Figlio di Raffaele, impiegato di prefettura, e di Cecilia Forlani, entrambi di origini romagnole, Umberto Boccioni nasce a Reggio Calabria il 19 ottobre 1882. L’infanzia è segnata da continui spostamenti della famiglia – Genova, Padova, Catania – che contribuiscono a formare un carattere inquieto e curioso. Nel 1897 consegue il diploma presso l’Istituto tecnico di Catania e, appena diciottenne, redige il manoscritto di un romanzo intitolato Pene dell’anima, rimasto inedito.

Nel 1901 si trasferisce a Roma, ospite di una zia, e avvia la propria formazione artistica lavorando con un cartellonista. Parallelamente si dedica alla scrittura e al giornalismo. Incontra Gino Severini, con cui stringe un sodalizio artistico: insieme dipingono nella campagna romana e frequentano lo studio di Giacomo Balla, maestro del divisionismo. Boccioni segue anche i corsi della scuola libera del nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e mantiene rapporti con Padova, dove realizza opere come Chiostro (1904).

Nel 1905 partecipa alla mostra dei “rifiutati” al Teatro Nazionale di Roma, dopo aver già esposto l’anno precedente alla rassegna degli “Amatori e cultori d’arte”. Nel 1906 compie il suo primo viaggio a Parigi, seguito da un soggiorno in Russia. Tra il 1906 e il 1907 risulta iscritto all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove produce numerose opere. Alla fine del 1907 si stabilisce a Milano, città che diventerà il fulcro della sua attività.

Nel capoluogo lombardo entra in contatto con Gaetano Previati e, nel 1910, con Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. L’11 febbraio dello stesso anno sottoscrive con Carrà, Russolo, Balla e Severini il Manifesto dei pittori futuristi, che legge pubblicamente l’8 marzo al Politeama Chiarella di Torino. Il mese successivo contribuisce in modo determinante alla stesura del Manifesto tecnico della pittura futurista e, il 27 aprile, firma con Carrà e Russolo il provocatorio Contro Venezia passatista.

Nel frattempo si dedica alla grafica, collaborando con il Touring Club e L’Illustrazione Italiana. Espone alla Famiglia Artistica milanese e, nel luglio 1910, grazie a Nino Barbantini, tiene una personale a Ca’ Pesaro con quarantatré opere. Partecipa anche al premio Fumagalli alla Permanente di Milano. Nel 1911 prende parte a serate futuriste in varie città e tiene una conferenza al Circolo artistico internazionale di Roma.

Nell’autunno dello stesso anno si reca a Parigi con Carrà per organizzare la prima esposizione futurista alla galleria Bernheim-Jeune, dove Severini lo presenta ad Apollinaire. La mostra inaugura il 5 febbraio 1912 e viene successivamente portata a Londra, Berlino, Rotterdam e Bruxelles. Boccioni redige la prefazione al catalogo e tiene conferenze in diverse città europee.

L’11 aprile 1912 pubblica il Manifesto tecnico della scultura futurista, avviando una nuova fase della sua ricerca. Espone al Salon d’Automne e, nel 1913, presenta le sue sculture alla galleria La Boëtie di Parigi e alla galleria Sprovieri di Roma, dove pubblica il saggio Pittura, scultura futuriste. Dinamismo plastico. Partecipa a numerose esposizioni collettive, tra cui Der Sturm a Berlino e la mostra Lacerba alla galleria Gonnelli di Firenze. Nel 1915 è presente alla Panama-Pacific International Exhibition di San Francisco.

Nel settembre 1914 prende parte alle manifestazioni interventiste a Milano e Bologna, venendo anche arrestato. Firma con altri futuristi il Manifesto Sintesi futurista della guerra e, nel gennaio 1915, il Manifesto Orgoglio italiano. Si arruola volontario nel battaglione ciclisti e, dopo lo scioglimento del reparto, torna a Milano nel novembre 1915, dove riprende l’attività artistica e collabora con la rivista Gli Avvenimenti. Tiene una conferenza all’Istituto di Belle Arti di Napoli, pubblicata come Manifesto dei pittori meridionali.

