ricordo soltanto i cataloghi delle mostre, nei quali ricercare la bibliografia sulla pittrice: Sofonisba Anguissola e le sue sorelle, catalogo della mostra (Cremona, Santa Maria della Pietà, 1994), Milano 1994 (con la mia recensione: M. Tanzi, Sofonisba, pittrice gentildonna, in «il manifesto», 21 settembre 1994, p. 27); Historia de dos pintoras: Sofonisba Anguissola y Lavinia Fontana, catalogo della mostra (Madrid, Museo Nacional del Prado, 22 ottobre 2019 – 12 febbraio 2020), a cura di L. Ruiz Gómez, Madrid 2019; Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 2 marzo – 25 luglio 2021), a cura di A. Bava, G. Mori, A. Tapié, Milano 2021; Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria. Il culto dell’Hodighitria in Sicilia dal Medioevo all’Età moderna, catalogo della mostra (Cremona, Museo Civico Ala Ponzone, 9 aprile – 10 luglio 2022), a cura di M. Marubbi, Busto Arsizio 2022; Sofonisba – Historiens glemte mirakel [Sofonisba – History’s Forgotten Miracle], catalogo della mostra Nivaagaards Malerisamling, Nivå, 3 settembre 2022 – 15 gennaio 2023), a cura di A. Rygg Karberg, F. Ellen Jannerup, Nivå 2022. Mi sia poi consentito rimandare alla monografia di M. G. Cole, Sofonisba’s Lesson. A Renaissance artist and her work, Princeton, 2019, pp. 242-243; n. 161 (ma si vedano le perplessità espresse nella recensione da P. Cavazzini, in «The Burlington Magazine», CLXII, 2020, 1413, pp. 1109-1110); e al mio volume, a giorni nelle librerie, M. Tanzi, Sofonisba Anguissola: Portrait of a Lady in White Satin / Sofonisba Anguissola: Ritratto di giovane dama in raso bianco, The Klesch Collection, Firenze 2024, in corso di pubblicazione.
[4] R. Sacchi, Intorno agli Anguissola, in Sofonisba Anguissola e le sue sorelle cit., pp. 345-347.
[5] A. Lamo, Discorso intorno alla scoltura, e pittura, dove ragiona della vita, ed opere in molti luoghi, ed a diversi principi, e personaggi fatte dall’eccellentissimo, e nobile pittore M. Bernardino Campo, Cremona 1584, p. 37.
[6] M. G. Vida, Cremonensium orationes III. adversus Papienses in controversia principatus, Cremona 1550, p. 64v.
[7] B. Tanzi, Colombino Rapari. Arti figurative e inquietudini religiose a Cremona nel Cinquecento, Persico Dosimo 2015, pp. 12-13.
[8] Tela, 88.9 x 71.1 cm.
[9] M. G. Cole, Sofonisba’s Lesson cit., pp. 242-243; n. 161 (ma si vedano le perplessità espresse nella recensione da P. Cavazzini, in «The Burlington Magazine», CLXII, 2020, 1413, pp. 1109-1110); Idem, Sofonisba Anguissola and Ippolito Chizzola, in Viaggio nel Nord Italia. Studi di cultura visiva in onore di Alessandro Nova, a cura di D. Donetti, H. Gründler e M. Richter, Firenze 2022, pp. 180-185. Ma si veda soprattutto, anche per le implicazioni religiose, B. Tanzi, Da Sofonisba al Sojaro: Colombino Rapari da nicodemita a campione della Chiesa trionfante, in «Ricerche di Storia dell’Arte», in corso di pubblicazione.
[10] Per il dipinto di Brescia si veda M. Pavesi, in Pinacoteca Tosio Martinengo. Catalogo delle opere. Secoli XII-XVI, a cura di M. Bona Castellotti, E. Lucchesi Ragni, con R. D’Adda, Venezia, 2014, pp. 369-371, n. 207. Per quello in collezione privata: Dorotheum, Vienna, 15 ottobre 2013, lotto 579; M. Kusche, Comentarios sobre las atribuciones a Sofonisba Anguissola por el Doctor Alfio Nicotra, in «Archivo Español de Arte», lxxxii, n. 327, 2009, pp. 292-293, fig. 10; B. Tanzi, Sofonisba sotto l’ala cit., pp. 73-76, figg. 4-5. Appare abbastanza curioso che per tutti e tre i dipinti che effigiano canonici lateranensi si sia tentata un’identificazione con Ippolito Chizzola, predicatore bresciano (sul quale attesta che la pittrice: «cavò» il ritratto bresciano del Chizzola «mentr’egli predicava, chi dice in Cremona, & chi in Genova»; ma non ci sono caratteristiche che possano garantire l’ipotesi. Nessuno dei tre dipinti ritrae un canonico durante la predicazione e il suggerimento più ovvio che mi viene – al di là del tentativo di riconoscere Colombino Rapari nella tela dispersa a New York – è di immaginare i protagonisti degli altri due ritratti tra i canonici elencati negli anni Cinquanta del XVI secolo nei documenti relativi alle riunioni nel monastero di San Pietro al Po.
