Nato a Viterbo il 7 febbraio 1897, lo scultore Francesco Nagni si trasferì giovanissimo a Roma per iscriversi all’Accademia di Belle Arti. Diplomatosi nel 1920, l’artista prese a frequentare gli studi di Ercole Ferrari, Giuseppe Guastalla e Attilio Selva, dal quale mutuò l’inclinazione verso una salda plasticità e una linea raffinata e fantasiosa. Nel 1924 lo scultore vinse il concorso per la realizzazione del Monumento ai caduti di Fano, ottenendo poi nel 1932 un’altra importante commissione pubblica, quella per i pannelli decorativi per l’Aula Magna del Liceo Ginnasio Cirillo, e nel 1934 quella per il Monumento equestre del maresciallo Diaz in bronzo per il lungomare di Mergellina.

Nel 1940 Nagni realizzò il fregio sul tema delle comunicazioni per la facciata della stazione Ostiense di Roma, mentre nel 1943 presentò alla IV Quadriennale Nazionale di Roma il gesso del San Paolo, un Ritratto in cera, il bassorilievo raffigurante La Madonna degli angeli e La madre dell’artista (bronzo, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Nell’immediato dopoguerra l’artista venne gratificato con prestigiose commissioni vaticane, come il Monumento di Pio XI Ratti per la basilica di San Pietro del 1949, l’urna in bronzo dorato dove è conservato il corpo di san Pio X Sarto (1952) e numerosi crocifissi in bronzo per le chiese romane.

Morì a Roma l’11 luglio 1977

Fautore di un’arte che si riallacciasse alla più aulica tradizione italiana, Nagni si fece interprete di un neo quattrocentismo attento alla modulazione delle figure per masse plastiche dai volumi architettonici, come apprezzabile nella Dormitio Virginis scolpita per la facciata della chiesa dell’Assunta ad Amatrice, di un’eleganza e di un rigore formale estremamente calibrato.

La nostra Galleria ha avuto il privilegio di poter proporre un’opera cardine all’interno del percorso artistico dello scultore, il modello in cera del busto di Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi con cui Nagni vinse la medaglia d’oro in occasione del concorso nazionale bandito dalla regina Elena nel 1934, ultimo atto di un gusto risorgimentale volto all’esaltazione del gesto glorioso.