Nel luglio 1916 viene richiamato alle armi e assegnato al reggimento di artiglieria a Verona. Il 17 agosto muore tragicamente in seguito a una caduta da cavallo. Nel dicembre 1916, la Galleria Centrale d’Arte di Milano gli dedica una grande esposizione postuma, con prefazione di Marinetti.

 

Prima di conoscere il cubismo – che scopre nel 1911 durante il secondo viaggio a Parigi – la sua pittura si fonda su ricerche di matrice divisionista e postimpressionista, con riferimenti al simbolismo e all’espressionismo nordico. La sua cultura visiva è ampia e non dogmatica: da Previati a Munch, da Medardo Rosso all’impressionismo francese e tedesco, Boccioni assimila e rielabora con originalità. Tra la fine del 1910 e l’inizio del 1911, elabora il concetto di “stato d’animo” come chiave simbolico-espressionista della sua pittura. In questo periodo realizza Lutto (1910) e avvia la composizione di La città che sale (1910–1911), potente allegoria del lavoro e dell’industria. Contemporaneamente sviluppa il trittico Gli addii, Quelli che vanno, Quelli che restano, fondato sulla corrispondenza tra linee, atmosfere cromatiche e moti interiori.

Tra gli studi preparatori per il trittico e la sua realizzazione finale, interviene la conoscenza dei principi cubisti di scomposizione della forma, che per Boccioni rappresentano un’acquisizione definitiva, ma mai fine a sé stessa. La sua aspirazione rimane quella di integrare i “contenuti” nordici con le istanze formali delle avanguardie francesi, evitando la frigidità analitica e perseguendo una visione espressiva complessa, di aspirazione quasi titanica. Il suo intento è quello di rappresentare la molteplice e dinamica varietà di rapporti tra ambiente e oggetto, comunicando l’energia vitale che muove il mondo e il suo pathos.

Agli Stati d’animo seguono opere come Scomposizione di figure di donne a tavola (1912), Antigrazioso (1912), Materia (1912), Elasticità (1912), la serie dei Dinamismi (1913), Costruzione spiralica (1914). In questi dipinti, l’oggetto e la figura diventano sempre meno riconoscibili, travolti in un gioco tumultuoso di forme che alludono alle “linee-forza” del movimento e alla scomposizione della materia in rapporto alla luce e allo spazio. Nelle ultime opere – dal Bevitore (1914) al Ritratto di Busoni (1916) – si assiste a una nuova meditazione plastica, più statica e riflessiva, di spirito quasi neocézanniano.

Di eccezionale rilievo è la sua produzione scultorea, in gran parte perduta, nella quale Boccioni anticipa ricerche costruttiviste e polimateriche che saranno poi sviluppate da Balla e dalle avanguardie russe. Tra le opere più note si ricordano Antigrazioso (1912), Sviluppo di bottiglia nello spazio (1912) e Forme uniche della continuità nello spazio (1913), oggi conservata al Museum of Modern Art di New York, mentre una variante di Sviluppo di bottiglia nello spazio è conservata presso la collezione Mattioli a Milano. In queste opere, Boccioni supera la concezione tradizionale della scultura come massa chiusa e compatta, introducendo il principio della compenetrazione tra forma e ambiente, e anticipando le ricerche costruttiviste e polimateriche che saranno sviluppate dalle avanguardie successive.

La sua riflessione plastica si fonda sull’idea di dinamismo come principio generativo: la forma non è più intesa come entità statica, ma come struttura fluida e in espansione, capace di interagire con lo spazio, la luce e il movimento. Forme uniche della continuità nello spazio diventa così l’emblema della scultura futurista, sintesi visiva dell’energia e della velocità della modernità.

Nel complesso, la figura di Umberto Boccioni rappresenta l’espressione più alta e compiuta del Futurismo italiano. La sua opera, tanto pittorica quanto scultorea, incarna una tensione costante tra analisi formale e istanza espressiva, tra intuizione e costruzione, tra modernità e mito. La sua eredità segna in modo indelebile la storia delle avanguardie europee, ponendolo tra i protagonisti assoluti dell’arte del primo Novecento.