Fortunato Duranti - Scena classica

Fortunato Duranti - Scena classicaFortunato Duranti - Ulisse in casa di monsignor Della Casa

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Fortunato Duranti
(Montefortino/Ascoli Piceno 1787 – 1863)

Scena classica

Penna, inchiostro acquarellato grigio e bruno su carta, riquadrato, mm. 200 x 276

Ulisse in casa di monsignor Della Casa

Matita, penna e inchiostro acquarellato seppia su carta, riquadrato, mm. 200 x 276

Iscrizione in alto a destra: ULISSE IN CASA DI MONSIGNOR DELLA CASA

Questa coppia di fogli esemplifica il carattere onirico di tanta produzione grafica di Fortunato Duranti. In una simbologia che attinge dal repertorio classico come da quello massonico sono accostati, dal gioco e dal disturbo patologico, gli elementi di un enigma destinato a non essere risolto.
Così nel primo una figura di Diogene reca la lanterna e indica una misteriosa fonte di luce, proprio mentre il carro del sole sta guadagnando i confini di un paesaggio ideale classico. Nell’andirivieni della folla, si distingue dietro una colonna la figura allegorica della storia.

Nel secondo, dove una stralunata figura virile guarda lo spettatore, l’episodio classico di Omero di fronte ai Greci viene camuffato dalla bizzarra scritta murale che recita “Ulisse in casa di Monsignor della Casa”.
L’elevatissima sostenutezza formale di queste due prove grafiche attinge, nella metafisica dislocazione delle figure nello spazio e nella geometrica partizione di luci ed ombre, ai modelli di Cambiaso e Poussin.
Com’è noto è arduo datare i disegni di Duranti per il continuo rincorrersi di temi e di motivi fino all’abbandono dell’attività artistica verso il 1850, quando è colpito da cecità. Tuttavia nell’ambito di un percorso, puramente indicativo, che conduce dalle prime opere più legate alle convenzioni accademiche dei primi anni alle astrazioni geometriche degli ultimi, questi fogli si possono situare tra il terzo e il quarto decennio del secolo.

Nella giovinezza l’artista marchigiano era giunto a Roma per seguire gli insegnamenti dell’abate Domenico Conti, che teneva un’accademia privata frequentata anche da Camuccini e Benvenuti. Si legò ben presto a Giani e Minardi intraprendendo anche l’attività di antiquario. Fu proprio l’idea di vendere all’estero la sua notevole collezione dopo il Congresso di Vienna che causò nella sua biografia quella svolta traumatica alla quale si è soliti addebitare il suo tormento mentale: accusato ingiustamente di essere una spia venne infatti arrestato dalla polizia austriaca, subì il sequestro dei beni e solo dopo fortunose vicende riuscì a rientrare in Italia, dove visse tra Roma e le Marche fino al suo definitivo ritiro nel paese natale nel 1840 (cfr.Dania 1984, con bibl.).

Stefano Grandesso

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