[11] Si vedano V. Marchetti, s.v. Chizzola, Ippolito, in Dizionario Biografico degli Italiani, 25, Roma 1981, pp. 68-72; O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri teatro di Ottavio Rossi, Brescia 1620, p. 351. Credo che sia importante chiarire, una volta per tutte, la situazione critica del Ritratto 137 della Tosio Martinengo: Ottavio Rossi nel 1620 nell’Elogio a Ippolito Chizzola appena citato afferma «Godiamo il suo ritratto, dipinto da Sofonisba Pittrice Cremonese, che lo cavò mentr’egli predicava, chi dice in Cremona, & chi in Genova». Nei primi anni Venti dell’Ottocento, nell’inventario dei quadri di Paolo Brognoli a Brescia (La Galleria dʼarte del patrizio bresciano Paolo Brognoli. Note e catalogo, a cura di P. Guerrini, in «Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1927», Brescia 1928, p. 233, n. 332) è ricordato, con il numero 332 il «Ritratto di Ippolito Chizzola, segnato Sofonisba Angussola Virgo Crm d. Amilcare Patre pinxit 1556». Non esiste tuttavia alcun collegamento o iscrizione che collegano il dipinto ora nella Pinacoteca Tosio Martinengo con il canonico e predicatore bresciano, come in seguito verrà accettato quasi unanimemente, a cascata, nella bibliografia successiva. La mia opinione è che il Brognoli abbia voluto identificare il suo dipinto con quello citato dal Rossi per dare un nome illustre allʼeffigiato, non preoccupandosi della precisa descrizione del soggetto fornita dallʼerudito seicentesco del ritratto della sua collezione che Sofonisba «cavò mentr’egli predicava». Credo quindi che tale identificazione sia da escludere definitivamente.
[12] M. Tanzi, Una primizia di Sofonisba Anguissola, in «Storia dell’arte», 153, Nuova Serie, 1, 2020, pp. 26-47.
[13] Tanzi, Sofonisba Anguissola: Portrait cit., fig. 15.
[14] Ibidem, figg. 11, 3, 21, 27; Cole, Sofonisba’s Lesson cit., fig. 131.
[15] B. Tanzi, Da Sofonisba al Sojaro cit., fig. 1; Tanzi, Sofonisba Anguissola: Portrait cit., figg. 16, 21; Cole, Sofonisba’s Lesson cit., fig. 14; R. Longhi, Indicazioni per Sofonisba Anguissola [1963], in Idem, Studi Caravaggeschi, Tomo II, Firenze 2000, p. 268, tav. 178.
[16] M. Tanzi, Sofonisba tra parenti e infante, in Il tempo e la rosa. Scritti di storia dell’arte in onore di Loredana Olivato, Treviso 2013, pp. 180-184, fig. 1; da collocare in anticipo – 1550-1552 – rispetto alla cronologia sul 1555-1559 che avevo fornito in quella circostanza.
[17] R. Sacchi, in Sofonisba Anguissola e le sue sorelle cit., pp. 228-229.
[18] Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria cit.
[19] Si veda G. Carotti, Capi dʼarte appartenenti a S.E. la duchessa Joséphine Melzi dʼEril-Barbò, Bergamo 1901, pp. 63-64; è riprodotto – con la foto nel libretto del 1901 – come «Lucia Anguissola, Ritratto di virtuosa», da M. Gregori, Fama e oblio di Sofonisba Anguissola, in Sofonisba Anguissola e le sue sorelle cit., p. 24, fig. 7. Per una rassegna bibliografica sulla tavoletta Melzi dʼEril-Barbò si veda Cole, Sofonisba’s Lesson cit., p. 248.
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